VOLUME III°
RICORDI RACCONTI E QUARANTENE AI TEMPI DI COVID 19
In questo volume vengono riportati Storie, racconti e ricordi del mio passato in ferrovia, scritti quando ancora non esisteva il covid 19
L’uomo dal fiore in bocca.
Caro vecchio ed amato Pirandello, sempre attuale, sempre presente come non mai alle vicissitudini drammatiche della vita.
Anche lui, che ferroviere non era, ma semplice utente occasionale delle Ferrovie, non ha omesso di citarle nelle sue opere teatrali, traendone delle profonde riflessioni che si imprimono nell’animo umano lasciandone il segno.
L’uomo dal fiore in bocca altri non è che un uomo con sulle labbra un brutto male foriero della sua certa morte. E’costui un condannato a morte che esterna le considerazioni drammatiche del suo stato, paragonandolo a quello di altri che vivono più o meno sereni la loro vita.
La vicenda, un dialogo, si svolge in una piccola stazione ferroviaria, e prende l’avvio da un viaggiatore che ha perso il treno per appena un minuto . La metafora è perfetta Un treno arriverà per l’ultimo viaggio che consentirà al condannato a morte appena un piccolo tratto a piedi lungo la proda per raccogliere un pugno d’erba con tanti fili quanti giorni gli rimarranno da vivere … Lo spettacolo, come è stato realizzato qualche anno fa al Teatro Stabile di Catania, viene allungato dal regista immaginando che i fili siano sette e per ogni singolo filo ne descrive l’angoscia. Un ottimo lavoro di completamento che non sminuisce la drammaticità prospettata dall’attento osservatore dell’animo umano che è Pirandello, che pur non potendo prevedere l’attuale stato d’incertezza dovuto all’attacco dell’attuale pandemia, ha saputo cogliere la drammaticità della morte, il cui momento cruciale nel tempo non è precisato, ma certo. Basta un minuto per perdere il treno o per prenderlo e raggiungere con esso l’estremo arrivo.
“Lu caputrenu cu’ li cugliuna”
Durante il non breve periodo di servizio nelle FF.SS. (Vecchia sigla delle Ferrovie dello Stato) ho conosciuto parecchi personaggi di colleghi veramente particolari, che è difficile dimenticare-
Uno di questi era il Capotreno D’Ambra di Acireale. Non ditemi quale fosse il nome di battesimo, perché non lo ricordo o forse non l’ho mai saputo. Era consuetudine, allora, nei rapporti di servizio usare solo il cognome ed anche adesso da pensionato raramente qualcuno mi chiama Pippo o Giuseppe. Sono rimasto il Nasca di sempre.
Il Capo treno D’Ambra faceva parte di quella schiera di vecchi ferrovieri non molto “acculturati” che aveva iniziato la sua carriera da “manovale”, indi, “frenatore”, poi “conduttore” ed infine “Capo treno”.
Allora si accedeva all’assunzione del personale senza particolari requisiti culturali. Bastava la quinta elementare per poter aspirare a far parte del personale in servizio.
Dopo un periodo di permanenza nella qualifica di manovale, a seconda delle tendenze personali e le esigenze dell’Azienda, si poteva accedere, mediante concorso interno alle qualifiche del personale di stazione, oppure del “personale viaggiante” o del “personale di macchina”.
Il D’Ambra venne scelto per intraprendere la carriera del personale viaggiante. Pertanto divenne “frenatore” .Quest’ultimo lavoro consisteva appunto nell’intervenire manualmente nella frenatura del convoglio agendo sul freno a vite di cui alcuni carri erano attrezzati in speciali garitte.
Allora i carri non erano attrezzati di sistema frenante automatico (westingouse) che venne dopo. Pertanto nel comporre un treno, a seconda delle caratteristiche della linea, bisognava posizionare un certo numero di frenatori che assicurassero l’arresto del treno su richiesta del personale di macchina che lo richiedeva con dei trilli convenzionali emessi dalla locomotiva. Con l’introduzione del freno automatico, la qualifica di frenatore continuò ad esistere con il compito di prendere posto nell’ultimo carro di coda, per assicurare che il convoglio giungesse completo nelle varie stazioni. Insomma il frenatore alla fine si ridusse ad essere il guardiano di coda del treno ed era, quindi, fornito da due bandiere di segnalamento (una rossa ed una verde) di lampada emittente gli stessi colori e di fischietto. Con l’evolversi della tecnologia adesso la qualifica di frenatore è scomparsa non essendo più necessario il presenziamento della coda del convoglio, poiché tutti i veicoli sono forniti della condotta del freno automatico, azionabile dal personale di macchina.
D’Ambra, dopo un certo numero di anni di permanenza nella qualifica di frenatore, passò a quella di “conduttore”, che altro non era se non l’addetto al controllo dei biglietti dei viaggiatori. Questo compito comportava che il nostro D’Ambra si istruisse per benino sulle “condizioni e tariffe” per l’ammissione dei viaggiatori sui treni, poiché in caso di irregolarità egli doveva essere in grado di procedere alla “regolarizzazione” in treno riscuotendo l’importo del biglietto ed eventuali tasse aggiuntive. Insomma, facendo questo tipo di lavoro egli era costretto ad istruirsi in materia, seguendo le procedure previste anche dal punto di vista amministrativo.
Dopo un altro periodo abbastanza lungo da conduttore, D’Ambra fu costretto, per avanzare in carriera e guadagnare anche uno stipendio più alto ad affrontare il concorso a Capo treno. Dopo avrebbe potuto accedere alla qualifica di Capo Deposito Personale Viaggiante con compiti organizzativi del personale tutto. Ma la carriera sua si arrestò a quella di Capo treno ed alla fine andò in pensione proprio da Capo treno.
Certamente il compito che disimpegnava era di gran lunga superiore per responsabilità e conoscenza dei regolamenti. Doveva innanzitutto conoscere bene il Regolamento Circolazione Treni, tenere i rapporti con tutto il personale del treno. intervenire in ogni circostanza od anormalità e tenere anche nelle stazioni i rapporti con il Dirigente di Movimento. Per tutte queste incombenze, egli prendeva posto nel bagagliaio, che costituiva l’ufficio dal quale impartiva le sue disposizioni e che gli consentiva di compilare il Foglio di Corsa del treno.
Quest’ultimo era il documento ufficiale della corsa del treno ed era costituito da diversi quadri, ognuno dei quali corrispondeva a determinate caratteristiche operative. Su di esso venivano riportati i nomi del personale di Macchina , del personale viaggiante alle sue dipendenze, delle caratteristiche tecniche del treno, di un quadro dove erano riportate le stazioni del percorso con accanto le ore d’arrivo e partenza previste e quelle reali da lui annotate di volta in volta. Alla fine vi era il quadro “quinto” dove doveva annotare le eventuali irregolarità riscontrate durante la sua scorta. Insomma si trattava di un vero documento che alla fine doveva essere consegnato nella stazione fine corsa, per essere poi inviato al Capo Reparto Movimento per un ulteriore controllo ed archiviato. Si capisce, dunque che la sua responsabilità era abbastanza rilevante e che quindi era costretto ad assumere una certa personalità adeguata alla sua funzione.
Quando io lo conobbi, egli era quasi agli sgoccioli della sua vita ferroviaria, mentre io ero all’inizio.
Non solo erano diverse le nostre incombenze, ma anche diverso il nostro accedere al tipo di servizio da un punto di vista comportamentale.
Io ero giovanissimo e nonostante avessi, in qualità di Dirigente Movimento, un compito di preminenza su tutto il personale addetto al Movimento dei treni, compreso quello di tutto il convoglio nel momento che esso si fermava sui binari di stazione, trattavo tutti con molta signorilità e gentilezza. Davo a tutti del lei , avendo a che fare con gente molto più grande d’età.
Il riscontro era che tutti mi davano indiscriminatamente del “tu”, trattandomi da ragazzino. All’inizio non feci caso alla questione, ma a lungo andare mi accorsi che Capi treno e Macchinisti avessero una certa riluttanza ad accettare le mie disposizioni verbali e scritte e che le mie attenzioni di comportamento non venissero per niente apprezzati e ricambiati; assunsi ben presto un atteggiamento meno gentile e più improntato alla mia autorità. Passai anch’io al tu, mostrando maggiore sicurezza e personalità.
Nonostante questo tipo di contrasto e la diversa età legai ben presto dei rapporti di reciproca stima con il Capotreno D’Ambra.
Tutte le volte che ci incontravamo, io sul marciapiede della stazione e lui allo sportello del bagagliaio, ci scambiavamo un cenno di saluto, e concordavamo l’ora di arrivo e partenza, che poteva magari differire di qualche minuto per non creare inutili contrasti circa la marcia del treno e del rispetto dell’orario previsto.
Ricordo ancora lo scambio di parole:
- Ciao, D’Ambra. Che ora? –
Lui portava la mano nel taschino del gilet, tirava fuori il “cipollone” di servizio, ostentando una certa precisione e mi diceva l’ora, che poi, era la sua già annotata sul Foglio di corsa non senza rispondere al mio saluto. Quando alzavo la paletta di comando per ordinare la partenza un cenno di saluto con la mano sinistra accompagnava il mio gesto che veniva corrisposto.
Un bel giorno avvenne un piccolo “scontro”, che però non guastò per niente i nostri rapporti.
Avevo un incrocio tra due treni nella mia stazione. A causa della diversa posizione accliva dei binari, preferii aprire il segnale d’ingresso per prima al treno viaggiatori, che era in salita per evitarne l’eventuale fermata al segnale di protezione. Ciò comportò che il treno incrociante, un merci, dovette attendere circa 5 minuti prima di poter entrare in stazione
Non appena giunto si affacciò dal bagagliaio D’Ambra con il suo “cipollone” dandomi l’ora e dicendomi espressamente di aver fatto 5 minuti di “disco” . Gli dissi di non far figurare il disco e di mettere come ora di arrivo 5 minti prima, segnando in ogni caso il ritardo subito come sosta in stazione, anziché disco per attesa del treno incrociante. Non cambiava nulla ai fini della marcia dei due treni e dei relativi ritardi, spiegandogli che avevo preferito di fare in quel modo per impedire la fermata al disco dell’altro treno in salita.
Mi rispose malamente. Lo mandai a quel paese dicendogli di mettere quello che volesse perché tanto quello che scriveva lui non contava niente. Usai anche un termine fiorito.
Dopo parecchio tempo, il D’Ambra, ricordandomi l’episodio che avevo anche dimenticato mi apostrofò: - Appoi, balilla, vidi ca tannu fici comu dicisti tu! Ju sugnu lu Caputrenu D’Ambra, chiddu cu’ li cugliuna!
– Grazie - risposi – Anch’io ho fatto come dicevo io.-
L’episodio non guastò i nostri rapporti. Anzi li rafforzò Con il suo tipico modo di esprimersi voleva significarmi che lui non solo era mio amico, ma che capiva le difficoltà che io avevo dovuto superare in quella occasione. Non solo questo!
Voleva significarmi che lui era sempre disponibile a non litigare per motivi di servizio, come era solito fare il figlio, che, da appena qualche anno era stato assunto da conduttore e che, per mancanza di personale, già disimpegnava, secondo lui indegnamente, mansioni superiori di capo treno. Ci teneva a precisare che egli era “lu caputrenu D’Ambra cu li cugliuna” e che suo figlio era quello che non li aveva.
In verità il figlio non aveva lo stesso carattere aperto del padre. Era entrato in ferrovia ed essendo diplomato di scuola superiore, si sentiva un po’ al di sopra dei colleghi. Cosa quest’ultima che il padre aborriva.
Non so se egli ancora vive , ma non potrò mai dimenticare il suo modo di fare schietto ed accomodante, che si manifestò in un’altra simpatica occasione, che mi fece sorridere ed anche ridere di gusto.
Io ero passato agli Uffici e disimpegnavo mansioni di 1° addetto al Reparto Movimento con l’incarico specifico di controllare tutti i documenti di movimento prima di procedere alla loro archiviazione, segnalando eventuali discrepanze od anormalità.
I documenti erano tanti. Mi arrivavano sul tavolo i rapporti delle varie stazioni del Reparto ed anche i Fogli di corsa dei treni in arrivo a Catania.
Il controllo era quasi formale tutte le volte che non vi fossero eccessivi ritardi e che tutto filasse liscio nel disimpegno del servizio anche dal punto di vista della sicurezza, che, in verità era per lo più affidate al Capo Reparto in persona mediante visite di controllo mirate.
Un bel giorno nell’esaminare i fogli di corsa in arrivo, me ne capitò uno il cui treno aveva subito un vistoso ritardo per una causa poco chiara, che forse avrebbe potuto essere evitato. Il mio compito era, appunto quello di capire cosa fosse successo per i provvedimenti da prendere anche dal punto di vista disciplinare.
Lessi il nome del personale addetto al treno e spiccò chiaro e scritto a stampatello il nome del Capotreno D’Ambra, quello “cu’ li cugliuna”.
Andai direttamente al quadro quinto per leggere il rapporto che egli aveva compilato e rimasi di stucco.
Riporto testualmente il testo del rapporto:
“Si fa presente che nel mentre che il treno stava per arrivare a Catania per un sobbalzo di salto spintoso, che non so come capitato, il calamaro che pigliava posto sul bagagliaio, pieno di inchiostro, che come si sa esti nero e serve per scrivere, a fato una caduta forzosa sulle stazioni che precipitò e che sono rimaste tutte distrutte. Pertanto le ore sono state tutte bagnate e cancellate e non posso resuscitarle e portarle sul Foglio di Corsa Tanto si segnala per dovere che non posso rapportare le ore del treno.
Andai immediatamente al quadro interno del Foglio di Corsa e laddove erano elencate le stazioni e gli orari di arrivo e partenza reali vi era tutta una macchia nera d’inchiostro che ne impediva la lettura.
Anche questa volta D’Ambra aveva mostrato di avere “li cugliuna”, trovando furbescamente il modo e la maniera di non dover relazionare sui ritardi accumulati dal treno per non evidenziare, probabilmente, l’errore di qualcuno.
In compenso appresi che l’inchiostro … poteva distruggere le stazioni e cancellare il percorso di un treno.
Meno male che , con il tempo, calamaio e pennino vennero sostituiti dalla nuova penna Biro ed evitare l’ecatombe del patrimonio immobiliare delle FF.SS.
“ U Cavalieri Tanu”, ovvero,
“La storia del licenziamento del mio primo treno da tirocinante”
Correva l’anno 1960. Un anno per me che segnava l’inizio di una nuova vita, perché abbandonavo definitivamente quella di studente per intraprendere quella del Capostazione. Il primo Luglio dell’anno precedente ero stato assunto , vincitore di concorso, in ferrovia presso la stazione di Catania C/le. Superato il corso della durata di sei mesi ed acquisite tutte le abilitazioni, fui trasferito a Bicocca, stazione carente di personale , per fare il tirocinio ed esservi pertanto utilizzato come Dirigente il Movimento dei treni.
La stazione di Bicocca , molto vicina a Catania C/le ed anche complessa perché vi erano diversi tipi di circolazione, con nuovi apparati sperimentali, essendo di diramazione ed anche un poco agli albori del futuro grosso scalo merci di Catania. Per questo ultimo motivo i binari di corsa erano distinti in fascio viaggiatori ed in fascio merci.
Fui, dunque, immesso prima al tirocinio del servizio telegrafico e poi alla Dirigenza Movimento. Era necessario conoscere bene il telegrafo, perché la circolazione tra Bicocca e la successiva stazione di San Martino Piana avveniva, allora, tramite il telegrafo ed i capistazione dovevano pertanto conoscere bene l’alfabeto morse.
La figura del Dirigente Movimento era abbastanza complessa e carica di incombenze abbastanza complicate. Egli, oltre ad avere rapporti con il Telegrafista, comunicava con il Dirigente Centrale ed inoltre era collegato ad un complesso di personale addetto al servizio deviatori, situato in una cabina distante una cinquantina di metri dal suo ufficio.
Non parlo degli altri rapporti con il rimanente personale, poiché ai fini di questo mio racconto intendo focalizzare i rapporti tra DM e Cabina Deviatori
Nella suddetta cabina facevano servizio un Deviatore Capo che teneva i rapporti telefonici con il DM regolati da fonogrammi registrati sui due protocolli. Inoltre facevano servizio altri tre deviatori con le mansioni di manovrare le leve dei relativi deviatoi, azionati mediante un Apparato Centrale Idrodinamico.
E’ da dire che l’ACI, un sistema innovativo nel movimento dei deviatoi richiedeva una particolare preparazione tecnica essendo legato ad un meccanismo idrodinamico che produceva l’energia necessaria per manovrare i deviatoi con le leve dalla cabina.
Ormai questo sistema idrodinamico non esiste più essendo stato soppiantato dal più moderno Apparato Centrale Elettrico ad Itinerario affidato al Dirigente Movimento, ma allora costituiva una novità innovativa.
Sia a causa di tali conoscenze tecniche, sia a causa che le incombenze del Deviatore Capo praticamente assorbivano una metà di quelle proprie del DM., tra i due agenti vi era un reciproco legame operativo, che talvolta sfociava in qualche contrasto di tipo umano, a seconda di chi fosse in servizio.
Il DM aveva l’obbligo di rendere edotto il Deviatore Capo dello svolgersi della circolazione, comunicandogli le eventuali precedenze tra treni viaggiatori e treni merci ed anche il cambio degli incroci. Il Deviatore Capo, cui era anche devoluto la manovra dei segnali di arrivo e partenza, non poteva manovrarli se non ricevendo il consenso elettrico inviato dal Dirigente il Movimento.
Avveniva spesso e volentieri che qualche fonogramma non venisse scambiato per particolari situazioni e che tuttavia il Deviatore Capo, per altra via (Blocco elettrico manuale Cardani) ovviasse al mancato fonogramma richiedendolo .Insomma, nonostante qualche mancata incombenza, tutto filava liscio se vi era una buona intesa tra DM e Deviatore Capo. Ma non sempre vi era questa benedetta intesa!
Uno dei Deviatori Capo che espletava il servizio in Cabina , era il Sig Giuseppe Pulvirenti, “Don Puddu”. Una persona squisitissima, che teneva ottimi rapporti con tutti i DM. Egli era una “spalla” validissima per il DM. Seguiva la circolazione in maniera attenta. Tutte le volte che rilevava qualche omissione fonografica del DM, prontamente ne richiedeva la trasmissione ai fini della sicurezza e del buon andamento del servizio. Badava a mandare un agente con tempestività a “pompare” la macchina idrodinamica per manovrare gli scambi, il cui indice non doveva mai andare al di sotto di un determinato limite per assicurare che la pressione dell’acqua fosse sempre sufficiente a manovrarli ed annunciava l’arrivo dei treni viaggiatori e dei treni merci. Tutti ricordavano e forse qualcuno, ancora in vita, ricorda la sua titanica voce annunciare:
“ E’ in arrivo al Fascio Merci il treno ____ . Le manopre stiano fremme”.
Tempestivamente le manovre si fermavano nei binari che interessavano il fascio merci costituito da tre binari ed inoltre si informava anzitempo della lunghezza di ogni singolo treno per scegliere quello più idoneo.
Oppure si sentiva gridare: “ E’ in arrivo da ________ treno viaggiatori per ________ Allontanarsi dai binari”. Se il treno non aveva fermata a Bicocca, la voce annunziava : E’ in transito treno ______ dal primo binario treno ______ Allontanarsi dal primo binario.
Questo annuncio era particolarmente apprezzato dal gestore del piccolo bar di stazione, che schierava due dei suoi venditori di granite e caffè pronti a gridare a loro volta: “Graniteee. Caffè caldooo”.
Non tutti i Deviatori Capo erano così solerti nell’annunciare l’arrivo dei treni viaggiatori. Quando il treno annunciato era in transito senza fermata. il Gestore del bar evitava di far schierare i suoi addetti e, pertanto, quando era di servizio Don Puddu, si sentiva più tranquillo ed inviava di tanto in tanto quattro granite ai deviatori di servizio.
L’ottimo Don Puddu, oltre ad essere un’istituzione vera e propria per la stazione di Bicocca, era effettivamente un uomo buono che si faceva in quattro per gli altri. Sempre disponibile a cambiare il proprio turno in caso di esigenze particolari, non sapeva nel modo assoluto rifiutarsi a quanto gli venisse richiesto, non suscitava discorsi e contenziosi nei confronti dei DM e dei suoi colleghi. Insomma una persona corretta e perfetta,
Ma tutte le volte che era di servizio in turno con il “Cavaliere” tirava fuori le grinfie e diveniva intrattabile e scorbutico fino all’inverosimile.
Chi era il “Cavaliere?” Ovviamente un D.M.(Dirigente Movimento).
Di lui si diceva che fosse stato trasferito da Modica a Bicocca per punizione. In effetti non era contemplato tale tipo di punizione dallo Stato Giuridico del personale, anche se placidamente era messo in atto, mascherato per esigenze di servizio, al solo fine di eliminare spinose questioni di convivenza con gli altri.
Si raccontava che lì, a Modica, dove faceva servizio, avesse in uggia uno dei deviatori e che in ogni modo lo “sfottesse” molto sovente con motti salaci ed offensivi. Qualcuno dice che gli insidiasse anche la moglie, piuttosto avvenente, tacciandolo di un’offesa che è ritenuta grave in Sicilia, quella di “cornuto patentato”
Il poveretto, sopportava pazientemente le angherie del DM finché una bella mattina non gli saltò addosso menandolo a calci e pugni fino a lasciarlo stordito per terra. Non si limitò a questo. Quando lo vide svenuto per un preciso uppercut al mento si stese con il dorso a terra e se lo caricò a cavalcioni stordito come era, gridando: “aiuto, aiuto mi sta ammazzando”. Sicché chi accorse alle grida, trovò il deviatore steso a terra con sopra a cavalcioni il DM, che intanto si era ripreso, con le mani in guisa di volerlo soffocare.
Fu aperta un’inchiesta, dalla quale risultò che il DM , di cui era nota la sua alterigia, aveva menato il deviatore, che si sapeva costretto a subire le sue angherie. Venne punito disciplinarmente e gli venne imposto il trasferimento a Bicocca per esigenze di servizio, che dovette accettare.
Questo si diceva del “Cavaliere”, titolo di cui fregiava ambiguamente, per la circostanza che nel paese di origine aveva la passione dell’equitazione e lo avevano battezzato “Cavaleri de’ pira”. (Cavaliere dei piedi)
Quando non era di servizio , indossava degli stivali ed i vestiti da cavallerizzo non escluso un Kepì tipico.
Anche dopo il trasferimento a Bicocca con alloggio di servizio ad Acquicella, continuava a vestire in maniera estrosa quando non era di servizio: calzoni alla zuava, giubbotto nero, camicia bianca e cravatta a farfalla oltre ad un cappello che somigliava ad uno di quei fez con la frangia laterale come quelli che era solito indossare il Duce.
Sostanzialmente, quel titolo, che altro non era se non un nomignolo, diventò il suo emblema e godeva nel sentirsi chiamare “Cavaleri”, quasi facendo capire d’averne ricevuto ufficialmente la nomina. Questo perché, a quei tempi, il titolo di Cavaliere del lavoro veniva attribuito ai Capi stazione più anziani. In verità non a tutti, ma semplicemente a quelli che arrivavano a diventare CS Titolari di impianti di una certa importanza, quali, nella Sicilia orientale Catania e Bicocca.
Un proverbio siciliano dice che la volpe perde il pelo, ma non il vizio. Tale proverbio calzava perfettamente con il ostro Cavaliere. Egli come nella precedente stazione di Modica, continuò a dimostrare il suo carattere dispotico nei confronti dei colleghi di “rango” inferiore, trattandoli come degli stracci. Per questo motivo l’ottimo Deviatore Capo, detto Don Puddu, non legava per niente con lui. “A mia non mi metti i peri nta facci nuddu” , diceva arrabbiatissimo.
Ricordo che il primo giorno di tirocinio ebbi l’onore ed il vanto di inaugurarlo con il Cavaliere, il quale mi fece tutto un discorso introduttivo, dove, sfoggiando tutto il suo sapere ferroviario, concluse che avrei dovuto, per prima cosa saper licenziare i treni e pertanto stabilì che dovevo iniziare facendo per prima il Dirigente di Movimento Esterno e, cioè, imparare come ordinare la partenza ai treni, inscenando un esemplare mimetico atto.
Si portò al centro della panchina e con il fischietto in bocca emise un triplice fischio; indi con la mano destra alzò la paletta in alto, raccomandando che non suscitassi equivoci nei confronti del personale del treno. Spiegò che il triplice fischio serviva per allertare tutto il personale del treno ed i viaggiatori che si stava per partire e che il successivo segnale della paletta alzata ordinava al personale di macchina di partire.
Insomma, nello spiegarmi quell’atto di licenziamento dei treni, mi sembrava che volesse esprimere tutta la filosofia insita in quel gesto, come se stesse illustrando una invenzione ferroviaria al suo primo apparire. In effetti bastava un solo trillo del fischietto e non tre, come egli era solito fare.
Nella foga di questa sua spiegazione dimenticò di dare alla cabina il fonogramma di precedenza del treno R 413 (il rapido per Palermo) sul treno merci 7495 in ritardo)
Fu così che mentre Don Puddu annunziava l’arrivo del treno 7495 al fascio merci e che le “manopre si fremmassero”, il treno R 413 entrava trionfante e lemme lemme in 4° binario merci, dove si fermava.
Il cavaliere, prima stupito, capì al volo l’errore procedurale commesso e silenziosamente entrò in Dirigenza per dare il consenso di partenza alla cabina dal 4° binario verso Palermo.
Si udì sarcastica la voce di Don Puddu annunziare : - E’ in partenza dal 4° binario merci il treno viaggiatori rapido R413 per Palermo. Le manopre stiano fremme –
A denti stretti il Cavaliere mi dette la paletta in mano ed all’apparire del verde di via libera, mi disse, senza batter ciglio: “ Vediamo come licenzi il treno R 413”.
Partito il treno, egli aggiunse compostamente: “Caro Peppe, ni ficiru u piritu”. (Il “pirito” in siciliano significa il peto, ossia la pernacchia). Non fece alcun rimprovero alla cabina, dal momento che non aveva dato il fonogramma di precedenza tra i due treni, anche se sapeva benissimo che “Don Puddu” gli aveva fatto il classico sgambetto.
Questa è la storia del mio primo licenziamento di un treno a Bicocca, avvenuto all’inizio del tirocinio al servizio movimento.
Non lo dimenticherò mai.
Un’altra caratteristica del Cavaliere, di livello culturale non molto elevato, era il profondo rispetto che aveva nei confronti di coloro che egli riconosceva avessero un grado di istruzione superiore al suo e si sforzava in ogni caso di imitarne le orme ed ove potesse di misurarsi con loro, sciorinando ampollosi discorsi dimostrativi.
Dopo qualche settimana di conoscenza più profonda sono riuscito a conoscere meglio la sua indole. Intavolava con me delle discussioni di un certo livello nel campo della letteratura e della fisica, che avevano tutto lo scopo di acquisire delle nozioni che sconosceva. Anche nel campo professionale delle FS si prodigava a studiare risoluzioni tecniche ferroviarie, mostrando un interesse che, tutto sommato gli faceva onore.
Subito dopo il mio volontario trasferimento a Raddusa, seppi dei contrasti che nacquero tra il suddetto CS Titolare ed il Cavaliere.
Era in atto la trasformazione di Bicocca, che prevedeva un allargamento dei binari di deposito ed alcune modifiche al ricevimento dei treni al fascio merci.
Qualcuno nelle alte sfere ferroviarie aveva cominciato a capire che la stazione di Bicocca necessitava di un potenziamento che, dopo, venne definitivamente completato quando ne divenni io il CS Titolare.
Il Cavaliere Tano, per conto suo elaborò una relazione spontanea, che più o meno corrispondeva al piano realizzato, costruendo a sue spese e per diletto un plastico della stazione, completo dei nuovi binari e tipo di servizi da realizzare.
Quando tutta l’opera venne realizzata dalla Direzione Compartimentale di Palermo, il CS Titolare della stazione di Bicocca ne ricevette un plauso, che, successivamente gli fruttarono la titolarità della stazione di Palermo Centrale, che costituiva allora il massimo della carriera di un Capo Stazione.
Il Cavaliere Tano si sentì defraudato e non digerì quel plauso. Accusando il CS Titolare di Bicocca di plagio, rivendicò a se la genitura di quei lavori, avendo presentato a suo tempo una sua relazione per via gerarchica.
Una questione di prestigio mancato che pagò caramente.
A causa di codesta diatriba, che ebbe degli accesi diverbi, il Cavaliere Tano andò soggetto ad un’altra inchiesta da parte dell’Ufficio Movimento, il cui funzionario incaricato, nell’interrogatorio preliminare, gli disse bello chiaro e tondo che la sua permanenza a Bicocca era diventata problematica. Aggiunse che se avesse voluto evitare una denunzia per calunnia ed offese personali al CS Titolare di Bicocca ed al Capo Ufficio Movimento avrebbe dovuto semplicemente fare una domanda di trasferimento in Sardegna, che sarebbe stata accettata e così togliersi definitivamente dalle palle per domanda soddisfatta.
Il nostro eroico ed acido personaggio, a questo punto rispose al funzionario inquisitore: “Il Cavaliere Gaetano, qui presente, accetta la via dell’esilio e non quella del disonore. Pertanto chiede di essere trasferito in Sardegna”
E fu l’esilio!
Egli raggiunse la sua nuova sede a Cagliari e di lui non si seppe più niente in Sicilia. Solamente due anni prima di andare in pensione ricomparve a Palermo, quando ormai le luci e l’eco delle sue vicende si erano spente, e lo rividi in veste di addetto all’Ufficio Movimento per un incarico da svolgere a Catania
Anche se i suoi bollenti spiriti sembravano essere svaniti, lo rividi con addosso i suoi pantaloni alla zuava, il suo giubbotto scuro, la sua camicia bianca ed il cravattino a farfalla nero, che indossava ormai da sempre, avendo messo da parte la divisa di Capo Stazione.
Questo di lui non era sicuramente cambiato.
Oggi non è più tra noi. Mi chiedo se stia ancora litigando con San Pietro su come esercitare il suo compito di primate del Paradiso.
La visita di sorpresa
Una delle figure che si impose per un lungo periodo tra gli ex capistazione come Capo Reparto Movimento di Catania fu quella del buon Silvio Recchia, persona squisitamente simpatica, proveniente per nascita dall’italico Abruzzo, ma naturalizzato catanese.
Il compito che si assunse di disimpegnare non era dei più facili. Una cosa era ragionare da Capo stazione ed un’altra quella da controllore dell’opera svolta da altri capi stazione.
Il povero Silvio non ci dormiva la notte. In quel periodo; io disimpegnavo le mansioni di segretario tecnico del Reparto, ossia di addetto al controllo della sicurezza dell’esercizio e, quindi, avevo modo di notare il piccolo dramma che viveva il buon Silvio.
Dovette sottoporsi ad una specie di lavaggio del cervello, dimenticare l’accomodamento di determinate situazioni scabrose nei confronti dei suoi ex colleghi ed assumere l’aspetto del controllore inquisitore e vigile del R.C.T.
Mentre il mio compito era quello modesto di ordinaria revisione dei documenti di circolazione, quello del CRM era di promuovere azioni ispettive. Ciò significava che, tra i suoi compiti, occupava grande rilevanza quella delle visite di controllo a sorpresa durante le ore di lavoro dei dipendenti, le quali potevano essere diurne ed anche notturne. Lo scopo evidente era quello di evitare abusi da parte del personale dipendente e scoprire eventuali pecche nell’applicazione del Regolamento Circolazione Treni.
La nuova teoria della “piramide rovesciata”, in caso di gravi incidenti, implicava anche la responsabilità del CRM nel caso venisse evidenziata una vigilanza non adeguata sull’operato del personale dipendente.
Il povero Silvio, che per natura era un poco pacioccone ed accomodante, la nuova carica lo trasferì in un mondo del tutto nuovo. Diventò una specie di Fantomas del Regolamento. Compariva nelle ore più impensate nei posti più remoti di servizio alla ricerca di scoprire violazioni di quello che considerava ormai il vangelo del suo lavoro. Scoprì che in alcuni Passaggi a Livello, la corrispondenza telefonica non era rispettata. che qualche Capo Stazione al piazzale di Catania, lasciava anzitempo il servizio alla chetichella ed altre piccole marachelle mai apparse prima. Gli si rizzarono i capelli in testa quando analizzò le procedure adottate in caso di guasto al blocco reversibile, cui era sottoposta la Stazione di Catania C. Cosa, quest’ultima che avveniva sovente poiché i topi, attratti dagli impulsi di corrente elettrica, rosicchiando le protezioni dei fili di collegamento dei binari, provocavano l’oscuramento dei circuiti di binario.
Ma sentite cosa gli successe un bel giorno.
Era uno di quei giorni invernali durante i quali la stazione di Scordia, generalmente retta da un gestore, veniva abilitata al movimento nel periodo notturno per consentire la formazione di due treni di agrumi per il continente e la sistemazione dei vuoti per il carico dei giorni successivi. Vi erano state delle lamentele. Qualcuno avanzò anche delle accuse di favoritismi a determinati clienti. Insomma una situazione piuttosto ingarbugliata che necessitava di una indagine silenziosa e discreta. Per questo motivo il buon Silvio piombava improvvisamente a Scordia durante la notte e tutte le volte che egli era presente le cose andavano per il giusto verso, ma negli altri casi non c’era verso. Fu così che decise di arrivare durante la notte in stazione con la sua macchina personale e di osservare a distanza i movimenti di manovra e tutte le operazioni di composizione dei treni. Si posizionò con la macchina in prossimità del PL sulla strada per Francofonte e da quella postazione, munito di un blocco Notes, annotava ogni cosa ritenesse non eseguita a puntino. La notte era buia e per poter prendere degli appunti, si serviva di una lampada a pila, che, di tanto in tanto, era costretto a spegnere ed accendere. Non era ancora arrivata l’era dei telefonini fotografi.
Avvenne che quel continuo gioco di luci intermittenti venne notato da una pattuglia di servizio dei Carabinieri, che ritornata sui propri passi, scusate, sulle ruote della loro macchina, circondarono l’auto del povero Silvio con i mitra spianati. Gli venne intimato di uscire dall’auto con le mani alzate. Nonostante cercasse di spiegare cosa facesse, venne perquisito e, per quanto cercasse di spiegare chi fosse ed i motivi per cui si trovasse in quel posto, venne caricato sull’ auto dei militari e condotto di peso in stazione, dove gli astanti restarono sbalorditi nel vedere il proprio Capo Reparto tra quattro carabinieri che lo guardavano a vista.
Fu subito chiarito l’inconveniente ed il comandante della pattuglia presentò le sue scuse, ma si giustificò per i frequenti furti di agrumi che, tra le altre cose, si verificavano nello scalo ferroviario di Scordia.
Da quel momento, Silvio, pur non rinunziando alle sue visite di sorpresa, ritenute necessarie, tutte le volte che ne effettuava una, prese l’abitudine di presentarsi prima al personale di servizio.
Lo scontro evitato.
L’episodio di cui vado adesso a parlare affonda il suo ricordo nella notte dei tempi, quando vigeva il sistema con D.U. (Dirigente Unico), basato sullo scambio di fonogrammi tra quest’ultimo e gli addetti degli impianti presenziati da un agente, chiamato Gestore, in parte responsabile ai fini della sicurezza della circolazione. Il D.U. Aveva la responsabilità diretta del distanziamento e degli incroci dei treni ed il Gestore quella di esecutore dei suoi ordini tramite dei fonogrammi registrati.
Questo sistema di esercizio con D.U. , anche se ancora previsto, ormai non viene applicato, poiché è stato sostituito anche nei tratti di intenso traffico dal moderno sistema di esercizio con D.C.O. (Dirigente Centrale Operativo) basato sulla circuitazione dei binari e sulla manovrabilità dei deviatoi e dei segnali di protezione e partenza delle stazioni elettricamente ed a distanza. Codesto ultimo sistema di circolazione consente anche che gli impianti non vengano presenziati da alcun agente, tranne qualche eccezione per quelli più importanti e necessari.
Il treno omnibus 2993 ed il treno rapido R 412 avevano normalmente l’incrocio nella stazione di Catenanuova, ma il più delle volte l’incrocio, avveniva in una delle stazioni comprese tra Dittaino e Catenanuova. Per fare avanzare il treno 2993 fino alla nuova sede d’incrocio era necessario che il D.U. avesse conferma che il treno R 412 fosse stato avvisato della nuova sede d’incrocio. Ciò costituiva una grande difficoltà per il D.U. poiché il treno R 412 aveva una sola fermata nella stazione di Enna transitando d’orario da tutte le stazioni fino Catenanuova. Il D.U. si trovava, pertanto, in grosse difficoltà per spostare l’incrocio. Cosa che poteva fare solo se il treno R 412 fosse stato avvisato in tempo dello spostamento d’incrocio.
Quel giorno il D.U. operante, avendo acquisito per tempo il ritardo del treno R412 stabilì di fare l’incrocio a Libertinia. Pertanto dette incarico al D.M. di Dittaino, stazione capo tronco, di avvisare il tr R 412 della variazione dell’incrocio. Il DM di Dittaino si rivolse a quello di Enna d’avvisare il treno in questione d’incrociare a Libertinia il treno 2993. Avuta conferma dell’avviso in questione già per tempo, il D.U. dette disposizione al gestore di Libertinia di disporre gli scambi per ingresso del treno 2993 in primo binario deviato. Avutone conferma, dava disposizione al DM di Catenanuova di fare avanzare il treno 2993, che tra l’altro non aveva fermata a Sparagogna. Non appena il tr R 412 transitò da Raddusa egli dette l’ordine al Gestore di Libertinia di aprirgli il segnale di protezione, mentre l’atro treno transitava da Spargogna. Tutto perfetto come da manuale. Ma ecco che il Gestore di Libertinia si annunziò al telefono ed invece di dare il “giunto” come previsto , turbato, disse che il treno R 412 era transitato, nonostante fosse stata esposta la bandiera rossa .
Il D.U. emise un grido gutturale di disappunto alzandosi in piedi dalla sua postazione, ripiombando pallido in viso sulla sedia. Accorse il Capo Gruppo ed il Dirigente Centrale che operavano nella stanza accanto. Si generò il panico , poiché lo scontro tra i due treni sarebbe senza meno avvenuto tra le stazioni di Sparagogna e Libertinia. Ci sarebbero stati sicuramente dei feriti e delle vittime. Bisognava solo capire dove potesse avvenire esattamente l’impatto per avvisare i soccorritori. Ci si stava preparando al peggio, quando si ripresentò al telefono il Gestore di Libertinia annunziando che il treno Rapido si era fermato sul deviatoio d’uscita tallonandolo e che il treno 2993 si era intanto fermato al segnale di protezione. Fu come uscire da un incubo. Gli animi si riassicurarono: il temuto scontro non era avvenuto. Ci sarebbero stati dei ritardi, ma, per fortuna, non era avvenuto il peggio. I due macchinisti del treno R 412 , avevano dimenticato di avere avuto l’ordine d’incrocio a Libertinia e se lo ricordarono per il sussulto ricevuto dal convoglio tallonando il deviatoio. Il treno venne fatto retrocedere, in stazione e, rimanovrato il deviatoio, venne fatto entrare il treno 2993. Il capotreno ebbe l’accortezza di avvisare i viaggiatori che il convoglio si muoveva per manovra. Ovviamente i due treni subirono dei ritardi , ma non avvenne lo scontro temuto. Il D.U. fece intervenire gli operai del Servizio Impianti Elettrici che provvidero alla riparazione del deviatoio.
Fu subito aperta un’inchiesta per evidenziare le responsabilità dell’accaduto. Emerse subito l’errore in cui erano incorsi i due macchinisti, ai quali vennero inflitti dei giorni di sospensione previsti dallo Stato Giuridico del Personale FFSS.
Nessun addebito al rimanente personale. Non ricordo se il capotreno sia riuscito a tirarsene fuori oppure no. Comunque, emerse, in questo caso, che il Regolamento era stato provvidenziale. Infatti senza la norma che prevedesse la predisposizione degli scambi da parte del Gestore, il treno R 412 non avrebbe tallonato il deviatoio e lo scontro sarebbe sicuramente avvenuto.
Ciò che non emerse, però, fu che impostare d’orario un treno Rapido senza alcuna fermata (nemmeno nella capo tronco Dittaino) in un tratto di linea gestito a Dirigenza Unica non era certamente cosa ben fatta. Fortunatamente, oggi in quel tratto di linea, gestito ormai da DCO, un simile errore non può più avvenire.
Ciò di cui non si parlò per niente fu che il Dirigente Unico di servizio in seguito all’evento si trasferì in altra sede con incarichi diversi dalla circolazione dei treni con quel regime, essendosi ammalato di cuore ed andando incontro ad un infarto che lo spedì dritto nel mondo dei più.
Il trauma subito in quella occasione, nonostante avesse operato in modo impeccabile fu tremendo e segnò in modo indelebile la sua vita.
Un licenziamento per giusta causa
Ero già andato in pensione da circa dieci anni, quando incontrai lungo la circonvallazione a mare di Catania una persona che avevo ormai quasi dimenticata. Stentai a riconoscerla. Anzi non la riconobbi per niente… Fu lui a dirmi:
- Non mi riconosce? Non si ricorda di me? Bicocca, non ricorda? Io sono Guerrella …
Ricordai subito la persona, che era ormai cambiata nell’aspetto. Allora era giovane. Adesso mostrava i capelli più bianchi che grigi ed il volto era solcato da rughe che non aveva prima. -Si adesso ricordo, risposi e lui di rimando aggiunse: - Ho vinto la causa con le FS. Sono stato riassunto. La settimana prossima devo presentarmi alla stazione di Bicocca per riprendere il mio servizio. Nei suoi confronti non ho alcunché da rimproverarle. Lei si è comportato correttamente con me, ma io avevo ragione. E’ durata venti anni. Mi ci sono dovuti due avvocati, poiché il primo è morto prima.
Rimasi di stucco a sentire quella notizia. Erano ormai passati circa venti anni da quell’episodio, che si era concluso con il licenziamento di quella persona per assenza arbitraria prolungatasi oltre il 15° giorno come previsto dallo Stato Giuridico del personale FS.
Io ero CS Titolare della stazione di Bicocca da circa un anno, quando venne trasferito nella stazione un manovratore, proveniente da una stazione del Nord. La sua presentazione reale venne preceduta dalla cartella personale, un documento dove si elencavano gli atti dell’agente dal momento in cui era stato assunto.
La lessi attentamente e mi sembrò di capire che era stato trasferito in Sicilia, a Bicocca, per domanda soddisfatta. Ma leggendo attentamente il curriculum, scoprii che il vero motivo del trasferimento era stato quello di toglierselo dalle scatole per tutti i provvedimenti disciplinari accumulati. Insomma, mi sembrò di dover aver a che fare con una persona poco raccomandabile. Tuttavia non espressi alcun giudizio preventivo, rimandando la mia opinione alla conoscenza diretta del nuovo arrivato.
Lo accolsi bene, lo lasciai parlare liberamente e mi raccontò di essere nativo di Lentini, ma di avere la propria famiglia a Catania e che era riuscito a farsi trasferire per ricongiungersi ad essa. Mi disse pure, che nella vecchia sede era andato incontro a delle incomprensioni con i suoi diretti superiori, lamentando che erano persone del Nord, abituati a trattare male noi del Sud.
La mia impressione fu di trovarmi davanti ad una persona equilibrata, serena, desiderosa di poter lavorare finalmente in Sicilia … Sì! Tutto sommato mi fece una buona impressione. Lo tranquillizzai dicendogli che a Bicocca si era tutti una famiglia e che tra i colleghi vi era molto cameratismo. Sarebbe stato trattato bene e lo esortai a farmi conoscere per tempo eventuali sue esigenze o necessità.
Egli venne inserito in turno ed in verità non mi venne avanzata alcuna lamentela o comportamento scorretto. Ma venuta l’estate, scoprii che egli , intorno alle ore 11,00 antimeridiane si allontanava dalla squadra di manovra, cui era stato destinato, ritornando intorno alle 13,00, ossia al momento di smontare dal servizio. Andando in fondo alla questione, mi fu riferito che egli alle ore 11,00 circa antimeridiane si allontanava per andare a fare un bagno nella vicina spiaggia della Playa e di ritornare poi alle ore 13,00 , prima di smontare.
Lo richiamai e gli feci capire che il suo comportamento non poteva essere tollerato e che si astenesse per il futuro di simili iniziative. Mi chiese scusa ed in effetti la faccenda non si verificò più Mi sembrò infine che egli, un po’ come tutti gli altri si fosse adeguato all’andazzo del servizio.
Intanto era in atto la trasformazione dell’Azienda Fs in Ente Statale per essere traghettato in SpA. Ciò comportò un diverso modo di trattare i casi di assenza per malattia. Le FF.SS si continuavano a servirsi delle prestazioni dell’Ufficio Sanitario Ferroviario per la riammissione in servizio del personale ammalatosi o per la loro diretta assunzione, previo precedente concorso.
Sostanzialmente, mentre si accettava la dichiarazione di malattia del medico di famiglia, per la riammissione in servizio, specie per periodi superiori ad un determinato numero di giorni, necessitava il Nulla Osta dell’Ufficio Sanitario, che continuava ad esercitare il suo compito ai fini della sicurezza dell’esercizio, come recitato nel Decreto Legislativo emesso.
In questo clima di innovazione, avvenne che il Guerrella si dichiarasse ammalato presentando il certificato emesso dal suo medico di famiglia. Il suo stato di malattia venne regolarmente accettato. Passati circa dieci giorni Egli si presentò esibendo il certificato di guarigione emesso dallo stesso medico di famiglia, che, in osservanza delle norme ricevute, avrebbe dovuto essere avallato dall’Ufficio Sanitario.
Feci presente al Guerrera che avrebbe dovuto sottoporsi al Nulla Osta dell’Ufficio Sanitario. Pertanto lo pregai di recarsi nella Sede di viale Africa a Catania esibendo lo stesso certificato che aveva presentato in segreteria. Si trattava di una formalità alla quale, purtroppo non era possibile derogare.
Mi rispose che ciò era contro la legge nazionale, ma PER FARMI UN FAVORE si sarebbe presentato all’Ufficio Sanitario.
Ciò egli fece, ma per dire chiaro e tondo al Capo dell’Ufficio Sanitario Dottor Sicari, che non si sarebbe fatto visitare da lui perché non previsto dalle norme nazionali .
Seguì uno scambio di telefonate, un colloquio chiarificatore con il Guerrella, che infine ritornò all’Ufficio Sanitario solamente per ribadire con tracotanza al Dottor Sicari che non accettava di essere visitato né da lui, né da altro medico che non fosse quello di famiglia, come stabilito in campo sanitario nazionale.
Mi trovai in serie difficoltà! Non potevo accettarlo in servizio senza il beneplacito dell’Ufficio Sanitario, essendo chiaro che in caso di eventuale infortunio sarebbe emersa la mia responsabilità. Inoltre l’agente mi disse chiaro e tondo che egli non sarebbe più tornato dal Capo Ufficio Sanitario nemmeno se costretto dai carabinieri. Capii, a volo, che la situazione esulava dalla mia competenza. Pertanto informai l’Ufficio Compartimentale del Personale della situazione. Su richiesta di quest’ultimo, inviai un fattorino al domicilio del Guerrella. La moglie riferì che era da tempo separata dal marito e che non sapeva dove abitasse e che pertanto non era in grado di fornire il suo nuovo indirizzo. Il Guerrella non si fece più sentire. Scomparso. Di lui non si sapeva dove fosse, cosa facesse, come vivesse ed in ogni caso non si presentò più né all’Ufficio Sanitario né in stazione.
Informato l’Ufficio Compartimentale del Personale, venne emesso provvedimento di licenziamento dell’agente in applicazione dell’articolo dello SGP, avendo prolungato un’assenza arbitraria superiore ai 15 giorno prevista, senza alcun giustificato motivo.
Mi venne comunicato il provvedimento e non sentii più parlare del Guerrella. Dopo, io venni trasferito a Catania C/le , da dove andai in quiescenza-
L’incontro casuale con l’agente in questione lungo la circonvallazione a mare avveniva circa a distanza di venti anni dall’avvenuto licenziamento.
Durante codesto periodo, la causa tra lui e le FFSS si era protratta con alterne vicende finché, alla fine la Cassazione aveva stabilito che l’agente venisse reintegrato nel posto di lavoro con il diritto ad avere rimborsati gli stipendi non percepiti e le eventuali mancate progressioni in carriera, per un cavillo burocratico rilevato nella procedura di licenziamento.
Fu così che il Guerrella, riuscì dopo venti anni a godersi venti anni di stipendio non lavorato, percepire una discreta pensione per un lavoro mai effettuato e liberarsi dall’incombenza di assistenza degli alimenti alla moglie ed ai figli abbandonati.
Sacramento
Lo chiamavano “Sacramento”, ma il suo vero cognome era Failloni. Era un macchinista del Deposito Locomotive di Catania, approdato in Sicilia dal Veneto, sua terra natale.
Rossiccio di capelli, smilzo con due baffetti alla Mandrake, simpatico e cordiale, si era beccato quel soprannome (‘ngiuria , in siciliano) poiché era solito intercalare nei suoi discorsi sempre allegri ed anche fioriti quella parola. Allo stesso modo come ad un siciliano veniva spontaneo inserire la classica parola “minchia” per sottolineare e rafforzare il proprio discorso, a lui veniva spontaneo intercalare quel “sacramento”, che aveva la funzione di una sanzione o testimonianza divina a quanto diceva.
L’ho conosciuto nell’anno 1961 alla stazione di Raddusa Agira, in occasione delle manovre dei treni merci per l’arrivo o la partenza di carri. Egli, era macchinista di locomotive a vapore , la cui guida a quei tempi era affidata a personale proveniente dal Nord. Generalmente il “fuochista” o macchinista in seconda era quasi sempre siciliano.
In occasione delle manovre di cui sopra, egli scendeva dalla locomotiva Gruppo 740, lasciando le incombenze al fuochista per prendere, “sacramento!”, un po’ d’aria fresca o comprare qualche bibita fresca nel bar ubicato all’entrata della stazione, gestito da Don Peppino, che vendeva pure sigarette e cibarie. Fu così che ebbi modo di conoscerlo e di intavolare con lui dei buoni rapporti.
Mi piaceva sentirlo raccontare le sue cose, rimarcando le parole con quel “sacramento!” , che non mancava mai di mettere in ballo. Non nascondo che avevo un buon rapporto con i macchinisti delle locomotive, poiché chiedevo loro immancabilmente di fornirmi alcune “palate” di carbone fossile per la stufa. La stazione non era fornita di elettricità ed il riscaldamento della Dirigenza Movimento in inverno era affidato a quella stufa, il cui combustibile era fornito attraverso ad una pratica burocratica abbastanza complessa. Veniva più semplice richiederne ai macchinisti.
Fu in occasione di una delle sue soste nella stazione, che mi raccontò di aver conosciuto a Catania una ragazza che, “sacramento!”, gli piaceva un pozzo. Gli risposi che le siciliane sono delle donne affascinanti e sanno essere delle ottime mogli.
Tra una “palata” ed un’altra di carbone, gli chiedevo come andava con la fidanzata ed a quando mi avrebbe invitato alle nozze.
Un bel giorno mi sentii rispondere: - Non me ne parlare, “sacramento!”, sono nei guai. - Alla mia domanda di cosa gli fosse successo mi raccontò la sua storia.
-Andava tutto bene – disse - “sacramento!”, finché non è venuta ad abitare con loro la sorella più grande. Come dite voialtri in Sicilia se ne era “fuiuta” con un carabiniere di Parma, che faceva servizio a Catania. Non si erano potuti sposare perché il carabiniere non aveva ancora compiuto 27 anni, età minima prevista dal Ministero della Difesa per convolare a nozze. A Catania convivevano in maniera clandestina e tutto è andato liscio, finché il carabiniere non è stato trasferito in altra località. La ragazza è dovuta, pertanto, ritornare in famiglia, in attesa che il carabiniere raggiungesse l’età stabilita. Dal momento che frequentavo la famiglia della mia fidanzata, l’ho conosciuta intavolando anche un buon rapporto parentale e tutto, “sacramento!” è andato liscio. Si scherzava e si parlava senza alcuna malizia.
Un bel giorno, “sacramento!”, siamo andati a mare alla Playa di Catania io, la mia fidanzata e lei. Abbiamo fatto il bagno e mentre la mia fidanzata prendeva il sole, la sorella mi disse che le insegnassi a nuotare. Potevo rifiutarmi, “sacramento”? Siamo scesi lungo la riva del mare. Tu lo sai come è fatta la spiaggia alla Playa, dove devi camminare un poco prima che l’acqua possa consentirti di nuotare. Quando, infine, il livello dell’acqua arrivò all’altezza dei nostri petti, le dissi : - Proviamo qui .- Distesi le braccia e la invitai a sdraiarcisi sopra a pancia in giù dicendole come dovesse muovere le braccia e le gambe. Lei lo fece ed io, “sacramento!” , ho perso la testa. Mi son trovato con una mano tra le sue tette ed un’altra là, dove le gambe si divaricavano e poi si richiudevano. Non so cosa mi abbia preso. Le ho tirato giù lo slip e … mi sono sostituito al carabiniere lontano. Lei mi ha ricevuto senza nemmeno fiatare. Poi siamo ritornati sulla sabbia come se niente fosse.
Sorpreso da quel racconto gli chiesi se i rapporti con la sua fidanzata fossero finiti.
-Niente. – Disse – Lei non ne sa niente, “sacramento!” Da allora vado una volta con l’una ed una volta con l’altra, ma di nascosto. Il carabiniere di tanto in tanto viene a Catania a trovare la sua futura moglie. Non so cosa fare, “sacramento!”
Dopo quella sua confessione, non ho più rivisto Failloni. Seppi, poi, che venne trasferito dalle sue parti.
Delle due ragazze che ho poi avuto modo di conoscere perché entrambe figlie di un ferroviere, ho saputo che una, la più piccola, era stata colpita da una crisi spirituale ed aveva deciso di farsi monaca in seguito ad una delusione amorosa e l’altra, la maggiore, si era sposata con un carabiniere ed aveva intanto avuto con lui una bambina, concepita prima del formale matrimonio, che, “sacramento”, aveva i capelli rossicci.
La stazione soppressa
Una delle mie più grandi aspirazioni in gioventù è stata quella di avere una seconda casa vicino al mare in una zona tranquilla vicino Catania, da poter raggiungere facilmente e possibilmente in treno.
Non mi sembrò quasi vero che avrei potuto realizzare questa mia aspirazione quando seppi che a ridosso della stazione di Castelluccio Siculo, si vendevano degli appezzamenti di terreno nella così detta “Baia del Silenzio”.
Ne comprai un lotto di mille metri quadrati, quasi dietro la stazione, da dove potevo raggiungerlo anche a piedi scendendo dal treno. Decisi di costruire là questa agognata mia seconda casa, dove passare le ferie e dare libero sfogo alla passione per il mare.
Comprai pure una bella barchetta in vetroresina improvvisandomi anche pescatore.
Non nascondo che in estate non mi sembrava vero di smontare dal servizio, salire sul treno e scendere a Castelluccio e fare lo stesso percorso all’indietro senza la necessità di prendere la macchina.
Pensavo che la mia accortezza e lungimiranza mi avesse portato a fare un’ottima scelta. Da pensionato, avrei smesso di guidare la macchina per raggiungere , come sempre, codesta mia seconda casa, servendomi del treno. Ma feci i conti senza l’oste, come si suole dire. Come un fulmine a ciel sereno le Ferrovie dello Stato decisero, come già si ventilava da tempo, di ridurre il numero delle stazioni esistenti tra Lentini ed Augusta. Esse erano nell’ordine: Agnone, Castelluccio e Brucoli. Pensavo che sicuramente sarebbero state abolite Agnone e Brucoli e che , al centro sarebbe rimasta la stazione di Castelluccio Siculo. Ma le cose non andarono così! Le FFSS decisero di lasciare in vita le stazioni di Agnone e di Brucoli, trasformandole in fermate non presenziate, gestite rispettivamente a distanza dalle stazioni di Lentini ed Augusta, sopprimendo Castelluccio Siculo, divenuta piena linea.
Mi si precluse così la possibilità di potermi recare alla mia casa a mare in treno.
Con la soluzione adesso adottata del DCO anche Lentini ed Augusta sono diventate Fermate non gestite da personale. Addirittura circola la voce che verrà istituita l’alta velocità tra Catania e Siracusa, che prevede l’abbandono dell’attuale tratto da Lentini a Siracusa per dar luogo ad un tracciato nuovo interno diretto.
Non sempre si prevede giusto e non tutte le ciambelle vengono col buco.
Ormai la stazione di Castelluccio Siculo non esiste più. In estremo abbandono vi sono un ex Fabbricato di quattro alloggi per il personale, un ex Fabbricato Viaggiatori con sovrastante l’alloggio del CS Titolare ed una villetta invasa dalle erbacce.
I primi contatti con codesta stazione li ebbi in occasione del mio incarico di Segretario Tecnico del Capo Reparto Movimento di Catania. Era Capo Stazione Titolare l’ottimo Di Mare, una persona molto tranquilla e serena di Lentini. Ma scoppiò la guerra in occasione del trasferimento a Castelluccio di un ex guardiano di P.L. , vincitore del concorso interno a Capostazione. Una brava persona, che, secondo il mio giudizio personale, però, soffriva di un complesso d’inferiorità. Visti i risultati conseguiti in carriera, riteneva che tutti volessero attentare ai suoi meriti denigrandolo. Morto prematuramente il povero Di Mare, affetto da un tumore maligno, pensavo che col neo arrivato, divenuto titolare dell’impianto in assenza, tra l’altro di concorrenti, pensai che la pace fosse ritornata a Castelluccio. Invece non fu così. La mania persecutoria si consolidò. In veste di Capo di Castelluccio pensava che tutti volessero attentare alla sua leader-ship e ci teneva a dire che egli non era un capostazione col “fruscio”; espressione, questa, che usava per indicare che non era un capostazione ignorante e che sapeva il fatto suo. Finì per diventare l’indirizzo di piccole cattiverie che stuzzicavano la sua dignità. Fu così che gli si fece credere che la stazioncina fosse diventata centro e smercio di droga e sigarette americane.
In quell’occasione scrisse alla Guardia di Finanza e fece scoppiare un piccolo bordello. Accertamenti, appostamenti, controlli a tappeto, ma nulla emerse di fatto se non che si era in presenza di un mitomane. Passata quella bufera, un buontempone pensò di fargli un brutto scherzo sottraendogli, non certo con l’intenzione di rubarlo, il valore già confezionato degli incassi di quelle poche lire ricavate dalla vendita dei biglietti di viaggio emessi, prima che lui lo consegnasse al treno. Tant’è che il valore suddetto venne messo in busta e spedito a lui per posta. Ne venne fuori un’inchiesta che si sgonfiò con il rinvenimento del valore. Aleggiò il sospetto che a compiere l’azione fosse stato proprio lui per dimostrare che qualcuno stava tramando alle sue spalle per danneggiarlo. La guerra a Castelluccio cessò con la morte del poveruomo a causa di un infarto fulminante. Né venne mai più ripresa per la soppressione dell’impianto di cui ho già detto. Adesso oltre che la pace, anche il silenzio regna a Castelluccio Siculo, dove i treni non fermano più e nessuno più vi abita.
Non pensiate che le piccole guerre interne fossero una prerogativa sola del’ex impianto FS di Castelluccio. Tutti i piccoli impianti erano teatro di simili avvenimenti e dei quali sono venuto a conoscenza avendo avuto incarichi su quasi tutto il territorio ferroviario nei vari ruoli di Gestione del servizio FS e del personale. Di tutti gli impianti da Catania a Siracusa, da Valsavoia a Caltagirone , da Bicocca a Dittaino potrei scrivere dei volumi ricordando le piccole storie umane di tutti gli impianti che oggi muti e silenziosi vedono solo andare in malora i loro Fabbricati Viaggiatori e i vari Fabbricati Alloggi.
Con l’introduzione della nuova tecnologia nel campo dei trasporti, il volto umano dell’ex Azienda FS, oggi SpA, è del tutto cambiato dando luogo a ricordi che ormai si perdono nella notte dei tempi e che difficilmente potranno ripetersi.
Tutto passa e cambia veramente, come ebbi a scrivere nel mio primo libro di racconti e le realtà dell’oggi sono sempre diversi dal passato.
I TRENINI CHE NON CI SONO PIU’ IN SICILIA.
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Premessa-
L’inizio del Regno d’Italia è coinciso in Sicilia con la costruzione e lo sviluppo delle strade ferrate, essendo chiaro che il futuro dell’economia di tutto lo stato, isole comprese, si basava sull’incremento dei trasporti a vapore. Ad onor del vero il governo si profuse in un’opera veramente continua ed ammirevole nello sviluppo dei percorsi ferroviari secondo un piano che cessò di avere applicazione soltanto durante la seconda guerra mondiale.
In particolare in Sicilia la molla ovvero il motivo che fece scattare l’impulso alla costruzione di strade ferrate fu la necessità di fare più facilmente affluire ai porti dell’isola i prodotti delle miniere di zolfo per favorirne l’esportazione. E’ comunque da dire che ad un certo punto con l’incalzare ed il sopravvento del trasporto su gomma ed inoltre la poca redditività dello zolfo determinata dalla concorrenza americana, non solo venne meno l’impulso di costruire nuove strade ferrate, ma addirittura si addivenne alla decisione di sopprimerne alcune già in opera. Ecco allora che in Sicilia scomparvero: la linea Motta - Regalbuto; la linea Alcantara- Randazzo; la linea Caltagirone - Gela ; la linea Noto – Pachino e le linee a scartamento ridotto, Vizzini FS – Bivio Giarratana – Ragusa – Siracusa; la linea Castelvetrano – Porto Empedocle; la linea Dittaino - Piazza Armerina – Caltagirone; la linea Dittaino –Leonforte – Nicosia; la linea Agrigento – Naro – Licata; la linea Canicattì – Caltagirone; la linea Castelvetrano – San Carlo – Burgio; la linea Santa Ninfa – Salemi; la linea Lercara – Folaga – Magazolo; la linea Palermo – Corleone – San Carlo Burgio; e la linea mineraria Sikelia.
Si è salvata, solamente la Circum Etnea di Catania, che lentamente va trasformandosi in Metropolitana dell’area catanese e che collega varie cittadine etnee con Catania.
Qui di seguito si elencano le storie di tutte queste linee ferroviarie che sono scomparse.
Premetto che tutte queste linee, nate da una esigenza commerciale legata alla produzione dello zolfo, non aveva l’intento di grandi vie di comunicazioni, ma di semplice necessità e, pertanto, vennero costruite in regime di economia, ossia a scartamento ridotto, ed anche gestite in economia con il sistema del Dirigente Unico, ossia di un solo Dirigente Movimento che gestiva tramite un regolamento speciale tutto un tratto di linea composto da più fermate.
Aggiungo, per inciso, che allo stato attuale, tutte le stazioni ferroviarie della Sicilia vengono gestite da un solo regolatore del traffico con il sistema del Dirigente Unico, che, però, ha subito un’evoluzione tecnologica dovuta alla circuitazione dei binari ed ha assunto il titolo di Dirigente Centrale Operativo (DCO). Quest’ultimo sistema ha permesso che tutti gli impianti ferroviari non siano più presenziati, tranne quelli di rilevante consistenza, poiché i rapporti adesso avvengono tra il suddetto agente ed i capi dei singoli treni.
LINEA MOTTA – REGALBUTO.
Subito dopo la costruzione della linea Catania – Fiumetorto - Palermo, si pensò di collegare le cittadine di Paternò, Regalbuto e Mistretta con Catania e Palermo, mediante la costruzione di un ramo, che partendo dalla stazione di Motta SA si allacciasse, alla stazione di Santo Stefano di Camastra della linea Messina-Palermo. Era, questo, un piano studiato per creare inoltre una via alternativa al ramo già esistente Catania - Fiumetorto – Palermo.
Vennero costruite tutte le infrastrutture di questo percorso e si riuscì financo a mettere in opera il binario da Motta a Regalbuto, che diventò stazione di testa in attesa che venisse realizzato il successivo tratto. Ma quest’ultimo non venne mai realizzato per il subentrare della seconda guerra mondiale.
Il tratto realizzato comprendeva la stazione origine di Motta, che diventava di diramazione, e le stazioni di Ritornella, Agnelleria, Paternò, Schettino, Leto, Carcaci, Sparacollo e Regalbuto. Quest’ultima assurgeva al titolo di stazione capotronco e veniva attrezzata di deposito locomotive nonché di alloggi per il personale di Macchina, viaggiante e di stazione.
Come è possibile notare le stazioni di maggiore rilevanza, perché collegati a centri cittadini erano Paternò e Regalbuto, ma col tempo le altre stazioncine, assunsero ben presto una certa rilevanza per i trasporti della produzione agrumicola Infatti tutta la zona intensamente agricola era maggiormente avviata alla produzione di arance e successivamente anche di fichidindia.
Ritornando alla descrizione del tracciato di questo ramo di ferrovia, bisogna dire che il binario correva in una pianura tutta verde fino Schettino e che subito dopo si inerpicava sulle falde dell’Etna affrontando le sue asperità laviche e dando luogo anche ad una galleria tra le stazioni di Sparacollo e Regalbuto, maestosamente assisa a dominare la sottostante valle ed il lago che specchiava la limpidezza del cielo.
Ultimata la costruzione della ferrovia, la linea venne subito dotata da due coppie di treni pendolari che facevano la spola tra Regalbuto e Catania. Alle ore sei circa del mattino un’automotrice partiva da Regalbuto per arrivare a Catania intorno alle sette e rifare il percorso inverso. Nel pomeriggio la stessa automotrice ripeteva gli stessi percorsi per consentire il ritorno dei pendolari da Catania a Paternò ed a Regalbuto.
Un treno merci raccoglitore, prima a vapore e poi a Diesel, partiva da Catania nelle mattinate con carri e merci dirette un po’ in tutti gli impianti per ritornare dopo indietro con le stesse funzioni.
Nel periodo della campagna agrumaria era previsto nella nottata un treno per vuoti diretto Paternò ed un altro diretto Schettino; dalle suddette stazioni ripartivano due treni completi di agrumi per Catania, dove insieme ad altri carri dello stesso tipo venivano assembrati in un unico treno specializzato diretto Messina ed oltre lo stretto.
Possiamo dire che la linea, anche se non ad intenso traffico e nonostante non fosse elettrificata ed a doppio binario rispondeva abbastanza bene alle necessità dei luoghi.
Il sistema di circolazione era quello a Dirigente Unico, ossia quello che comportava un solo agente regolante il traffico da Catania di concerto con il personale viaggiante, tra la varie stazioni, che erano affidate a personale precario ( i cosiddetti Assuntori) per le incombenze amministrative; successivamente questi ultimi vennero assunti a tempo pieno con la qualifica di Gestori.Le cose andavano bene e si pensava già alla costruzione del ramo tra Regalbuto e Santo Stefano di Camastra, ma ecco che, terminata la guerra, ebbe luogo la costruzione di una super strada da Catania a Regalbuto. All’apertura di questa arteria stradale, avvenne che i pendolari abbandonarono le ferrovie per servirsi dei più comodi e veloci pulman. Di colpo le coppie di treni pendolari rimasero inutilizzate, ma le FS non potevano sopprimere quei treni, poiché ciò equivaleva ad una interruzione di pubblico servizio. Al fine di limitare i danni e di risparmiare qualcosa, ci fu infine un funzionario FS che ridusse a due soli treni pendolari il traffico viaggiatori, evitando inoltre il pernottamento a Regalbuto di materiale rotabile e personale viaggiante. Nelle mattinate il primo treno partiva da Catania e giunto a Regalbuto ritornava indietro. Tali provvedimenti pur rispondendo alle esigenze di assicurare comunque un pubblico servizio di trasporto, non erano per niente rispondenti alle necessità di traffico, per cui essi viaggiavano a vuoto.
Quello che premeva al funzionario era il non dover rispondere ad una accusa per interruzione di un pubblico servizio. I treni viaggiatori erano sempre lì a disposizione del pubblico; che se quest’ultimo non se ne servisse non poteva farci nulla.
Intanto i commercianti di agrumi scoprirono che utilizzando dei TIR, non solo ci guadagnavano nella velocità dei trasporti, ma anche nella comodità, evitando di dover utilizzare per due volte la manovalanza per il carico della merce prima su un camion e poi dal camion sul carro ferroviario. Naturalmente lo stesso risparmio si aveva nelle sedi di arrivo con il vantaggio di arrivare ai mercati direttamente con i TIR, i quali inoltre erano di gran lunga più veloci delle ferrovie.
Insomma nel volgere di poco tempo la linea cominciò ad essere improduttiva ed anche inutile e qualcuno pensava già di chiuderla al traffico, ma non poteva per due semplici ragioni; la prima era l’aspettativa, sempre in piedi, di far proseguire la linea oltre Regalbuto, fino a Santo Stefano di Camastra; la seconda era che non potevano essere soppressi quei treni viaggiatori, anche se nessuno li utilizzava, perché costituenti dei mezzi di pubblico servizio.
“Cu’ lu tempu e cu’ la pagghia maturanu li sorbi”, dice un vecchio proverbio siciliano. Un bel giorno, anzi un cattivo giorno, avvenne che la galleria tra Sparacollo e Regalbuto , a causa di un imprevisto fortunale con relativa frana, si rese impraticabile. Che fare? Ciò che era previsto dai Regolamenti: sostituire con servizio automobilistico su strada il tratto ferroviario da Sparacollo a Regalbuto e viceversa. La Ditta incaricata del servizio si servì prima di un pulman, ma poi finì per impiegare una vecchia automobile, per portare i due macchinisti ed il capotreno a Regalbuto e viceversa, anche perché mai si verificò la presenza di viaggiatori sia in andata che in ritorno. La cosa durò per un bel pezzo e non c’era verso di poterla far cessare. L’ inutile servizio di trasbordo prima e l’altrettanto inutile effettuazione dei due treni viaggiatori, che in un primo momento vennero limitati a Carcaci, ebbero termine con la trasformazione delle FS da Azienda Autonoma dello stato in Società SpA. Infatti crollò la questione della interruzione di pubblico servizio e fu possibile chiudere al traffico tutta la linea, essendo pure scomparso il traffico merci. Il progetto di allacciamento di Regalbuto con Santo Stefano crollò pure per la impossibilità economica di ripristinare l’interruzione di Sparacollo.
Ritengo che questo ramo di ferrovia tra Motta SA e Regalbuto sia ormai morto per sempre, compreso il progetto di allacciamento ferroviario di Regalbuto con la linea Messina Palermo, poiché non ne sussistono i motivi di utilità, alla luce del progresso ottenuto dal trasporto su strada in grado ormai di sopperire alle necessità di tutti in maniera migliore delle FS. Inoltre la cittadina di Paternò risulta servita dalla Circum Etnea in maniera soddisfacente e ben augurante dal momento che la suddetta società sta perseguendo il progetto di collegare i propri mezzi con la Metropolitana di Catania. Ciò per quanto concerne i viaggiatori. Per le merci, ormai i TIR svolgono il servizio di routine dal punto di carico delle Aziende fino al porto di Messina, dove trovano rapido proseguimento per il continente con i traghetti.
Anche dal punto di vista turistico tale ramo non offre alcuno spunto interessante, poiché tutti i posti sono facilmente raggiungibili oltre che con auto private anche con servizi automobilistici di linea.
LINEA ALCANTARA – RANDAZZO-
Questo ramo di ferrovia, che si dirama dalla stazione di Alcantara, inaugurata il 31 Maggio 1959, fu ufficialmente chiusa al traffico nel 2002 per “abbandono” delle FS avvenuto ancora prima ufficiosamente e sanzionato su richiesta della RFI (la nuova FS SpA) per rifiuto della licenza di gestione di pubblico servizio, accettato dal Ministero dei Trasporti.
La nascita, la vita e le vicissitudini di questo tratto di linea, nonostante la buona volontà dei suoi promotori, trovò fiere opposizioni politiche, oltre alle serie difficoltà di fatti bellici ed a contingenze create dal vicino vulcano Etna.
Su progetto, presentato alla Camera di Commercio di Messina nel 1873, dagli ingegneri De Leo, Soraci, Vairo e Papa, ebbe inizio l’iter per la costruzione della linea. Il progetto prevedeva un tracciato che partendo dal comune di Giardini Naxos, raggiungesse Randazzo e successivamente, attraversando tutta la valle, Leonforte allo scopo di far affluire nel porto di Messina i prodotti solfiferi della zona. Tale progetto era un’evidente appendice alla recente linea ferroviaria Messina Catania di recente costruzione.
Nessun veto per la sua realizzazione da parte del governo italiano che aveva tutto l’interesse a far costruire quante più strade ferrate per far ripartire la disastrata situazione economica che si era creata dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Ma vi fu una fiera opposizione politica da parte della vicina Catania, dove un uomo, di quelli che avevano la voce in capitolo, Antonino di Sangiuliano, era tenuto in forte considerazione dai Savoia.
Gli era che il progetto presentato a Messina nel 1873 era in aperto contrasto con gli interessi della città di Catania, la quale, proprio sostenuta dal Sangiuliano, aveva nel 1870 avanzato richiesta di costruzione di una ferrovia a scartamento ridotto, la Circum Etnea, che allacciandosi alla stazione di Giarre, proseguisse su Randazzo, Bronte, Adrano, Paternò e Catania Porto. Sostanzialmente questa ferrovia girava intorno al periplo dell’Etna, toccando tutte le localià produttive con l’evidente scopo di far affluire nel porto di Catania tutte le merci della zona, compresi i prodotti solfiferi di Leonforte. In ultima analisi si trattava di una mera questione di interessi tra il porto di Catania e quello di Messina. A spuntarla fu Antonino di Sangiuliano , che riuscì nel 1883 a far costruire la sua Circum Etnea, ovviamente, con le opportune e lievi modifiche, che ancora adesso sono in continua evoluzione per la subentrata idea della Metropolitana allacciata ai paesi etnei.
Fu così che il progetto dell’Alcantara- Randazzo , battezzato con i cattivi auspici di cotanto personaggio fu costretto a segnare il passo, essendo anche tra l’altro scoppiata la prima guerra mondiale del 1915/18. Sotto la spinta di nuovi personaggi politici venne caldeggiata la costruzione della ostacolata costruzione della linea ferroviaria in questione e così nel 1928 ebbero inizio i lavori di posa del binario, che subirono un’ulteriore stasi dovuta all’evolversi della seconda guerra mondiale. Finalmente nel 1959 essi ebbero termine e si dette inizio al servizio ferroviario.
La linea si allacciava alla stazione di Alcantara, la successiva dopo Giardini Naxos, venendo da Messina. Essa comprendeva le stazioni di Gaggi, Graniti, Motta di Camastra, Francavilla di Sicilia, Castiglione di sicilia, Moio , San Teodoro e Randazzo.
Di queste, solamente la stazione di Francavilla di Sicilia e Randazzo erano in grado di effettuare incroci; le altre erano semplici fermate per il servizio viaggiatori ed inoltre San Teodoro risultava non presenziata da agente e successivamente venne del tutto eliminata. Ovviamente la linea era a semplice binario, non elettrificata, i segnali ad ala semaforica e molti Passaggi a Livello non protetti. Il regime di circolazione era quello a Dirigente Unico, affidato al Dirigente Movimento di Alcantara. La circolazione dei treni non era particolarmente gravosa ed era svolta da alcune automotrici e da un solo treno a vapore merci con locomotiva del Gruppo 940, fornita dal Deposito Locomotive di Catania, molto adatta a superare i forti tratti acclivi in arrivo a Randazzo.
Il percorso era veramente suggestivo, poiché oltre a costeggiare le falde dell’Etna, incontrava anche il fiume Alcantara, famoso per le sue gole. Era, indubbiamente di grande valore turistico, ma le FS nulla fecero per valorizzarla e rimasero abbastanza sorde alla richiesta di una fermata presso le Gole dell’Alcantara per favorirne la visita e ad un approccio a Randazzo con la Circum Etnea per favorirne gli scambi.
Pigramente si svolgeva il servizio di routine. In effetti questa linea non era particolarmente amata dalla Direzione Compartimentale di Palermo, che la considerava un ramo secco da tagliare senza meno, poiché non rendeva. L’occasione per chiuderla venne data dall’Etna. Nel 1981 il vulcano, in una delle sue improvvisate eruzioni tagliò in due la linea con la sua lava; la stessa cosa fece con la Crcum Etnea. Mentre quest’ultima con la lava quasi ancora fumante ripristinò il servizio ferroviario le FS, si limitarono a svolgere un servizio sostituitivo automobilistico tra Moio e Randazzo, finché nel 1983 iniziarono i lavori per il ripristino, che si trascinarono stancamente fino al 1994, riuscendo a liberare in parte la zona occupata dalla lava, senza per altro provvedere ai rimanenti bisognosi lavori. Siamo già in clima di FSSpA, per cui fu facile prendere la decisione di chiudere al traffico la suddetta linea rimettendo nelle mani del ministro dei Trasporti la licenza di gestione. Pertanto nel 2002 la linea venne definitivamente chiusa al traffico con la inchiodatura degli scambi di immissione dei treni della stazione di Alcantara.
Vi furono negli anni 90 degli sprazzi, ovvero dei tentativi di risuscitare quel tratto di linea ormai adagiato sul letto dei moribondi. Facendo leva sull’interesse turistico e quindi sulla bellezza dei luoghi, resi famosi dalle gole dell’Alcantara, si organizzarono delle gite domenicali con un treno in formato d’epoca, cioè, con vetture antiche e con locomotiva a vapore. Ma le difficoltà furono enormi e contribuirono solamente ad accelerarne la chiusura.
Di tali difficoltà ne fui testimone e destinatario, essendo in quel periodo, fino al 1996, Capo Reparto Movimento Linea di Catania, con giurisdizione dalla stazione di Alcantara fino a Siracusa e fino a Caltagirone.
Si dovette ricorrere alla stabilizzazione di alcuni tratti dell’armamento ed addirittura alla deforestazione di alcune gole invase dai rovi, nonché al funzionamento delle apparecchiature minime indispensabili per la sicurezza. Alla fine si scoprì che la vecchia locomotiva gr 940 non era più disponibile. Venne sostituita con una del gruppo 480, specializzata per superare i tratti acclivi, ma essendo poco adatta al sistema delle curve non dette i risultati sperati. Si pensò comunque ad una composizione ibrida: locomotiva a vapore in testa con subito dopo un locomotore Diesel e dietro le due vetture “cento porte” ed il bagagliaio. Fu, in questo modo salvato l’effetto scenico dell’antico treno che voleva farsi rivivere. Il vero inghippo si rilevò quando si scoprì che dei macchinisti in atto in servizio, non ve ne era nemmeno uno in grado di poter far funzionare una locomotiva a vapore. Si dovette ricorrere alla consulenza ed all’aiuto di un vecchio macchinista del vapore. Non solo questo! La vecchia stazione di Randazzo era stata visitata da qualcuno convinto di trovare chissà quali tesori. Era tutto rovinato dalle suppellettili ai telefoni; non parliamo degli altri impianti che erano in condizioni anche peggiori.
Questi treni turistici domenicali furono il definitivo canto del cigno dell’Alcantara – Randazzo.
LINEA CALTAGIRONE – GELA
In realtà la linea da Caltagirone a Gela è ancora esistente, ma interrotta al Km 326+600 per il crollo di due arcate del ponte di Piano Carbone avvenuto nel mese di maggio del 2011 ed ancora non riattato. Dovrebbe essere svolto a cura della FS SpA (Trenitalia) un servizio sostituitivo automobilistico. Ma non è tanto importante il servizio viaggiatori che la linea avrebbe dovuto svolgere, pur abbreviando il percorso per Canicattì ed altre località, quanto quello merci, che sostanzialmente è stato soppresso per cause di forza maggiore.
Fu nel 1911 che la linea incominciò a fare sentire i … primi vagiti! In tale anno un Regio Decreto stabilì doversi costruire la linea Caltagirone- Gela a scartamento ridotto in base alla legge Baccarini del 1879, ossia con il contributo parziale dei comuni, ma non se ne fece nulla per via degli eventi bellici della prima guerra mondiale; finita la quale nel 1921 un altro Decreto Regio modificò il programma, stabilendo doversi costruire la linea a scartamento normale ed a carico delle Ferrovie dello Stato. Nelle more della bufera politica fascista, che sfociò nella seconda guerra mondiale, infine si poté dare inizio ai lavori di costruzione della linea che prevedeva anche lo spostamento della stazione di Caltagirone dal vecchio sito ad uno nuovo più funzionale ed adatto, grazie soprattutto all’interessamento dell’uomo forte del momento, il calatino Mario Scelba. I lavori proseguirono molto lentamente e solo nel 1979 essi vennero ultimati con la messa in servizio della linea, lunga circa 45 Kilometri. Partendo da Caltagirone si incontravano le stazioni di Piano Carbone, Vituso, Niscemi, Priolo Soprano, Priolo Sottano, Piana del Signore ed infine Gela. Esclusa la stazione di Gela che è regolarmente presenziata, tutti gli impianti ed i relativi FV , previsti senza presenzia mento, sono diventati oggetto di opere vandaliche, che li hanno ridotti a veri ruderi. n
Mai costruzione di una ferrovia in Italia è stata più travagliata e lunga di quella della Caltagirone-Gela, nonostante l’interessamento, di MarioScelba, calatino e pupillo di Don Sturzo, fondatore della Democrazia Cristiana e la successiva impellente necessità di far arrivare a Gela i trasporti di nuova concezione, detti CEMAT , direttamente da Bicocca.
I trasporti CEMAT consistevano in trasporti su carri pianali di grande capacità atti ad essere caricati da casse mobili. Ovviamente Gela che si affacciava alla produzione di tipo industriale, gradiva tale tipo di trasporti ferroviari, che dava dei vantaggi non indifferenti, facendo arrivare i TIR caricandoli su carri ferroviari.
Il transito di tali treni era consentito poiché già Caltagirone era collegata ( e lo è tutt’ora), tramite la stazione di Valsavoia, oggi Lentini Diramazione, alla linea Catania – Siracusa.
Purtroppo l’interruzione di cui ho detto prima ha interrotto tale tipo di servizio e ritengo che molto probabilmente tali tipi di trasporti giungano a Porto Empedocle via mare tramite navi-cargo o direttamente da Messina o Catania tramite i normalissimi TIR su strada.
E’ fuor di dubbio in ogni caso che codesta linea, se funzionante, sarebbe di grandissima utilità per l’economia della Sicilia Occidentale, poiché consente la via più breve per passare dal Mare Ionio di Catania al mar Mediterraneo del canale di Sicilia, senza dover percorrere il tratto ad arco che passa per Siracusa e Ragusa.
Anche ai fini della gestione della linea i costi sono accettabilissimi, dal momento che tutta la linea Valsavoia – Caltagirone - Gela è gestita con il modernissimo sistema del D.C.O. – Vale a dire che tutti gli impianti sono impresenziati, ad eccezione di Valsavoia e Caltagirone, con regolazione del traffico treni da un solo posto sito, allo stato attuale, a Caltagirone con la facoltà di manovra elettronica a distanza degli scambi.
Quello del DCO (Dirigente Centrale Operativo) è il sistema di circolazione più evoluto con l’impiego appunto dell’elettronica che consente il transito dei treni in un percorso senza la necessità di presenziare le stazioni. (Per evidenziare il funzionamento di questo sistema basta pensare al funzionamento dei circuiti elettrici dei treni-giocattoli della Lima.). Grazie a questo sistema, introdotto molto pesantemente in tutta la rete, molti impianti non hanno più motivo di essere presenziati da personale; cosa quest’ultima che ha determinato una fortissima economia di impiego di personale da parte della nuova FS SpA
E’ chiaro che la linea da Caltagirone a Gela, costituisce il prolungamento della linea Catania – Caltagirone con allacciamento alla stazione di diramazione di Valsavoia, che successivamente venne ribattezzata Lentini Diramazione, sia per cancellare forse un nome non molto gradito, ma sicuramente per accontentare un consigliere comunale democristiano di Lentini che richiedeva di spostare la diramazione a Lentini. Certamente il nostro politicante, tale Cirino Floridia, che era anche ferroviere, fu comunque contento, essendo riuscito, sulla carta, ad ottenere che la linea si chiamasse non più Valsavoia – Gela, ma Lentini D. – Gela e che la stazione di Lentini acquisisse l’aggettivo di Centrale, e non solo! In tal modo la cittadina risultava servita da due stazioni ferroviarie. Insomma così avvenne, se non vi pare!
LINEA NOTO – PACHINO.
Completata la linea Catania Noto che venne successivamente allungata fino Siracusa e da lì fino Ragusa, si pensò giustamente di collegare in contemporaneo la stazione di Noto anche con la località di Pachino, in tutto circa 27 Km in una zona altamente panoramica ed interessante sia dal punto di vista agricolo, naturalistico e turistico.
Nonostante l’ottimo proponimento iniziale e la volontà comune di voler realizzare questo ramo di linea, previsto a scartamento normale, le motivazioni dovute alla prima guerra mondiale, alla congiuntura post-bellica, ai fatti politici legati all’avvento del fascismo ritardarono enormemente la costruzione e la messa in opera di questa linea. Si iniziarono i lavori con un certo impegno solamente nel 1934 e celermente essa venne inaugurata il 28 Aprile del 1935, nonostante la lunga … gestazione!
Il percorso prevedeva, partendo da Noto, le stazioni di Falconara Ibla, Falconara Marina, Noto Marina, Roveto-Bimmisca, San Lorenzo, Marzamemi e Pachino; sostanzialmente esso puntava subito verso il mare costeggiando la zona del Parco di Vindicari prima di raggiungere Pachino.
Il primo impatto devastante la linea lo subì nel 1943 a causa dello sbarco in Sicilia degli alleati. Superato questo scoglio, in seguito ad un fortissimo alluvione, la linea rimase interrotta dal 1951 al 1955. Avvenuto il ripristino tra le infinite polemiche e diatribe politiche, che miravano alla soppressione dei cosiddetti rami secchi ferroviari, essa continuò a vivere in uno stato di mediocrità produttiva dovuta allo sviluppo dell’industria automobilistica e stradale. In ogni caso bisogna dire che la linea non aveva avuto modo di manifestare tutte le sue potenzialità economiche a causa dei fatti contingenti che aveva dovuto affrontare. Non valutando le circostanze attenuanti, mettendo in pratica i dettami della nuova SpA delle FFSS, nel 1991 ne venne decretata la chiusura, pur senza ricorrere allo smantellamento totale per l’eventuale recupero di materiale ferroso e fabbricati. Pur essendo, ormai dal 2002 dichiarata dismessa per il rigetto della relativa licenza di gestione come per altre linee, ancora oggi il binario è ancora sulla sede prevista coperta da rovi e piante selvatiche, forse nella malinconica attesa di un eventuale miracoloso ripristino. I Fabbricati che pur erano di ottima fattura ed in ottimo stato, sono stati abbandonati all’incuria del tempo. Un patrimonio che va tutto in malora, mentre tutta la zona circostante ha acquisito e continua ad acquisire un crescente interesse turistico, naturalistico ed anche agricolo. Avere abbandonato al degrado ed all’auto-distruzione questo tratto di linea che potrebbe, opportunamente curato, servire all’attività turistica e creare dei posti di lavoro redditizi in questo campo, è uno degli errori più madornali che lo Stato abbia permesso.
Utilizzare la linea anche con un solo mezzo che facesse la spola tra Noto e Pachino, come un Tram a trazione Diesel, snellirebbe il traffico automobilistico di gran lunga e sarebbe di massima utilità, senza particolari spese aggiuntive di gestione, specialmente nel periodo estivo.
Basta visitare questo angolo di Sicilia, fortemente reclamizzato anche dalla RAI TV con gli episodi del commissario Montalbano tratti dall’opera letteraria di Camilleri, per rendersi conto dell’importanza che potrebbe avere uno sfruttamento di questa linea ferroviaria dismessa.
LINEA VIZZIN FS – BIVIO GIARRATANA – RAGUSA - SIRACUSA
Pur essendo interesse principale del governo italiano quello di munire di strade ferrate tutte le coste dell’isola, non si trascurò l’interesse di dare un impulso anche alle costruzioni di linee interne e non solo della Sicilia ma anche di tutto il territorio del Regno.
A tal uopo venne varata nel 1879 una legge, detta Legge Baccarini, che regolava la costruzione delle strade ferrate e ne stabiliva oltre che le priorità anche i costi a carico dei comuni interessati, in relazione alla loro suddivisione in categorie, commisurata al loro interesse sociale. Appartenevano alla quarta categoria le ferrovie secondarie a scartamento ridotto, che pur essendo di non primaria importanza avevano il loro peso nello sviluppo dei trasporti ad un prezzo di realizzazione e gestione più economico. Essa autorizzava in pratica la costruzione di ferrovie con armamenti leggeri e quindi più economici a spese dei comuni interessati.
Fu in relazione a questa legge che si ebbe la stura delle costruzioni di ferrovie a scartamento ridotto in tutto il territorio nazionale e, quindi, anche in Sicilia, dove esisteva il problema di far affluire dall’interno verso i porti principali i prodotti dell’allora fiorente risorsa mineraria dello zolfo e del pendolarismo dei minatori.
Grazie a questa legge, come precedentemente detto nacque la linea Valsavoia – Caltagirone -.Gela, progettata a scartamento ridotto, ma realizzata dopo a scartamento normale con il contributo di tutti i comuni toccati (Scordia, Militello VC, Mineo, Vizzini, Grammichele e Caltagirone).
Va precisato che la legge in questione venne superata nel 1906, anno in cui venne istituita l’Azienda Autonoma delle FFSS, con altri criteri di costi di costruzione e gestione garantiti dallo Stato, fermo restando il contributo degli Enti Locali.
E’ inoltre da aggiungere che in data molto recente, l’Azienda delle FFSS è stata trasformata in SpA, il cui unico azionista è lo Stato, svincolata, in questo modo, da determinati obblighi legati al pubblico servizio, che possono essere restituiti alla competenza ed all’autorità dell’Amministrazione Statale, libera, a sua volta di servirsi di altri vettori. Quest’ultima metamorfosi delle FFSS, di fatto, ha consentito la eliminazione di tutti quei rami secondari nati appunto con la legge Baccarini e definiti “secchi” ossia non produttivi per la nuova SpA. Insomma si è creato tutto un sistema giuridico tale che ha consentito allo Stato di tirarsi fuori dalla gestione diretta delle Ferrovie dello Stato, pur continuando ad esserne il proprietario. E’ stato il classico uovo di Colombo, il lampo di genio giuridico che ha consentito allo stato di poter eludere tutte le pastoie burocratiche statali nella gestione delle ferrovie amministrandole con la logica privatistica delle Società per Azioni, che gli consentiva di applicare le regole del libero mercato e, quindi, di eliminare quelle linee che non rispondevano alla logica di un sicuro profitto, a prescindere dalla loro rilevanza sociale.
Con questa logica tutte le ferrovie secondarie nate in Sicilia subito dopo il 1879 hanno finito per morire per giusta causa, essendo state totalmente superate dalle nuove tecniche di trasporto basato su gomme con l’unica eccezione della Circum Etnea catanese che ha trovato il modo di potersi integrare con la costruenda Metropolitana catanese, di cui è ormai parte integrante per alcuni tratti.
Dopo aver evidenziato i concetti testé espressi, analizziamo una per una queste ferrovie secondarie, ormai scomparse, a cominciare da quella in epigrafe.
La ferrovia Vizzini FS – Bivio Giarratana – Siracusa – Ragusa venne progettata nel 1884, allo scopo di realizzare l’afflusso delle merci dell’interno (Vizzini e Ragusa) al porto di Siracusa; infatti fu previsto e realizzato più tardi un prolungamento fino a Siracusa Marittima.
Il tracciato, di circa 125 Km, partendo da Siracusa prevedeva le stazioni di Floridia, Solarino, Sortino, Cassaro-Ferla, Necropoli Pantalica, Palazzolo Acreide, Buscemi, Giarratana Bivio, Chiaramonte Gulfi, Monte Lauro, Monte Arcibezzi, Nunziata e come ultima stazione Ragusa, già collegata con Siracusa con binario a scartamento normale; da Giarratana bivio si dipartiva un altro braccio di linea che raggiungeva la stazione FS di Vizzini.
I lavori ebbero inizio nel 1911 e nonostante le difficoltà belliche della prima guerra mondiale furono ultimati nel 1923, anno in cui cominciarono a circolare i primi treni a vapore con scarsa affluenza in verità di utenti, nonostante venisse realizzato l’allacciamento di Siracusa con la costruzione della stazione di Siracusa Mare. Ad incrementare la mancanza di frequentazione di utenti influì moltissimo il crollo del mercato dello zolfo per la concorrenza americana, per cui le miniere dell’interno cominciarono a chiudere facendo venir meno anche il pendolarismo dei minatori. Fu una lenta agonia di tutta questa linea che si protrasse fino al 1956, anno in cui venne dismessa, chiusa e smantellata senza suscitare alcuna protesta da parte di alcuno.
Tuttavia questo tratto di linea ebbe l’alto onore di annoverare tra i suoi utenti anche la casa Savoia. Fu infatti nel 1933 che Vittorio Emanuele III, insieme alla regina visitò Pantalica servendosi del trenino di questa linea.
Allo stato attuale alcuni tratti della ex linea in questione, privi ovviamente di binario, sono stati utilizzati come vie cittadine di Ragusa e Giarratana, oppure trasformate in strade intercomunali o poderali con ancora i muretti a crudo di allora; qualche tratto più fortunato è stato asfaltato e qualche altro adibito a pista ciclabile.
Eppure questa linea che è ridotta ormai ad un fantasma, è quella che forse più di tutte ha suscitato un maggiore senso di nostalgia per un periodo ormai passato, anche se non ha avuto molta influenza dal punto di vista sociale. Il fatto scaturisce dalla circostanza che il tratto Sortino – Ferla – Necropoli Pantalica attraversa la suggestiva valle dell’Anapo, scavalcandolo in più punti e la zona archeologica di Pantalica.
Un susseguirsi di caratteristiche gallerie e di tratti scoperti all’ombra di vecchi alberi e rovi ed il contrasto della strada ormai ridotta a trazzera dal colore bianco del tufo con il colore vivido delle piante dipinte ora di verde ora di rosso, che lasciano trasparire a sprazzi macchie di luce solare, rendono tutto il percorso uno stupendo tuffo nella natura, dove il canto di saltellanti uccellini tra le fronde o lo scomposto fruscio di lucertole tra il fogliame autunnale caduto per terra completano l’immagine di un paradiso terrestre, quale dovette apparire agli antichi Greci che si inventarono la leggenda di Anapo innamorato della sua ninfa. Forse è l’unica cosa bella che resta di tutta la linea dismessa e andrebbe sicuramente valorizzata per il richiamo turistico potenziale di cui è dotata. Qualcuno favoleggia di ricostruire in quel tratto la vecchia ferrovia, ma io penso che sarebbe forse più adatto un servizio più vicino all’ambiente naturale, quale carrozzelle d’epoca, vecchi costumi … o qualcosa che non turbasse quella pace e quel senso di abbandono. No proprio no! Il rumore di un treno sferragliante, una locomotiva a vapore con il pericolo di suscitare un incendio, proprio non li vedo su quel percorso che va gustato a piedi o su una bicicletta o su una carrozzella o a dorso di mulo.
In ogni caso questo vecchio fantasma della linea, così carico di significato mitologico, storico, e naturale andrebbe gelosamente conservato ed utilizzato come fonte di lavoro nel campo turistico.
LINEA CASTELVETRANO – PORTO EMPEDOCLE
Era proprio nei disegno del Regno d’Italia di dotare la Sicilia di una strada ferrata che circumnavigasse tutta l’isola. Erano già state ultimate e definitivamente attivate le linee Messina Siracusa - Ragusa e Messina – Palermo - Trapani, nonché la linea interna Catania Palermo, quando nel 1882 venne presentato un progetto di strada ferrata che collegasse Agrigento con Castelvetrano. La strategia era quella di far affluire i prodotti di esportazione a Porto Empedocle, già collegata ferroviariamente con Agrigento. Era appunto un obiettivo che si prefiggeva il governo di far convergere le strade ferrate verso le città portuali al fine di favorire l’esportazione dei prodotti dell’isola, specie quelli solfiferi, che costituivano una fonte di ricchezza economica. Purtroppo il progetto restò “tabula rasa” per il contenzioso scoppiato tra le varie località dei comuni che la ferrovia avrebbe dovuto toccare. Furono talmente accese le diatribe, anche politiche, che il Governo non procedette oltre. Così nel 1901 una commissione regia, abbandonato il primitivo progetto del 1882, fu istituita per cercare di realizzare una ferrovia complementare, a scartamento ridotto, che collegasse Castelvetrano con Porto Empedocle e che nello stesso tempo riuscisse ad accontentare tutti ed appianasse ogni contrasto. Due erano quindi gli scopi della commissione: collegare Castelvetrano alla città portuale per consentire l’afflusso dello zolfo da esportare ed inoltre accontentare quanti più comuni fruitori possibili. Dopo circa sei anni di progettazioni, disegni, consultazioni e preparativi, finalmente nel 1907 incominciarono i lavori, che vennero ultimati a tappe nel 1923. Ne venne fuori una linea che prevedeva le stazioni di Selinunte, Porto Palo, Menfi, Sciacca, Verdura, Ribera, Magazzolo, Cattolica Eraclea, Montallegro, Siculiana, Realmonte e Porto Empedocle.
Come è possibile constatare il percorso che era riuscito ad accontentare un po’ tutti, risulto limitativo poiché fece nascere le stazioni distanti dai centri abitati ed anche con un andamento a zig zag che ne limitava la velocità. Il servizio ebbe inizio con i treni a vapore e soltanto nel 1949 vennero introdotte le automotrici.
Il presupposto del 1882, cioè il collegamento con Agrigento fu realizzato soltanto nel 1951 mediante la costruzione di una terza rotaia al binario già esistente che consentisse il transito sia di mezzi a scartamento normale sia di mezzi a scartamento ridotto.
Intanto, le finalità per cui la linea venne costruita incominciarono a rilevare la loro inconsistenza. Il trasporto dello zolfo venne a mancare poiché il produrlo non era più redditizio a causa della concorrenza americana, che ne consentiva l’estrazione ad un prezzo irrisorio. Inoltre l’aver voluto accontentare le varie località aveva prodotto tutto un percorso contorto, che, come detto, nuoceva alla velocità dei trasporti. Contemporaneamente erano sorte delle autostrade del tutto più scorrevoli con il parallelo sviluppo dell’industria automobilistica. Fu quasi naturale la lenta agonia della linea, variamente interrotta per lavori di manutenzione non eseguiti, per lo scarso afflusso di viaggiatori ed il cessato interesse economico.
A causa di uno smottamento di terreno che causò la momentanea chiusura delle autostrade, sembrò che nel 1966 la popolazione tornasse a servirsi della ferrovia, ma fu un fuoco di paglia, poiché ripristinata la normalità la linea continuo a morire … serenamente tra interruzioni e servizi automobilistici sostituitivi. Tutto questo fino a quando alla FS non subentrò la nuova FS SpA, cioè il nuovo corso delle ferrovie dello Stato in cui venne messo da parte il concetto del servizio di pubblica utilità, affidata ad altri vettori, per introdurre quello della produttività economica. Ci volle poco a capire che quello era un ramo secco da tagliare e che tagliato venne alla fine nel 1986 con la remissione della licenza di trasporto consegnata alle autorità governative che la recepirono insieme a tante altre ferroviarie dello stesso tipo nel 2002.
Fu così che non fu potuto essere realizzato il periplo ferroviario della Sicilia, da Agrigento a Castelvetrano. Comunque queste due località restano, almeno fino ad oggi, collegate alla rete generale a scartamento normale dell’intera isola. Agrigento è allacciata alla linea Catania Palermo tramite la stazione di Xirbi e Castelvetrano è legata alla linea Alcamo – Trapani – Palermo.
LINEA DITTAINO – PIAZZA ARMERINA - CALTAGIRONE
Completata la linea interna tra Catania e Palermo con allacciamento alle stazioni di diramazione di Bicocca nel catanese e di Fiumetorto nel palermitano, si pensò di allacciarla pure ad Agrigento , Licata e Porto Empedocle con un ramo a scartamento normale, tuttora esistente mediante la stazione di diramazione di Caltanissetta Xirbi.
Ma non fu solo questo ad essere realizzato, poiché sulla falsariga della legge Baccarini, venne realizzato il progetto di una linea secondaria a scartamento ridotto che collegava la recente stazione di Dittaino, in comune di Assoro, con Piazza Armerina e Caltagirone. Fu così che nacque questo ramo secondario, la cui stazione origine di Dittaino, a ridosso di quella a scartamento normale, consentiva un comodo scambio di relazioni tra i due tipi di ferrovia ed inoltre una utilità non indifferente nella commercializzazione dello zolfo e del pendolarismo dei minatori.
Fu nel 1902 che venne varato il Decreto Regio di costruzione della linea in questione che prevedeva inoltre un allacciamento ad Aidone nella stazione di Bellia., ma i lavori ebbero inizio solamente nel 1906, dopo che venne definita la statalizzazione delle FS. Essi proseguirono a tappe partendo da Dittaino e procedendo verso Caltagirone; Piazza Armerina venne raggiunta nel 1920 e Caltagirone nel 1930; particolari difficoltà si ebbero nel primo tratto da Dittaino a Valguarnera a causa del tratto acclive che necessitò di tratti di binario con cremagliera.
Ad ogni buon conto la linea veniva portata a termine e risultava di circa 81 Km. Il percorso era il seguente: Dittaino (origine) – Mulinello – Valguarnera (Caropepe) – Floristella – Grottacalda – Ronza – Bellia Aidone – Piazza Armerina – Leano – Rasalgone – Gallinica – Mirabella Imbaccari – San Michele di Ganzaria – Salvatorello – Cappuccini – Caltagirone.
A sollecitare la costruzione di questa linea risultò molto determinante l’interessamento dell’Inghilterra, di cui risultava cittadino il costruttore Robert Trewhella, tra l’altro proprietario di alcune miniere di zolfo nel territorio tra Raddusa e d Assoro e quindi direttamente interessato ai presupposti economici della sua realizzazione. In effetti questo ramo di ferrovia si rivelò proficuo per lo sfruttamento minerario di zolfo di Grottacalda e della sua commercializzazione.
Nel favorire questo imprenditore inglese nella costruzione di questo ed altri rami ferroviari in Italia certamente vi era un senso di tacito ringraziamento da parte dei Savoia per aver favorito l’unità d’Italia, come del resto la stessa cosa era stata fatta con la Francia in occasione della costruzione della ferrovia da Messina a Catania.
Come avvenne per le altre ferrovie secondarie, il venir meno dello sfruttamento minerario dello zolfo determinò la lenta morte di questo ramo ferroviario, nato, tra l’altro, all’insegna del risparmio e quindi con molte carenze dell’armamento, cedevole in più punti. In seguito ad un alluvione del 1955 che procurò una interruzione , mai riattivata, nel tratto da Piazza Armerina a Caltagirone (che venne sopperita per lungo tempo da un servizio automobilistico), nel 1969 si addivenne alla decisione di limitare il traffico tra le stazioni di Dittaino e Piazza Armerina. Nonostante la fatiscenza della linea ed il sistema primordiale di circolazione che non prevedeva nemmeno i segnali di protezione degli impianti, ma semplicemente dei pali indicatori, stancamente la linea sopravvisse al precedente tratto fino al 1971, anno in cui ne venne stabilita la chiusura e l’immediato smantellamento, nonostante le proteste delle cittadine di Piazza Armerina e Valguarnera che ne richiedevano l’ammodernamento. Ad onor del vero erano intanto nate delle strade che rendevano solamente anacronistico quel tipo di servizio ferroviario offerto, interessante semplicemente da un punto di vista di reminiscenza storica.
Parte del percorso di questa linea è stato trasformato in strade intercomunali; il tratto che va da Salvatorello a Caltagirone, acquisito dal comune di Caltagirone,venne trasformato in pista ciclabile.
Ovviamente la chiusura di questo ramo ferroviario e dell’altro Dittaino – Leonforte - Nicosia, sostituito anche questo da servizio automobilistico ormai soppresso determinarono, un certo calo del prestigio della stazione di Dittaino, venendo meno il ruolo acquisito di nodo ferroviario per viaggiatori. Però scomparso lo scalo retrostante la stazione FS delle reti secondarie, a ridosso della stazione stessa con allacciamento all’autostrada Catania Palermo è sorta la cosiddetta “zona industriale” della città di Enna. Pertanto la stazione di Dittaino ha assunto un ruolo commerciale legato alla movimentazione di merce per ferrovia diretta nell’ennese.
Non a caso, quindi, alle spalle della stazione FS è nato un imponente centro commerciale, dove affluiscono, grazie allo sviluppo automobilistico, molti acquirenti provenienti dalle cittadine circostanti dell’ennese.
LINEA DITTAINO – LEONFORTE – NICOSIA.
Lo stesso Decreto Regio del 1902 con il quale veniva decretata la costruzione della Dittaino- Piazza Armerina – Caltagirone, prevedeva anche la costruzione della linea secondaria Dittaino – Leonforte – Nicosia, di circa 50 Km.
I lavori di costruzione della linea, iniziati pure nel 1906 videro ultimato il tratto da Dittaino a Leonforte nel 1923. Partendo dal piazzale esterno della stazione FS di Dittaino la linea si svolgeva, a scartamento ridotto, quasi parallelamente a quella a scartamento normale, superandola con un ponte e proseguendo poi verso Assoro; subito dopo aver superato il ponte il binario era surrogato da cremagliera centrale fino alla stazione di Cavalcatore; dopo di che si arrivava ad Assoro e successivamente a Leonforte. Nel 1924 si iniziarono i lavori per l’ulteriore tratto da Leonforte a Nicosia, che prevedeva le stazioni di Bivio Paternò, Rocca Vultura, Villadoro, Sperlinga e Nicosia, ma nonostante le opere strutturali fossero state ultimate, nel 1929 essi vennero interrotti e non venne mai realizzata la posa del binario. I motivi andavano ricercati nella scarsa frequentazione del precedente tratto costruito.
In sostanza il tratto da Leonforte a Nicosia morì senza avere l’onore della nascita. Il precedente tratto da Dittaino a Leonforte ebbe una vita brevissima. A causa della sua lentezza per via del superamento del tratto acclive con la cremagliera, venne quasi subito sostituita con un servizio automobilistico, anch’esso dismesso totalmente. Poco resta a testimonianza del vecchio percorso, mentre alcuni fabbricati sono stati recuperati ai bisogni dell’urbanizzazione dei comuni interessati.
LINEA AGRIGENTO – NARO - LICATA
Anche questa linea come le rimanenti secondarie della Sicilia nacque, figlia anche lei della legge Baccarini, allo scopo di far affluire lo zolfo a Porto Empedocle e Licata ed inoltre per favorire il pendolarismo dei minatori.
I lavori di messa in opera iniziarono il 1911 e con molta lentezza vennero ultimati nel 1921. Essi non solo osservarono il risparmio più assoluto nella realizzazione delle apparecchiature, ma infine risultarono, come le altre, tardive rispetto alle funzioni da assolvere, nonché prive del requisito della linearità del percorso; sicché nel 1959, constatatane l’assoluta inutilità venne interamente chiusa al traffico e soppressa definitivamente senza provocare nemmeno un cenno di protesta.
Il percorso era il seguente: stazione origine di corsa Agrigento Bassa, Favara, zolfare Deli, Margonia, Naro, Camastra, , Palma di Montechiaro, Scifitelli e stazione finale Licata; Margonia in effetti era una stazione bivio in piena campagna, dove vi era la diramazione per Canicattì.
LINEA CANCATTI’ CALTAGIRONE
Questo ramo di Ferrovia, prevista a scartamento ridotto venne costruita rispettando la sagoma dello scartamento normale; pur essendo stata in parte costruita da Canicattì a Riesi non venne mai aperta ed i lavori di prosecuzione da Riesi a Caltagirone non vennero ultimati. La lentezza e tardiva esecuzione dei lavori resero inopportuna la loro prosecuzione ai fini degli obiettivi ormai strategicamente scomparsi.
LINEA CASTELVETRANO – SAN CARLO – BURGIO:
Questa linea a scartamento ridotto nacque allo scopo di realizzare un rapido collegamento ferroviario tra le varie località della valle del Belice con Castelvetrano e con Palermo.
I lavori di messa in opera incominciarono nel 1910 e finirono definitivamente nel 1931 e prevedevano il seguente percorso: Stazione origine Castelvetrano, Partanna, Santa Ninfa, Gibellina, Salaparuta, Santa margherita Belice, Sambuca di Sicilia, San Carlo e Burgio stazione finale; la stazione di San Carlo prevedeva la diramazione per Palermo.
Pur essendo discretamente frequentata da viaggiatori, anche questa linea si arrese a quella che ormai sembrava il destino delle FS concesse siciliane. Nel 1959 venne chiuso il tratto da Salaparuta a San Carlo e nel 1972 seguì la stessa sorte il tratto da Castelvetrano a Salaparuta in seguito al famoso terremoto del 15 Gennaio 1968 che devastò tutto il Belice e distrusse Gibellina.
LINEA SANTA NINFA – SALEMI
Questo ramo di ferrovia a scartamento ridotto di circa 10 Km collegava Santa Ninfa con la stazione di Salemi della linea FS Palermo Trapani. In effetti ne era previsto il prolungamento verso Trapani, ma i lavori troppo tardivamente iniziati (1930) non ne consentirono il proseguimento oltre Salemi, raggiunta nel 1935. Era evidente lo scopo di collegare le località della Valle del Belice con Trapani, evitando il lungo percorso ferroviario esistente che passava per Marsala.
Nel 1954 anche questo rametto venne chiuso!
LINEA LERCARA – FILAGA – MAGAZZOLO.
Questo ramo di ferrovia secondaria progettato dopo il 1906 dalle FFSS , aveva lo scopo di realizzare un collegamento tra i centri minerari di quest’altra zona della Sicilia, legati alla produzione dello zolfo, e per favorire principalmente il pendolarismo dei minatori.
I lavori ebbero inizio nel 1912 e vennero ultimati nell’ultimo tratto intorno al 1924.
Il percorso previsto era il seguente: Stazione origine Lercara Bassa, già collegata con Agrigento, Lercara Alta, Depupo-Castronovo, Folaga, Santo Stefano Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, stazione finale Magazolo che faceva già parte della linea Castelvetrano – Porto Empedocle; inoltre dalla stazione di Filaga si dipartiva un altro ramo che collegava Pizzi ed infine Palazzo Adriano.
A causa della scarsa affluenza dell’utenza la linea venne chiusa al traffico nel 1959.
LINEA PALERNO – CORLEONE – SAN CARLO.
Questa linea gode del primato della costruzione in Sicilia di una ferrovia secondaria a scartamento ridotto. Di un progetto che collegasse Palermo con l’entroterra se ne parlò ancor prima che venisse proclamato il Regno d’Italia. Era evidente la necessità di collegare la costa tirrenica con l’interno della Sicilia, in prossimità del capoluogo, per liberalizzare il commercio via mare dei prodotti agricoli interni e ricevere merci prodotte all’estero. Molte Società imprenditoriali Belghe, Francesi ed Inglesi fiutarono l’affare che ne sarebbe scaturito da una costruzione ferroviaria ad hoc, ed erano pronte a scattare con progetti propri secondo le aspirazioni dei palermitani.
La spedizione dei Mille e la conseguente caduta in disgrazia del governo borbonico fecero segnare il passo ad ogni eventuale progetto, che si presentò subito in tutta la sua importanza dopo che fu proclamato il Regno d’Italia ed ogni cosa assunse la normalità di sempre negli affari di Stato. Tutto in sostanza era rimasto come prima; ciò che era cambiato effettivamente era l’interlocutore di sempre, che non era più il governo borbonico, ma quello sabaudo.
In effetti il nuovo Stato italiano recepì immediatamente le immediate esigenze di tutto il territorio in materia di trasporti e capì l’importanza dei binari e del vapore, come del resto avevano iniziato a capire i borbonici. Nonostante tutti i problemi da risolvere derivanti dall’unificazione dei vari stati italiani, il nuovo Governo si buttò a capo fitto nell’operazione di costruzione di strade ferrate, anche perché, tra l’altro, gli consentiva di intavolare rapporti commerciali con gli imprenditori degli stati “amici” Francia ed Inghilterra., i quali erano pronti a goderne i frutti sperati. Specialmente in Sicilia si dette immediatamente luogo alla costruzione di una rete ferroviaria lungo il perimetro esterno dell’isola, dove i Francesi furono abbastanza agevolati. Ma anche nella costruzione della rete interna dell’isola gli Inglesi non restarono a bocca asciutta. Il noto imprenditore inglese Robert Trewhellafece la parte del leone. Infatti, questa prima ferrovia a scartamento ridotto ( e successivamente altre) venne a lui affidata senza colpo ferire.
Subito dopo la legge Baccarini del 1879, che coinvolgeva gli enti locali nella costruzione delle strade ferrate, si dette la stura alla costruzione di ferrovie secondarie a basso costo. Il provvedimento si rilevò in toccasana per l’economia dello Stato, creando posti di lavoro e soprattutto la nascita di quella che era una nuova industria: quella ferroviaria. Peccato che le cose andarono un poco a rilento per le diatribe e le lotte tra i comuni nell’aspirare ognuno ad una propria ferrovia. Ma la cosa peggiore fu che tali lotte non determinarono solo ritardi, ma anche errori di valutazione per il futuro, i quali crearono i presupposti per il fallimento di cotanto operare. Tutta la rete ferroviaria che ne scaturì infatti (e non solo in Sicilia!) fu la realizzazione di percorsi a zig zag riduttivi della velocità e destinati ad essere annullati per l’avanzare della tecnologia automobilistica molto più snella e votata ad una maggiore celerità nell’esecuzione dei trasporti.
Per ritornare alla nostra linea in oggetto, vennero approntati i progetti relativi ed i lavori, affidati come detto agli inglesi, iniziarono nel 1886 per essere portati a termine nel 1903. Tutto i percorso che si svolgeva per circa 110 Km, partiva d Palermo Sant’Erasmo per raggiungere Corleone e successivamente la stazione di San Carlo – Burgio che faceva a sua volta parte di un altro progetto coinvolgente le località della Valle del Belice.
In tale percorso erano coinvolte, oltre Corleone, altre località importantissime dell’entroterra quali Villabate, Portella di Mare ,Misilmeri, Baucina, , Mezzojuso , Ficuzza, Campofiorito Chiusa Sclafani ed altre.
Ma l’importanza delle località toccate non impedì che nel 1959 la linea venisse chiusa al traffico con totale dismissione avvenuta nel 1961. Con l’avanzare delle strade e dell’impiego massiccio delle auto, anche l’esistenza di questa prima ferrovia secondaria non si sottrasse al destino subito anche dalle altre.
Il percorso ormai è stato assorbito dalle strade che lo hanno inghiottito ed è impresa ardua doverlo individuare.
LINEA MINERARIA SIKELIA.
Degna di essere ricordata è anche la ferrovia mineraria a scartamento ridotto che nacque per collegare le miniere di Castrogiovanni (attuale Enna), PagliarelloRespica e Candelli, con la stazione FS di Villarosa. Lo scopo era quello di agevolare il trasporto dello zolfo ivi estratto verso il porto di Catania tramite la FS a scartamento normale. Per tale motivo la stazione di Villarosa venne attrezzata in modo che i carrellini carichi di zolfo venissero agevolmente scaricati su appositi carri pianali ad alte sponde per il successivo trasporto
La linea in questione venne richiesta direttamente dalle autorità governative italiane nel 1907 e ne venne affidata la commessa al solito Robert Trewhella con la clausola di effettuarne la costruzione entro un anno. In effetti di anni ne passarono due, giustificati dalle difficoltà insorte in corso d’opera.
La linea in questione non prevedeva un traffico viaggiatori, ma quello semplice di merci ad uso esclusivo della Ditta SIKELIA, da cui il nome dato alla linea. Guarda caso, la ditta interessata era di proprietà della famiglia inglese Trewhella, che aveva degli interessi notevoli nel campo della produzione solfifera in Sicilia e che godeva inoltre di appoggi non indifferenti presso la autorità del regno nell’attività di costruzione di ferrovie secondarie nell’isola. Va ricordato che anche la Circum Etnea catanese venne costruita da Sir Robert Trewhella.
La ferrovia Sikelia morì di morte naturale e cioè con il venire meno della produzione di zolfo delle miniere interessate e non ebbe necessità di essere dismessa per decreto regio visto il particolare motivo della sua costruzione.
Nulla è rimasto del percorso del breve percorso, se non il ricordo del nome ed alcune opere strutturali utilizzate per la viabilità nel territorio dell’ennese.
CONCLUSIONE.
Tutte le ferrovie secondarie siciliane nate sotto l’impulso della legge Baccarini del 1879, sono ormai inesistenti, tranne, come ho già detto la Circum Etnea di Catania, che ha trovato altri sbocchi economici per restare ancora in auge.
Il volerle resuscitare nel contesto odierno dal mondo ormai passato della storia del trasporto isolano non gioverebbe ad un vantaggio economico legato al progresso tecnologico ormai indirizzato verso altri obiettivi.
Esse nacquero in momento storico particolare in cui l’invenzione delle macchine a vapore costituirono la svolta decisiva nello sviluppo delle vie di comunicazione. Pertanto furono importanti nel cammino del progresso sociale ed economico. Ma l’era del vapore è stata una tappa, la prima forse, per importanza, nel cammino dell’ umanità verso tecnologie più sofisticate nel campo delle comunicazioni. Ad essa sono sopravvenute altre tappe e non possiamo ancora dire che il loro numero sia ormai ultimato, poiché assistiamo ad un continuo progresso che sembra non avere fine.
Possiamo semplicemente attribuire un valore affettivo e di memoria a queste ormai vecchie e superate forme di trasporto, cercando di trarne un insegnamento ed una filosofia di vita pur sempre valida per il futuro.
Possiamo anche trarre degli insegnamenti dall’analisi storica di questo particolare momento del nostro paese relativamente al campo dei trasporti ed all’importanza che essi hanno avuto nello sviluppo della vita sociale ed anche del pensiero oltre che del commercio e della crescita culturale. Ma forse nulla di più.
E’ fuor di dubbio comunque l’importanza avuta di questo fiorire di ferrovie secondarie all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia dal punto di vista sociale ed industriale. Esso fu occasione di lavoro per milioni di persone e di estrema utilità per il pendolarismo interno in un territorio, quale la Sicilia , privo di altri mezzi di comunicazione.
Purtroppo, se da un lato agevolò la costruzione di queste strade ferrate, la legge Baccarini influì moltissimo sulla scarsa qualità della loro realizzazione, creando i presupposti della loro dismissione. Infatti la leggerezza dell’armamento, la tortuosità dei percorsi, i forti tratti acclivi da superare, la stessa finalità legata solo alla produzione mineraria dello zolfo e l’assenza di tecnologie improntate al risparmio, non consentirono di superare limiti di velocità superiori a 25/30 Km/orari. Tale limite, fortemente penalizzante, se in quel particolare momento in cui si passava dalla trazione animale a quella del vapore nel campo dei trasporti poteva ritenersi soddisfacente, con il tempo si rivelò insufficiente ai bisogni moderni e non resse alla concorrenza dei motori a scoppio su gomma.
Infatti la legge imponeva che tali strade ferrate nascessero in economia più assoluta, senza crearsi il problema dell’eventuale, poi avvenuto, progresso tecnologico. Il momento storico era quello di creare il maggior numero possibile di strade ferrate, senza tener conto delle eventuali esigenze future. Fu naturale, quindi la dismissione di queste ferrovie secondarie.
Il voler resuscitare oggi queste ferrovie è alquanto anacronistico ed antieconomico ed il desiderio di riesumarle è puramente utopistico. Non resta che la nostalgia di un periodo storico ormai passato e la poesia di un mondo primordiale e forse più ingenuo. Ciò non toglie che non si possa pensare a particolari linee dismesse con la mira di poterne trarre dei vantaggi in altri campi, come quello turistico e naturalistico. Mi riferisco in particolare alla linea Noto – Pachino a ridosso di Vindicari ed al tratto Sortino – Ferla – Necropoli Pantalica della valle dell’Anapo .
Per il resto, penso che oggi la rete stradale ha sostituito molto efficacemente la rete delle vecchie ferrovie concesse e che la trazione a vapore è ormai superata dall’attuale tecnologia, che ha introdotto lo sfruttamento di altri tipi di energia, aprendo un capitolo di cui siamo ancora ai primi commi e di cui non riusciamo ancora prevederne gli sviluppi.
Parliamo pure delle vecchie vaporiere, diciamo pure quant’era bello scendere dal treno ed assistere agli sbuffi del vapore, quanto erano belle quelle vecchie vetture con i sedili in legno, quanto era romantico fare degli incontri durante i lunghi viaggi in treno e quanto era quasi piacevole annusare l’aria del fumo della vaporiera che talvolta sfiorava il finestrino aperto, ma dobbiamo alla fine convenire che arrivare in pochi minuti in una località, raggiungibile una volta in almeno un’ora è un vantaggio a cui non possiamo più rinunciare.