Anche se la finestra è la stessa,
non tutti quelli che vi si affacciano
vedono le stesse cose; la veduta
dipende dallo sguardo.
Alda Merini
Sulla falsariga di altre poesie già pubblicate e in armonia agli
argomenti dei vari racconti che Akkuaria ha pubblicato, il tema
delle poesie di questa mia raccolta è varia e il mondo in cui
spaziano è quello dell’umanità in ogni suo aspetto realistico e
fantasioso, naturalmente osservato dal mio punto di vista, cioè,
guardato dalla mia “finestra”, come dice la Merini.
Non mi sono peritato di raccogliere i vari “pezzi” secondo
uno schema o quadro in relazione ai vari argomenti. Ho
semplicemente proceduto alla esposizione di sentimenti ed
emozioni così come sono venuti senza un ordine prestabilito, che
avrebbe avuto la pretesa di dimostrare alcunché.
Naturalmente le sollecitazioni mi sono arrivate dal mondo che
mi circonda e in questo senso siamo in presenza di poesie
realistiche, anche se permeate di fantasia e larvati giudizi del mio
modo di vedere l’umanità. Non mi sono presupposto lo scopo di
dimostrare o imporre una mia tesi etica al lettore. Ho
semplicemente esposto il mio pensiero e i miei sentimenti,
lasciando, chi legge, arbitro di trarne le conseguenze a lui più
confacenti.
Anche se talvolta incedo con riferimenti al mondo classico,
che è alla base della mia cultura, mi sono sforzato di rendere la
lettura dei versi molto scorrevole curando in particolare la metrica
e ricorrendo raramente alla rima.
Spero che quanto da me scritto, trovi presso il lettore quel
consenso che anima chiunque, come me, cui piace leggere e
confrontarsi con la realtà che lo circonda.
Pippo Nasca
***************
Il fumo dell’Etna
La sabbia sopra il colle
spavaldamente cade,
di lava ancora molle
e senza scampo invade
dei tetti la consolle,
dei campi e delle strade
la terra, che ribolle
di polveri non rade.
Di traccia all’orizzonte
compare l’onda nera
e ti disegna un ponte
dell’aria prigioniera,
sciamando sopra il monte
e sembra ch’è già sera.
Un pensiero per Te
Da tua passione debole
ti giunge commozione
poiché la mente incespica
nel ricordarmi invano
e sei rimasta attonita
di riscoprire ancora
il grido di dolore
che m’arrecasti in animo
quel giorno maledetto
che d’un amore fervido
sciupasti la passione
perché t’amavo pavido
di vero sentimento
e non avevo in animo
per te che cose belle.
A te non fu di stimolo
l’amore mio profondo
che diventò di Tantalo
tormento di pensieri
dal tempo resi gravidi
di ruvidi ricordi.
Così è
Ho niente di lei
e niente avrò
sicuramente
ma tutta in cuore
pinsi la memoria
del suo sorriso
e di sua voce
sognai d’ascoltare
il tintinnar
d’argento inciso.
Preludio notturno
Distillano le notti
i sogni dell’amore
tra lo sciamar di nubi
nel cielo variopinto
ed io, che son di sogni
ambasciatore muto,
d’azzurro tingerò
le membra tue sopite
e colmerò gli spazi
tra le vaganti stelle
di fiabe colorate
nell’intimo sentire
di risonanti accenti.
Allor di me sembianza
ti nascerà nel cuore,
fremente nell’abisso
d’abbandonati sogni,
e leggere potrai
tra gli astri rilucenti
i versi miei struggenti,
che parlano d’amore
e di sognati amplessi.
A me resta la gioia
d’averti un po’ distratta
dal mondo d’ogni giorno
per riscoprire sogni
e la speranza ambita
di non restar confuso
tra anonime figure
disperse nell’oblio
Telefonando
Squilla la voce querula
di note a lungo attese
nel cavo dell’orecchio
e quando giunge morbida
al cuore palpitante
rifulgono più nitidi
gli atavici ricordi.
Di semplici parole
un fiume già m’inonda
parlandomi di versi
che scrissi tempo fa
e l’ascoltar mi spinge
a rimembrare cose
che parlano di me.
Il mare mi soverchia
con l’onda sempre tesa
degli occhi tuoi sereni,
che specchiano l’immagine
d’un mondo già scomparso
ma son diversi i detti
e gli ascoltati accenti.
Tu questo non lo sai
ma su quel viso ho letto
parole al vento sparse
giocando a rimpiattino
con nuvole lontane
nel cielo a sprazzi terso
di vividi fantasmi.
Purtroppo son diverse
in questa nostra vita
le realtà sommerse
che il tempo a volte addita,
ma costellando vanno
di rilucenti stelle
il cielo del passato.
Triangolando
Triangolando vado
di vividi colori
il bianco viso
nel poco spazio
d’un piccol quadro
a chiazze inciso
e dallo schermo
etereo vola
il pensier mio
fantasticando
nell’ondeggiare
d’infinito cielo
che sublimando
abbonda e tinge
i cirri grigi.
Come Calaf
Nella Turandot
Nel tripudiar sommerso
d’immagini stupende
che fantasia sospinge
nel limbo del piacere
e dell’eterna gioia
talvolta l’ombra appare
di panico timore
nell’animo contrito.
Allora un velo cinge
l’estroso spigolare
sul bello e sull’arcano
ed ovattate ambasce
annientano speranze
in animo serbate.
Ma sulla nuova scena
di brividi angosciosi
che sorgono violenti
il tuo sorriso accende
la fiamma dell’amore
ed i tuoi baci appena
sul labbro che si schiude
annientano i dolori
che sorsero improvvisi
e allor anch’io potrò
cantare nella notte:
al ’alba vincerò!
Trezza a mare
Giammai parole perfide
intrise di veleno
su questo mondo estatico
che vede nel suo seno
la luce calda e candida
del dolce panorama.
Così rimanga incredulo
nel vaso di Pandora
Il brulicar caparbio
di mostri sconosciuti
che nel suo fondo annaspano
tentando di fuggire.
In questo mare enfatico
d’affetti e di bontà
ogn'ora resti fervida
la scia della luce
che mostri sempre placido
nell’etere infinito
lo svolazzare garrulo
di candide colombe.
Allor superbo il cantico
si levi dalle barche
ed implorando fervido
l’amore giubilante
rivolga preci semplici
d’amore e di bontà
a Dio che compendia
l’amore sempiterno
e pace regni statica
su questo mare e cielo
all’orizzonte carico
di vividi pensieri.
Terremoto
Crollò con tonfo sordido
il vecchio campanile,
di pietre sparse torbide
la piazza ricoprendo.
Dalla pendice gotica,
che gabellava il cielo
e troneggiava turrita
sopra l’antiche case,
non più ruzzanti tortore
si librano nel vuoto,
né sugli spalti covano
i frutti dell’ amore.
Il sussultare drastico
del sottostante suolo
pietre sconvolse ataviche
murate con amore
ed ossa glabre sembrano
che, dissepolte appena,
l’orrendo aspetto mostrano
al sole che risplende.
Nello scrutar fulmineo
quelle macerie bianche,
rosso di sangue emergere
si vide un corpo inerte.
Era d’un uomo pallido,
che sangue perse e vita
in quell’evento tragico
nell’atto di pregare.
Or che di pianto s’alzano
le grida degli astanti
occorre che non cessino
Speranza e Carità,
poiché gli eventi cosmici
non son opre divine
ma accadimenti semplici
di naturale corso
ché l’operare provvido,
a tempo giusto preso,
può limitare facile
i perigliosi danni
L’alternanza
Dove superbamente il cielo cinge
di nuvole l’azzurro
ed il sole dipinge
dei soliti colori l’orizzonte
un giorno splenderà
di luce un solo guizzo
che svelerà misteri mai risolti
all’uomo vincitore e pure vinto
poiché nel buco nero annegherà
e raccontarlo al mondo mai potrà.
Allor silenzio e stasi
nel cielo regnerà
ed altri mondi altrove nasceranno
ignari del passato
e solo speranzosi del domani.
Così nell’universo l’alternanza
di mondi sempre nuovi
la regola sarà
come quella dell’uomo
che vive nasce e muore
lasciando spazio a chi dopo verrà.
Il crollo dei sogni
Mirabolanti nuvole
galleggiano nel cielo
appena reso liquido
nell’etere compatto
dal gorgheggiar di zefiro
che disegnando mostra
iridescenti immagini
dal sole bordeggiati.
Ora nel cielo scalpita
il rosso d’un cavallo
e d’altra parte naviga
veliero in mare posto.
Ma tosto d’una femmina
il corpo appare nudo
oppure scorgi immagini
di sante castigate.
Figure che disegnano
I venti e le condense
le fantasie t’accendono
di chi le crede vere.
In queste scene irrompono
sovente uccelli neri
che starnazzando torbidi
cancellano le fole.
Così cadendo crollano
I sogni d’una vita
al solitario irrompere
d’un fatto non voluto.
Venti di pace
Mai più vessillo all’albero
del bellico vascello
l’emblema mostri gravido
di guerre senza fine
sull’onde rese torbide
all’orizzonte estremo
dal rimbombare tronfio
di lubrici cannoni.
Mai più nel vasto vortice
del mare che ruggisce
il galleggiare sordido
di poveri morenti.
e sugli spalti carsici
le titubanti schiere
dei difensori attoniti
sulle bombarde pronte
a vomitar la grandine
dei colpi in mare sparsi
che d’acqua una voragine
discopre spumeggiando.
In questo mare tacito,
che sopra l’onde ormai
i bastimenti dondola
di merci commerciali
soltanto vento e nuvole
all’orizzonte mostrano
immagini fantastiche
d’aspetto travolgente
ed il rumor caparbio
semplicemente s’ode
nel cielo reso liquido
dal lampeggiar dei tuoni.
Dal lido non più turbini
di scoppiettanti l fiamme
sull’onde cupe volano
foriere di disastri,
ma solo luci languide
carambolare vedi
sulle latenti tenebre
dal faro proiettate
ed ormeggiate placide
le barche al molo fisse
sull’acqua appena tremula
di risaputi moti.
perché sul mare luccica
la stasi della quiete
e brilla solo mistico
il grido della pace.
A Catania
O mia Catania, che zampilli viva
nella vision di vivide colonne,
che d’Amenano mostri breve riva,
perché la dolce roggia degli incanti,
traboccante di bianco, la copriva,
e fonte fosti d’uomini e di santi,
oltre che d’arte rigogliosa diva.
Io cerco nelle facce dei passanti
il tuo sorriso che nel ciel si libra
tra le mirabolanti e terse luci
del dì che nasce ed il mio cuore vibra
serrando il labbro che solerte cuci
col sol mostrare l’imbiancata fibra
che nelle foto mostri e… tutto bruci.
Esondazione
La pioggia intensa cadde
sul fiume che tracima
e poco tempo prima
scorreva dolcemente
Urlar s’udiva il vento
tra i tralci delle viti
nei solchi già stecchiti
e stare amaramente
nel cielo reso nero
le nubi traballanti
di guizzi scintillanti,
che bruciano la mente.
Franò la diga arborea
dall’acqua frantumata
che vinse la portata
del fiume straripante.
Al tuono si fondeva
il suono d’un boato
e quando fu cessato
s’udiva solamente
alto nel cielo stridere
di fitta pioggia il pianto
e della morte il canto
il tutto travolgente.
Un giorno a Milano
All’ombra d’una guglia,
sopra del Duomo il tetto
nell’ampia piazza eretto,
un bacio mi sfiorò.
La nebbiolina stinta
copriva con un velo
entrambi e quello stelo
un monumento provvido
sembrava là piantato
per far da testimone.
Non c’erano persone
che scorgere potessero
quell’amoroso abbraccio.
La mano nella mano,
scendemmo piano piano
giù per la scala ripida
e, quando infine al suolo
giungemmo trepidanti,
i cuori scalpitanti
un inno già cantavano
d’amore senza finementre sfioriva il giorno
e senza posa intorno
sciamavano le tortore,
felici di tubare.
Colsi sul suo bel viso
Il cenno d’un sorriso
velato dall’incanto
d’un attimo felice
nel gorgo d’un sospiro
dalla mestizia intriso
per l’ora dell’addio.
Passò quel giorno fulgido.
Rimase un’avventura
di cui non ebbi cura.
Nel rintoccar del tempo
con nostalgia ricordo
quel giorno ormai lontano
nel riveder Milano,
che annega nell’oblio.
Se tu
Se tu, fuggendo dalle astruse balze
dove ti copre il freddo
di sopiti istinti e brame,
precipitar vorrai,
il corpo ignudo e l’anima,
nella valle
delle mie braccia tese,
allora scriverò
note d’amore
sul pentagramma
del tuo sembiante muto
che cela nel torpore
d’un mai sognato spazio
la passione
e scoppieranno intorno
arcani schizzi
d’ameni sogni
mai provati prima
nel saporoso morso
d’esotici pensieri
e di felice ambascia
ti sentirai pervasa
nell’ardore
d’un grande amore
e nel silenzio
che la mente copre
campane sentirai
suonare a festa
nel cielo
ridondante di passione,
che disegnar vorrai
in ogni dove.
La neve a Catania
Sopra i muschiati scogli
della riviera grigia
che non toccava l’onda,
laddove il sol d’estate
incontrastato brilla,
un fiocco cadde lieve
d’opaco spumeggiante
seguito d’altri ancora
di bianco colorando
le pietre non più nere.
Il mare solamente
rimase azzurro e cupo
a contrastar quel bianco
dal cielo prorompente
col solo veleggiare
d’uno sparuto stormo
di candidi gabbiani,
sorpresi dall’evento.
L’ignota leggenda
Stette Pilato torbido
nel tribunale assiso.
Vedeva l’uomo immobile
guardarlo dritto in viso.
Nessun aspetto perfido
negli occhi scorse incline
e con cipiglio pratico
pensò di porre fine
a quel giudizio inutile
di morte domandata
dal forsennato popolo
e con la mano alzata
soltanto dette l’ordine
di fustigar la schiena
di quell’uomo indomito
per far giustizia piena.
Spavalde s’abbatterono
le verghe dell’ulivo
su fianchi e spalle insolite
d’un uomo ch’era divo.
Le lacrime sgorgarono
d’un fiume rinfrescante
da quelle verghe torbide
che diventaron sante,
perché le spine persero
d’atavico retaggio
le piante che sortirono
d’amore un nuovo raggio.
Quell’albero
Quell’albero, che vedi folleggiare,
d’aguzze foglie verdi ridondanti
e mollemente sembrano cantare
al vento le leggende gorgheggianti
sopra quel tronco dalle forme rare,
che tra ramaglie mostra verdeggianti
le drupe bianche e nere sempre care
e d’olio e luce ricche straripanti,
quell’albero, ti dico, che tu vedi,
spoglio d’amena fioritura estiva,
e ti fa mostra di stupendi arredi,
è la pianta d’ulivo, degna diva
delle grandiose cure che concedi
per renderle la chioma sempre viva.
Il predator predato
Laddove il mare spumeggiando frusta
le rocce nere effuse dal vulcano
e nuvole salmastre in alto sparse
si levano grondanti di biancore
e l’orizzonte, in parte escluso, s’unge
del rosso cupo del morente giorno
vola ramingo un torbido gabbiano
alla ricerca di sperdute prede
che le sospinga il mare inverecondo,
ma nulla trova e volteggiando cade..
Cade travolto d’infiniti affanni,
che libertà gli impose d’affrontare,
sulle rugose crepe degli scogli
dove l’avvolge il vortice spumoso
che si dissolve in rivoli fuggenti
e scivolando sopra l’onde smosse
precipita morente nell’abisso,
dove l’attende chi predar voleva
e che di lui ne fa orrendo pasto.
Amarezza finale
Io, costruttor di versi
ed inventor di fole
che mai potranno aversi
da parte di chi duole,
mille sentieri tersi
percorro tra le viole
di viottoli dispersi
di chi caparbio vuole.
Ma girellando invano
tra i colorati ammassi
raggiungo piano piano
asperità di sassi
e fango di pantano
che bloccano i miei passi.
Il fiume
Tu spumeggiando vivo
nell’ibrido colore
che ti circonda, privo
d’ambascia e di dolore,
o mio stupendo rivo
che scorri con ardore
e sempre sei giulivo
nel fondo del mio cuore,
la mente mi sommergi
di tremuli rimpianti
con l’acqua con cui tergi
le sponde pigolanti,
ma sopratutto emergi
per l’onde tue passanti.
Le due stagioni
Volse lo sguardo torbido
Il sommo padre Giove,
quando con voce trepida
al limitar del trono
parlò piangendo Cerere.
Di Pluto il vile ratto
racconta di Proserpina
e chiede di riavere
la figlia resa succube
dell’Ade ancora viva.
Rispose Giove candido
che non poteva agire
nel mondo imponderabile
dei morti sottoterra,
ove regnava indomito
Plutone, suo fratello
ma che poteva chiedere
del ratto la ragione
avendo fatto l’Infero
un atto non potuto.
Giove e Plutone fecero
l’incontro di chiarezza
ed il patto sancirono
preciso di restare
per sei mesi Proserpina
nell’Ade con Plutone
e con la madre Cerere
sopra la terra gli altri.
Questa novella mitica
vi può sembrare strana,
ma fu la base tattica
del clima come scorre
Sfugge talvolta timida
dall’orrido marito
Proserpina fantastica
e corre dalla madre
quando la terra frigida
inverno già la cinge.
Allora il sole attonito
appare all’orizzonte,
e di calore languido
riveste la natura,
ma solamente tiepida
la rende per un poco
In morte di Franca
Restò la spoglia immemore
di fatti già vissuti
sul cataletto immobile
di pace conquistata.
Al limitare tremulo
di vita, ormai sparita,
sul labbro non più murmure
un motto, anzi un sorriso,
apparve muto e languido
foriero di bontà.
Cinta di lino candido
or nella bara giace
ma l’alma sua magnifica
nell’aria intorno spande
profumo di virtù.
Se mai di fatti perfidi.
In questa vita torbida,
il segno la colpì
lasciandole nell’anima
una materna ambascia
Lei dalla tomba emergere
farà l’amore suo
che nella vita fulgido
d’avere già mostrava.
Mi piaci
Io, cui scivolar piace
sui mesti versi sciolti del Leopardi
o sulle rime del divino Dante
oppure del Manzoni sopra i canti
di Fede intrisi nel brillio d’accenti,
quando i tuoi versi leggo diseguali,
scevri di rima e d’altre costruzioni,
ma carezzanti e ricchi
di parole armoniosamente esposte,
sui tuoi pensieri pattino sereno
e mi sovvien l’eterea tua pittura
a sbalzo sulla tela,
ch’io vidi un giorno ed ammirai stupito
di forme nuove, che ricordo ancora
insieme al gusto d’un caffè sorbito
al banco di quel bar dei “Quattro Canti”.
Nel tuo profilo, adesso, ammiro foto,
che stillano emozioni
sul tuo sembiante stese,
e donna tu mi appari di valore.
Così è
Salperanno le stelle scintillanti
nel mar del firmamento
ma cadranno nel lago d’infinito
e nel silenzio immenso:
silenzio di dolori,
d’affanni e di piaceri,
implosi nella stasi d’un mondo
sconosciuto e greve,
dove del nulla un monumento aderge,
che ha solo di sogno aspetto e nome.
Così sempre sarà
nella natura il divenire umano.
Come Manzoni
Vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
tace e non s’erìge
lo spirto mio commosso
al subito apparire
ed incerto disparir
di cotanti. . Raggi.
Al Tribunale in toga
la sentenza tocca
se gloria o polve
infine in ciel risplenda.
Nui chiniam la testa
ed attendiam sereni
che questo tosto
correttamente avvenga.
Lamenti d’amore
Più di mille sono le parole e i duoli
che scrissi e la canzoni che cantai,
per te, mia bella, che non mi consoli
di tutte le mie pene ed i miei guai.
Tu come una farfalla fuggi e voli
sopra quel fiore che per tè piantai
nel centro del mio cuore e non ti duole
che lontana di me tu te ne stai.
Pensando a te le nuvole ho toccato
che corrono nel cielo con il vento
e le labbra nel sonno t’ ho adornato
di tanti bacetti dati a cento a cento
mentre ardente forte t’ho abbracciato,
ma questo solo… non mi fa contento.
La nascita di Venere del Botticelli
Anche se non di Cupido,
che nato ancor non era,
non può vedersi immagine
nella scenario mitico
di Venere nascente,
l’amor troneggia intenso
sopra conchiglia pronuba,
nell’onde altalenante,
di fior cosparse e docili.
che le sospinge afflato
dell’infiammato Zefiro.
Pudicamente esposta,
appare nuda e placida
la donna, più che Dea
dalla passione murmure,
accolta dall’ancella,
che l’Ore simboleggia
del tempo che verrà.
Foriero appare limpido
un mondo ch’è perfetto
d’una natura torbida
divina diventata
al tocco celeberrimo
del mitico pennello.
Botticelli e la Primavera
Là, dove al centro florida
rifulge Primavera
appropinquata a Venere,
che, dalle Grazie cinta,
muta risveglia cantici
d’amore rigogliosi,
trascurati non vennero
nel colorato quadro
la ninfa Clori e Zefiro
dal soffio conturbante
e l’intrigante Cupido
dalle dorate frecce
nel tripudiare turgido
di frutti, foglie e fiori,
in terra sparsi mobili
al suon d’eolio moto.
Pur descrivendo ermetico
un mondo di gaudenti
ridestò memoria
il bravo Botticelli
del rifiorente vivere
col trionfante amore
nell’ibrido compendio
della natura aulente
sui risaputi eventi
dell’amoroso cardine
all’alba della vita.
Se vagabondo un giorno…
Se vagabondo un giorno approderò,
o mio Signore all’ubertosa foce
dei tuoi dettami d’amorosa voce,
grato e felice gli occhi chiuderò
e sicuramente lo sguardo feroce
al mondo intero mai più mostrerò
e niente di molesto più dirò,
trovando giusta la mia e l’altrui croce.
In questo mondo d’infiniti inganni,
che la natura ammanta di speranze,
avranno fine i perigliosi danni,
e mai più vi saranno circostanze
del perdurar di perniciosi affanni
tra cielo e terra in torbide distanze.
Compleanno di Primavera
Con sulle labbra fragole dipinte,
Il sen di fiori adorno
e gli occhi appena roridi
per la rugiada evanescente ancora,
il dì ventuno marzo
già nacque Primavera.
Zefiro appena le sue guance sfiora
e tra le nubi nuotano i capelli
al limitar del cielo,
che d’argentati trilli
ed ali di corimbi
festosi si ricopre svolazzanti.
Dolce tepore espande
la natura tra gli echeggianti raggi
del sole sorridente
ed un effluvio dolce alto si leva
dalle corolle schiuse,
d’insetti pullulanti e di colori.
O te beata, o te felice,
che in questo aprico giorno
natali avesti al mondo
incastonato in questo etereo sfondo,
pure se certo il pianto
il ciglio t’irrorò
per il dolor che prova il nascituro
venendo fuori dal materno seno.
O te felice ancora
perché ti cinse il seno Primavera
e nel tuo corpo son rimaste impresse
le forme, che le Grazie
a Venere forgiarono
nel suo giorno natale.
Io sono certo che della dolcezza
Il calco in te s’asconde
del rigoglioso mondo che si sveglia
al mite balbettio della natura
e che sulle tue labbra
arrida il Paradiso
d’Adamo solamente pregustato
baciando quelle d’Eva
in quel suo primo ed amoroso amplesso.
E, se del tempo il solco
la guancia ti segnò
e d’argento un tocco nuovo s’aggiunse
alla tua chioma duttile e composta,
non ti curar d’aver altra risposta,
poiché l’ emblema è questo
di rinnovato spazio della mente
che all’anima s’aggiunge,
tingendola di luce e fantasia.
Possa durare quanto il mondo dura
questa rinnovellata Primavera
negli anni tuoi futuri
e conservarti in petto
le cose belle che d’avere mostri
in questo giorno di serena stasi
finché d’amore e fantasia non cessi
la luce che s’accende nel tuo sguardo.
Tu, come nel mito
Mai, mai e poi mai ti dimenticherò.
Di te lo sguardo ardente e fuggitivo
ricorderò per sempre
ed anche se guardare indietro lede,
come ad Orfeo avvenne,
io, mille volte e più di mille ancora,
al passato rivolgerò la mente
ed estatico resterò a guardarti
all’infinito e, quando sentirai
le membra inumidirsi
per la cadente pioggia,
sappi, son io che verso le dorate
lacrime d’amoroso sentimento
sul tuo stupendo corpo,
come le vide la fanciulla amata
da Giove trasformato per amore
e, se carezze di collana il collo
sfiorare sentirai,
son io che frugo, trasformato in cigno.
il tuo sinuoso petto.
Io son per te l’eterno Dio d’amore,
che di sua freccia punto,
amante fu perenne di Psiche.
Ricordo di Parigi
E mi ricordo di te,
mia cara donna,
del tuo corpo nudo
sopra di me che brucio,
dei tuoi occhi neri
pieni di luce divina,
della tua bocca dolce,
che mi baciava tutto…
ed io non osavo coglier
la rosa che tu m’offrivi
aperta infine,
poiché ti adoravo
e non osavo rendere umano
ciò che mi sembrò divino.
Ero ragazzo allora,
adesso il mio cuore
di vecchio sognatore
piange e non sa più
trovar la strada
di viverti lontano,
mio sole,
mio dolce e grande amore,
che non avrei mai voluto perdere,
ma che ho perduto
tra le strade buie
della città illuminata.
Natale
É Natale.
La festa del Santo Bambino
che viene da noi
nudo e piccino
per salvare il mondo intero
Sarà forse
l’ultima festa
della mia triste vita?
Io non lo so
e lo chiedo a Dio
poiché
molto spesso
brilla il mio spirito
di fiammanti desideri,
ma il corpo si annulla
nel buio
della disperazione
e dell’eterna notte.
Spero che questo Bimbo
venga a salvare anche me
dal male dell’anima mia,
dandomi la pace
che io desidero.
Le stelle cadenti
Salperanno le stelle vagabonde
sul lago d’infinito e poi cadranno
nell’amorfo silenzio di dolori,
d’affanni, di piaceri e gai pensieri,
implosi nella stasi d’una vita,
e, scomparendo sulla nuda terra,
dove del nulla un monumento aderge,
annegherà la sete d’alte cime.
Così sempre sarà nella natura
l’eterno divenir dell’universo,
che nello spazio corre senza meta
e nessun teme ostacolo divino.
Felicità perdute
Tu che danzando andavi
sulle pendici rosa
dei miei dorati sogni
ed io correvo ansante
dietro farfalle erranti
sui prati verdeggianti
adesso immota giaci
sulla scogliera amorfa
del tempo che mi sfugge.
Il canto più non s’ode
del cuore che scandisce
le note dell’amore
né le tue labbra mute
gorgheggiano parole
smorzate dal silenzio
che cinge di passione
l’umano sentimento.
Veleggiano le stelle
nel cielo senza posa
e rischiarar non sanno
l’ore future avvolte
nel tenebroso manto
dal sole abbandonato
e lasciano rovine
da noi almanaccate
con truce accanimento.
Solo il rimpianto un giorno
apparirà violento
di questo strano evento
e piangeremo invano
felicità perdute.
L’ultima scelta
Quando sul letto l’ombra della morte
Incombe e cessa del guarir la speme
giova restar caparbiamente forte
all’incalzar del male che non teme
le cure più speciose e più contorte?
Sol di morir velocemente preme
al corpo avvolto nella triste sorte
di chi morente di dolore geme.
Ed allor perché di vita si deve
imporre il peso a chi morire agogna
serenamente ed in maniera lieve?
Colui che della vita ormai si lagna
e che la morte sceglie meno greve
l’assenza del dolore ci guadagna.
A Mili del Venezuela
L’immagine guardando
di te, che mi sorridi,
vedo negli occhi tuoi
un fiammeggiar foriero
d’amore e di passione.
Allora nella sfera
dell’universo intero,
che fantasia dipinge,
almanaccando vado
cristalli di futuro,
dove tu m’appari cinta
di luce inghirlandata
e d’amorosi accenti,
nell’angolo traslata
di solitaria stanza,
riverberando immagini,
che sanno di speranza.
Ma non languire mesta
nell’angolo supina,
dal desiderio punta
d’inusitati baci
e di fantasmi vani,
poiché risplende il sole
nel cielo del domani
e spanderanno gloria
le stelle del passato
e tu, novella Dea,
un inno leverai
d’amore e libertà
al cielo che risplende
del tuo splendor divino..
Le spire del terrore
Occhi stupiti per cotanto orrore,
d’infami sogni nella mente nato,
con lacrime cosparsi di dolore,
furettano nel mondo dissennato,
tra le fumose spire del terrore,
che vindice si dice d’un passato,
di cui s’è spenta l’eco ed il clamore.
Il grido di vendetta inalberato
dagli assassini in pompa magna ascosi
spinge balordi e mentecatti in massa
a farsi bombe ed ammazzar festosi
la gente ignara che per strada passa,
nel nome di precetti religiosi
che servono soltanto a fare cassa.
Se tu poesia sei
Quali parole
quali dolci frasi
posso vergare
sulla carta bianca
e che pitture
sulla tela stendere,
se tu poesia sei
d’infinita vetta
e tutta splendi
di colori vivi
nel tuo giocondo aspetto?
Io con la mente
ti descrivo e scrivo
struggenti madrigali
mai cantati prima
e son per te pittore
di silenziosi quadri
dove risplende turgida
l’immagine superba
di femmina confusa
col mio sentire umano.
Se rude il tempo
cancellar potrà
la tua bellezza
che mostrando vai
cogente e fissa resterà
per sempre
nella mia mente muta
la tua cara figura
di risplendente stella.
Dalla finestra aperta
Da questa parte di finestra aperta
nel sito che mi vuole assorto e muto
lo spazio scruto che mi sta davanti
e sopra i tetti volo con la mente
fin dove il ciel nel mar si tuffa curvo
tra nuvole difformi e semoventi.
Dietro la tenda trasparente vedo
un volteggiar leggiadro di farfalle
sui vasi colmi di ridenti fiori
e le movenze arcane di colombi
sul balconato amoreggiar festosi
e l’eco ascolto di felpati passi
lungo del tempo immaginarie scale
che salgono nel cielo all’infinito
tra mille bolle colorate e mute
e tingersi d’azzurro evanescente.
Immoto e solitario me ne resto
verso quel cielo che diventa scuro
finché la luna biancheggiando appare
e fan da coro le lucenti stelle
mentre candele non accendo più
del tempo che trascorre e non ritorna.
Eppure grido
Non sfiorano le labbra
più le tue,
né leggere potrò
negli occhi tuoi
immagini d’amore
senza fine
od ascoltar i balzi
del tuo cuore
che brucia di passione
invereconda
ma pazzo son di te
e del tuo corpo,
del vaneggiar scomposto
dei miei sensi,
del tuo restare immota
al mio desio,
di smarrimenti
che temere mi fanno,
assenza di passione.
Eppure grido:
Ti voglio bene
e t’amo come sempre.
Invocazione
Piena d’immenso, Musica divina,
e tu, di versi favoliera, Musa,
che l’anima m’accendi di passione,
vi prego adesso entrambi in questo mondo
di suscitar parole nuove e suoni
non per di gloria ricoprire i fasti
d’Eroi e Santi, malamente esplosi,
ma solo per coprir d’insulti e peti
l’umano progredire dello scempio
di gente invereconda e senza stima.
Non lece certo l’implorare Dio
di far vendetta di cotanto male,
poiché perdono impone la pietà.
Ma voi, che siete di sentire umano
e nel pagano mondo venerate,
le trombe rudi rivolgete in alto,
che squillino feroci e senza freno
finché la fine tutti li sommerga,
questi bastardi maledetti, figli
presunti d’uno sconosciuto Dio,
che li costringe ad essere suicidi
e distruttori dell’umana quiete.
Mostrate loro le sembianze occulte
dell’infernale sede che li attende
e la vergogna che spargendo vanno
nel mondo dei viventi e dei credenti.
Ad un’amica in pena
A te che muta te ne stai seduta
tra nuvole fugaci e variegate
d’affetti e di pensieri e volgi spento
lo sguardo in cielo fuso
ad un passato che non torna più,
ascolta la mia voce
che rincorrendo va la fantasia
ed ignorando l’eco delle pene
la luce mostra di speranza accesa,
di fede e di bontà.
Tra i cirri neri all’orizzonte sparsi
Il sole attende di spuntar splendente
e che del vento l’opera benefica
lontano scacci nuvole e procelle.
Le lacrime versate come tede
con cuore disperato
saranno allor l’effluvio variopinto
di polvere di stelle,
che spargeranno intorno il tuo sentire
e quando infin godrai la quiete,
felice sentirai il tuo respiro
che sul tuo viso aleggia e si riposa.
Pasqua Cristiana
Frammisto all’ombra cupa degli ulivi
lo stesso Dio piangeva,
poiché la vita si rubava in fretta
al Figlio prediletto.
Fugace il bacio traditore e vile,
la frusta, il vilipendio, il duol, la Croce,
la morte, infine, senza colpa alcuna…
La terra sussultò,
mentre nel tempio il velo si squarciò
allo spirar dell’Uomo sulla Croce.
Divinizzò la tomba il corpo inerte
e per tre giorni chiuso vi restò
tra lo sciamare in cielo delle stelle,
che piansero la morte lacrimando,
e lo sconforto seppellì la Fede.
Ma nel silenzio triste del suo seno
il seme germogliò di quella vita
che Dio donò primiera alla natura.
Il vento tacque, il tempo si fermò
nel divenire dell’umano stato,
l’ardor ritrasse la crudele morte
e forze occulte scoperchiar l’avello,
donde rifulse prodigiosa Vita.
Risorse il Cristo e con vigor si cinse
il mondo intero di Speranza, Fede
e Carità divina,
che vivono nei secoli dei secoli
e sempre così sia.
Oggi…
Oggi
sperando che ti fu gradito
baciarmi un tempo
con le labbra schiuse
ti chiedo
di baciarmi ancor di più
oggi
che vita abbiamo
un poco blesa
ed i capelli dalla neve tinti
con sulla pelle
macchie disegnate
e rughe arate
sulle guance smunte
e meno forte
grida la passione
dei nostri sensi
resi più sereni
ed è diverso
il viver nostro nuovo.
Finché rubella
non sarà la sorte
amami ancora
sempre ancor più forte.
Ed è così che vivo…
Ed è così che vivo…
nella penombra della sera insulsa
con la speranza che fantasmi insonni
diventino eclatanti apparizioni
perché d’amore vivo
che solo mi consente di vederti
e non poterti avere
mentre dentro s’acquieta il desiderio
dei miei ruggenti sensi
e gli occhi chiudo sorridendo muto
con la certezza almeno
che vivi in altro luogo
e forse sogni il mio sognare vano.
Tu che mi guardi…
Tu che mi guardi nel silenzio adorno
di vividi sorrisi colorati
tra ciclamini e rose
che noto intorno al tuo stupendo viso,
ancor non hai notato
che sulle labbra terse t’ho baciato.
Un bacio intenso che non ha d’eguali
con il mio sguardo immerso nello spazio
di lacrime corali
che sfuggono silenti tra le stelle,
all’occaso cadenti insieme ad elle.
Hanno libato gli occhi
l’intenso ardore del tuo labbro schiuso
e poi sommerso di cocenti baci
il viso, il seno ed i capelli sparsi.
Ma tutto questo tu non hai capito
e chiaramente taci
oppure sfuggi pur avendo appreso
e titubante resti nell’attesa
d’eventi che mai forse ci saranno.
Giostre d’amore…
Giostre d’amore del focoso mondo
di guerre ormai passate
o forse combattute ricordando
eventi solamente partoriti
dal vivere sereno e senza angosce,
io vivo e sogno di volarvi sopra
caparbiamente assiso
con il cipiglio di spavalde gesta
e come fossi redivivo eroe
percorro saltellando immensi giri
del vostro vorticare senza posa.
Semmai cessar potrà
Il vostro moto eterno e ricorrente
nel mondo che soggiace all’imprevisto
immoto resterò nel contemplare
sognati giri e gesta oltre le quali
il mondo frena e tace
e brilli in cielo solo il desiderio
d’amore eterno e di profonda pace.
In riva al mare
La sabbia in riva al mare,
dal vento spinta, sale
e sembra di volare,
ma lungo il litorale
la vedi scivolare
sull’onda che t’assale
e, simile m’appare
all’orma d’un guanciale,
la forma dove giacque,
disteso nel pendio,
il corpo tuo che tacque
sull’orlo dell’oblio…
e Venere ne nacque
ed io divenni Dio!
Poteri divinatori
Guerreggiano gli scogli
con l’acqua resa torbida
dall’alghe maciullate
e sembra rimbombare
lo sciacquettare stridulo
dell’acqua che li bacia
ed io rincorro muto
all’orizzonte fisso
immagini smarrite
d’ un tempo mai vissuto,
laddove fu conteso
al sole d’apparire
da nuvole offuscate
emerse per incanto
dal cielo rilucente
e mi riscopro mago
capace di predire
future circostanze
legando l’infinito
col mondo circostante,
ma d’improvviso il morso
d’un misero tafano
mi fa sentire un verme
che striscia sulla terra
e non capisce niente
del mondo che verrà.
Dare tempo al tempo
Quando nel cielo splenderanno fisse
a rischiarar d’eterno
le fiamme oscene dell’Apocalisse
e, cavalcando muti,
i quattro cavalieri
orrore e morte andranno seminando,
non vi sarà di certo
chi sfuggirà, nel nome d’un presunto
innominato dio
o d’un barbuto ambasciator profeta
o d’un fottuto dittator bambino,
all’orrido massacro
di tutto l’universo che scompare.
Che vale, quindi, il pugnar sagace
tra genti di diversa razza e fede,
a gloria d’un novello dittatore,
anticipando stragi
che verranno comunque un dì lontano?
Godete, genti, della vita attuale
che Dio ci dette un giorno
e non cercate invano
d’anticipar la fine
dell’annullare ciò che Lui vorrà.
Potenza dell’oblio
Quando del tempo scatterà l’oblio
e cocci diverranno i trilli ameni
che gioia circonfuse di piacere
o fantasmi saranno inconsistenti
le antiche pene, di dolor soffuse,
in questo mondo stranamente astruso,
non più pensieri oblunghi nella mente
future inventeremo costruzioni
di fervide speranze ed altro ancora.
La pace regnerà sovrana e muta
nel divenire saltellante e vario,
ma cesserà la vita con la stasi.
Non è purtroppo nell’uman potere
Il cancellare estremo l’accaduto
poiché sussiste sempre rimembranza
che solo scomparir col tempo suole.
Non vi illudete dunque che la pace
infine regnerà su questa Terra
finché non cesserà la ricordanza
d’antichi fatti rutilanti ancora.
Nell’anniversario della morte di mia madre
Alto levossi il sole
quel mese di settembre
nel suo ottavo giorno
e, come ancora suole,
correa la gente a mare
ad allungar l’estate,
ma tu giacevi immobile
sul letto della morte
ormai serena in viso,
o madre mia perduta,
ed io piangente accanto
muto restavo inerte
a contemplar lo scempio
del male che ti vinse
e non s’arrese indomito
al tuo lottar sagace.
Nel ricordar quel giorno
adesso muto resto
ancor stupito in cuore
del desio che mi colse
nell’ascoltar quell’ultimo
tuo rantolante spiro.
Avrei voluto darti
la vita che mi desti
il giorno mio natio
e risentir la voce
che sempre m’allertò.
Adesso solo attendo
di giungere da Te
per cingerti d’abbracci
che eterni resteranno.
Mamma li Turchi!
“Mamma li Turchi!” l’eco
ancor nell’aria senti!
Spavaldamente un tempo
le remiganti navi
dei saraceni armati
di scimitarre nude
al sole scintillanti,
ferocemente in pugno,
in nome del profeta
sconvolsero le coste
di questa nostra Europa,
segnata dal triscele
e dalla sacra Croce,
la loro insegna issando
di stella e mezza luna
sulle munite torri
di mezzo continente.
Soltanto dei Normanni
l’arrivo li cacciò
dal vecchio continente
che ritornava
tosto
al vivere latino,
ancora adesso in atto.
Il non sopito sogno
dell’Arabo cocciuto
ritenta ancora astuto
d’allora l’avventura
non più tenendo in mano
la scimitarra nuda,
ma seminando bombe,
nei corpi pure ascose
di pargoli innocenti
o mentecatti illusi
di ritornare in vita,
morendo sbrindellati
col nome sulle labbra
del loro grande Allah.
Non più sull’arrembanti
navi carche d’armati
arriva l’invasore
gridando forsennato
il grido di battaglia,
ma su battelli innocui,
scalzo, piangente e lacero,
pane implorando e vita,
che gli negò la guerra.
Ritenta ancor l’impresa,
il popolo islamita,
che già nel tempo fu,
di conquistar di nuovo
il mondo occidentale,
cambiando solamente
la strategia d’azione.
È giusto non negare,
purtroppo, in questa vita,
a chi implorando chiede,
aiuto ed accoglienza.
Lo volle Dio sancire
al Prossimo adeguando
l’amore suo divino
e, se pietà consente,
Il ben comune sia
d’Illuminar le menti
nel nome dell’amore.
Nell’anniversario d’un triste evento
Nell’aria tersa si levò di fumo
una colonna di nerume intenso
e si formò nel cielo un torvo grumo
dallo scenario torbido e melenso
Non era certo il perfido profumo
di carburante esilarante e denso
che scaturisce dal solito consumo
esagerato oltre misura e senso.
Bruciavano le torri gemellate
dell’opulenta Mela americana,
come candele dalla cera nate.
L’attacco proditorio rese vana
ogni salvezza delle condannate
dall’odio e l’onta d’una gente insana.
Troppo silenzio
Quando il silenzio incalza
e la speranza tace,
il cuore più non balza
e sembra pura pace
il crepitar che s’alza
nell’agitar la brace
che fiammeggiando sbalza
a sfavillar loquace.
Il viver mio sereno
In questo arcano mondo,
che di silenzio è pieno,
mi sembra più profondo
d’un precipizio osceno
dove ogni giorno affondo.
A me davanti il nulla …
A me davanti il nulla
e torri di silenzio,
nel cielo conficcate
dalla mia mente esanime,
mi fanno rivedere
lo stato sempre tragico
di chi, tacendo, vive
nell’osservare pavido
il fiume della vita
nel suo veloce scorrere
sul letto dell’orrore.
Il gorgheggiare sordido
dell’acqua scivolante
sui clivi del disordine
ed il guardare immoto
figure tristi e torbide
spezzare tra le rive
le scintillanti lapidi,
devotamente strutte
da chi le volle floride
d’esempi da mostrare,
mi fa sentire misero
d’amore e di pensiero
per questo amaro turbine,
che strugge la natura
e tutto quanto sgretola,
che fu d’onore e vanto
un sempre amato simbolo.
Eppure la speranza
ancora resta fervida
che torni a rifiorire
su questa scena il florido
sentiero della pace
e che l’aspetto scenico
della ragion lo mostri
non più sfasato e torrido.
Allora solamente
le torri del silenzio
che sono a me d’intorno
finiscono d’eccellere
e trilli in ciel salire
mirabolanti e garruli
udranno i sensi miei
non più silenti e stolidi.
******************
NOTE SULL’AUTORE
Giuseppe Nasca, chiamato familiarmente Pippo, nasce a
Catania il 2 Febbraio 1937 nel periodo “nero” dell’Italia,
Frequenta le scuole dell’obbligo e il Liceo Scientifico a Catania. Si
iscrive nella facoltà d’ingegneria di Catania, ma superato il biennio
propedeutico, abbandona gli studi per entrare nelle FF.SS. come
capostazione.
Attualmente in pensione, vive nell’isola amministrativa di
Tremestieri Etneo.
Nonostante l’indirizzo scientifico degli studi e l’attività
prettamente operativa, spinto da una passione innata per lo studio
delle lettere, continua a coltivare e ampliare le nozioni acquisite al
Liceo, cimentandosi in scritti (racconti, saggi, poesie), che inizia a
pubblicare dopo l’entrata in quiescenza (1 Luglio 1996) e
partecipando a numerosi concorsi di premi letterari.
Ha pubblicato con Libroitaliano World di Ragusa:
“Quando l’alba del tramonto incombe”, una raccolta di poesie in
italiano e con la casa editrice Anninovanta – Antasicilia Onlus
“Sicilianaeneide”una rivisitazione completa in versi dialettali siciliani
dell’omonima opera virgiliana.
Con l'Associazione Akkuaria, oltre al presente volume, ha
pubblicato:
“Tutto passa e cambia”, una raccolta di racconti autobiografici;
“Ju fazzu ‘n-soccu mi piaci fari”, saggio su lingua ed usi siciliani;
“La Fede del Gatto e del Topo”, raccolta di racconti fantastici;
“Lu stranu viaggiu”, un poemetto in versi siciliani;
“Ilaria e Catania” racconti ambientati a Catania;
“Di Tia leggiu lu chiantu”, una rivisitazione in lingua siciliana
delle poesie più celebri del Leopardi;
“C’era na vota nta l’antica Grecia”, rielaborazione dei più celebri
miti greci in versi siciliani, preceduti da presentazione in italiano;
“L’importanza di chiamarsi Asdrubale”, trenta vicende di non comune cronaca;
“Gli sproloqui di Pippo”, Libertà di pensiero sul freddo
ragionamento della convenienza.
Suoi scritti, inoltre, quali racconti, saggi, commenti e poesie,
compaiono nelle antologie pubblicate da Akkuaria in varie
occasioni.
Con Lampidistampa ha pubblicato:
“I me’ pinseri” , una raccolta di liriche in dialetto siciliano;
“I salateddi”, raccolta di poesie satiriche in dialetto siciliano;
“Scarabocchiando briciole di sogni”, una raccolta di liriche in italiano.