PREMESSA DELL’AUTORE
Questo zibaldone di poesie, è stato scritto in parte nella seconda metà del 2019 ed il resto nell’ anno 2020 e nella prima metà del 2021, in pieno svolgimento della pandemia del covid-19 ancora in atto. Gli argomenti sono vari e rispecchiano cronologicamente i miei stati d’animo e le peripezie vissute in questi anni. E’ possible notare che le prime poesie, scritte nel 2019, non risentono l’ambascia che pesa nelle successive come un velo, anzi una coltre, di mestizia e di incertezze esistenziali Questo traghettamento da un mondo sereno ed abituale ad un altro che appare come un precipizio spalancato sul burrone dell’incerto, si nota in maniera evidente anche se un barlume di speranza talvolta appare all’orizzonte.
In verità ho dato alle stampe queste poesie, sicuro che ormai il peggio fosse passato e che tutto stesse per ritornare alla normalità del solito vivere nell’alterna sorte che la natura ci impone.
L’ultima poesia in nota, “Il mare”, altro non è che la immaginaria parodia della vita, che rientra nei canoni previsti con il ricordare l’alternarsi costante del sereno e del turbolento, caratteristici delle onde marine. Mi ero, infatti illuso che la pandemia stesse per terminare con l’entrata in campo del vaccino anti-coronavirus. Non avevo previsto le variazioni del contagio. Del resto, non sono un virologo, ma sopratutto non mi aspettavo che qualcuno si opponesse alla vaccinazione in maniera così eclatante e nemmeno che qualcuno cercasse di trarne vantaggio propagandistico elettorale, sfruttando l’ansia di persone paurose, tirando in ballo anche falsi concetti di libertà e di sanità.
Per questo motivo alla presente premessa, che ho scritto postuma su richiesta dell’editore, aggiungo quest’altra mia riflessione poetica in merito con l’intento di non voler mai più ricordare gli eventi riguardanti questo periodo criticando, però, apertamente l’operato dei falsi predicatori.
L’ombra riluce di mendaci detti
sul viso adorno di tappato muso,
che espresso mai non furo così gretti
sul vivere civile già deluso
dalle scemenze alate di concetti
che l’ansioso rimescola confuso.
Non basta solo l’uso del tampone;
necessita il vaccino alle persone.
Mi sembra assurdo l’affrontare lotte,
inalberar stentardi contro senso
e non credere estinta notte
Ringraziamento e riconoscenza
Guardare e valutare quant’ è detto
da chi lo studio svolge e s’affatica
a mostrare l‘umano alto concetto
della vita moderna e quella antica,
è vivere sereno nel rispetto
del suo pensiero e della voce amica.
Se poi in quello studio v’è l’oggetto
di qualche nostra rima più sentita,
mi sembra più che giusto ringraziare
la gentilezza che ci fu donata
nell’ospitarci e tosto avvalorare
l’opra nuda e modesta scribacchiata.
Ed allora perché non ricambiare
la gentilezza che ci fu mostrata?
Antica storia.
Se veri sono i fatti raccontati
da Rendina , da Belli e da Pasquino,
pure grandi gli amori sono stati
d’un vecchio Papa, ch’era birichino.
Vi parlo d’un Farnese tra i prelati
che consacrando in chiesa pane e vino
beveva di straforo del Frascati
nel Vaticano in vena di festino.
Lola, Costanza e Margarita Orsini
Il letto gli scaldaro finché visse
e pare che palazzo Rondanini,
donasse, come poi la fama disse,
a Silvia amata, sposa d’un Ruffini
e … Giulia pure sembra concupisse.
Cose di casa nostra.
Sul bianco cono dalla base estesa
alta si leva gongolante in cielo
una nuvola nera e sembra tesa
a ricoprir l’azzurro con un velo
Alla sua base, di rossore obesa,
un rilucente ed infuocato stelo
con essa rugge e mostra la pretesa
d’essere viva luce di candelo.
Un improvviso e cupo rimbombare
di tuoni ne fu chiaro il nunzio solo
e di nero si vide scombinare
il rosso, il verde ed il bianco suolo.
Necessitò, pertanto, cancellare
degli apparecchi totalmente il volo.
Ma resteranno infine i tre colori,
a risplendere al sole, strepitosi
sulla montagna che non ha rancori
L’uragano
Colonne dense
montano nel cielo
di fuoco proiettate
all’infinito.
e nero fumo
nella notte spenge
la luce delle stelle
sbalordite
mentre a dormir ritorna
il mostro ardito
che l’uragano
risvegliò per via
lasciando estinte
vorticose nubi
di rosso crepitanti
e nero attorno
la furia tace
Versa la natura
le lacrime scomposte
dal passaggio
e lascia in terra i segni
dell’orrore
Non resta che guardare
intorno assorti
la colorata stasi
dell’ambascie
La fuga dell’uccello
Sfiorò l’uccello dalla cresta d’oro,
che più corona rubiconda pare,
l’orlo del nido ascoso nel cespuglio,
la gioia pregustando del calore,
d’amore intriso, nell’amena attesa.
Volò superbo su montagne e valli
il soffio pregustando della brezza,
che pampine spostava svolazzanti,
e quando il collo immerse nel fogliame
indietro lo ritrasse stupefatto
ché parve brutto quello che vedeva.
Trovò quell nido disadorno e rude
e saltellando ritornò a volare.
Il non trovar giulivo l’abitare,
l’uccello come niente fa scappare.
In morte di Giovanni Cavallaro
Addio Giovanni, che t’accingi al passo
del solito destino imposto all’uomo
dall’eterna divina volontà.
Ora ti vedo risalire in alto,
lassù nel cielo tra le nubi bianche
che piangono per te stillanti lacrime
e non compare la speranza infine
di ritornare indietro dal percorso,
come quando per strada ti muovevi
lesto e sicuro nel tornare a casa,
percorrendo la strada con ardore.
Per la partenza del tuo treno mesto
spense la primavera il suo sorriso
in segno di rispetto e di dolore
e si nascose il sole a lei d’accordo
per mescolar la pena dell’addio.
Di te non scorderò l’allegro tono
dei versi dialettali che sfornavi
di personaggi nostri popolari,
il riso suscitando in chi sentiva
e tu gesticolando rispondevi,
citando un’ altro detto con candore.
“Tinitimi - dicevi – ma s’annunca
nun sacciu ‘ns’occu dicu e ‘ns’occu fazzu.
Tinitimi, ca sugnu tuttu pazzu.”
Mentre così gridavi con le mani
tracciavi brutti gesti a più non posso.
Ritorneranno un giorno i nostri morti
e tu con loro? Non lo credo certo,
ma di sicuro presto anch’io verrò
a calpestar con te le nubi bianche
e con te di certo parlerò di cose
che furono comuni e più non sono,
del nostro lavorare con i treni,
oppure ricordare i versi allegri
del Tempio, di Martoglio o di Borrello.
Addio Giovanni , amico e mio compagno
di lavoro che fu di certo grave
ma pieno di gioioso cinguettare.
Lieve ti sia la terra che ti copre.
Noi e l montagna
Lungo la strada
che scemando sale
nel biancheggiar
di soporose nubi
un mare ondeggia
di ginestre gialle
che il vento le sospinge
e le accarezza
tra rocce nere
di licheni onuste.
Adesso andiamo
comodi seduti
ed il silenzio
di montagna rompe
il ruggito stridente
del motore.
Un tempo
tra le rupi ed il sentiero
che bordeggiando
le sfiorava appena,
ansante percorrevo
questa via,
armato
di scarponi e di bastone.
La cima m’attendeva
del vulcano
l’odore le narici
mi colpiva
ed il silenzio intorno
mi sfiorava
mentre salivo
e mi parea leggero
il passo che era
faticoso e greve.
Andavo a piedi
e mi sentivo forte.
Adesso
corro assiso come un re
ma privo di corona
e senza corte
e forza mi sostiene
che non c’è
Un dì veloce
qui verrò volando
e privo
di pensieri e di sudore.
col vento correrò
su queste balze
e d’oro
sembreranno le ginestre
nello splendor del sole
che le bacia
mentre nel cuore delle rocce
altrove
cavo e silente
entrambi
a valle un fiore ascoltano
cantare litanie
sotto una croce
che sovrasta amica.
Le ritrovate foglie
Albero privo delle morte foglie,
nell’aria sparse di color turchese,
cui non più nidi la corolla accoglie
sui rami di speranze disattese,
il vento veste tue nodose spoglie
di nubi, che nel cielo le sospese
rubando i tuoi malanni e le tue voglie,
di ritrovate foglie al sole appese.
Di bianchi sogni rivestito a nuovo
rifulge di speranze e di candore
il tuo sembiante che pareva rovo.
La nube che ti cinge di splendore
rivela ardenti sogni e mi ritrovo
sommerso dolcemente di stupore
Matematica in versi
Equazionando punti su quadranti
di rette ortogonali disegnate
avanzano le curve rotondanti
e son diversamente nominate.
Seguendo le matite itineranti,
parabole ed iperboli segnate,
son miste ad incognite acclamanti
ellissi con due centri controllate.
Ma d’improvviso un refolo cerchiando,
con centro nell’incrocio delle rette
e con i raggi gli archi accarezzando
tangenti e cotangenti il cerchio stette.
Di poi sopra gli angoli giocando
anche seni e coseni ad esso annette
e, come niente, ancor triangolando
ne nacquero le formule perfette
del seno su coseno ugual tangente.
Ma non pensar che furono i ladroni
a darle il nome nuovo cotangente.
Io sto parlando di quell’equazione
di matematica pura e latente
su cerchi, raggi , rette in proporzione
e misura dell’angolo patente
con essi rapportati in relazione.
La sabbia in fuga
Col vento sabbia turbina
tra nubi là, nel cielo,
scavalcando torbida
del mar l’ondose rive.
Cancella le memorie
di stelle ammaliatrici
e l’aria priva, perfida,
di luce che già fu.
Sulle ginestre roride
del pianto della notte
si posa lenta e lacrima
qual polvere spavalda
nelle contrade magiche
del siculo vulcano
e sopra I tetti rustici
cancella pure il rosso,
che già adornava classico
Il vecchio casolare.
Torva da terra libica
sembra fuggir lontano
la polvere desertica
che rischia di cadere
nel mare sitibondo,
precipitando in fondo.
Anche le genti pavide
fuggon da spari e bombe
per non restare vittime
di guerre fratricide;
ma, come sabbia attingere
l’aiuto non potendo
di voli non possibili,
su fatiscenti barche
al mare rude affidano
la vita e la speranza
di ritornare a vivere
in luoghi più sereni.
Del vento l’urto perfido,
che l’onda tiranneggia,
non lascia scampo al misero,
cui d’annegar non resta
e sabbia sola in turbine
arriva sopra I monti
e sulle strade viscide
di fango e brina insieme,
mentre le spiagge gridano
invase dall’orrore
di quanti morti giunsero
dal mare tempestoso.
E se spogliato e misero
qualcuno giunse vivo
negar si vede povero
amore ed accoglienza,
perché comporta spendere,
a chi potendo deve,
denaro e spesa provvida
per consolar gli inermi.
In questo mondo perfido
non vige amor fraterno
e ciò che vien negato
non lece e non consola.
Primavera 2019
Sulle corolle roride
di fiori che son nati,
sopra i corimbi penduli
del glicine fiorito,
sulle gemmate primule
dei prati verdeggianti
cadon dal cielo lacrime
di nuvole ammassate
dal vento reso morbido
e ticchettando dolce
all’orizzonte timida
s’affaccia primavera
che scompare tremula
temendo di perire
nel gorgo ancora torbido
del già passato inverno.
Il vorticar di nuvole
la tiene ancor lontana
e ricompare vivido
nel caminetto il fuoco
e già m’appare stolido
quel clima che m’ avvolge.
L’Etna ed il Falco
Scivolerò volando sui tuoi fianchi
e colmerò di morsi le tue rocce.
La neve scioglierò dalle tue fronde
che ricoprì di bianco le tue foglie.
Ti inonderò con tutte le canzoni
che mute se ne stanno nel mio cuore
e sorridendo accoglierai fremente
il mio piombare intrepido sul seno
felice di sentire le carezze
del mio piumaggio grigio che ti sfiora.
Io son d’uccelli un elevato sire
che, scorazzando in cielo vado sempre,
con l’occhio vivo e l’altro riparato,
dopo la guerra con l’infame Dio,
che mai mi vinse nell’immane lotta.
Figlio diletto di sovrani Dei
nel tuo stupendo corpo accedo e godo
di tua bellezza e d’ogni tua vaghezza
perché d’averti sempre ignuda agogno
nel letto privo di fogliame ed erbe.
Dentro le ludiche caverne afose
la sete della carne che caldeggi
e del sangue che liquido ti rugge
estinguerò planando sitibondo
e mai non sia che tu non resti priva
d’antiche, care e mitiche leggende
che dette impulso e lustro al tuo splendore.
Tu dea perenne dal perenne calice
che fumigando mostri la tua forza
e dentro ti ribolle senza pace,
se ruvido mi doni ardito nido
tra rocce glabre dal brutale aspetto,
cessar non devi di curar le selve
e loro afflusso d’animali ingrati
che nutrimento son della mia vita.
Temer non devi del mio becco il morso
né degli artigli l’estro mio rapace
sulle tue rocce di durezza estrema
che solo intacca la crudele mano
dello scalpello armata e delle bombe.
Anch’io lo temo per veleno sparso
sulle frondose piante e nelle terre
dove la morte rugge e tutto annienta.
Finché d’eterna luce cingerà la terra
Il sole, che t’inonda e dona a me
la libertà del volo e della vita,
non lascerò le balze e le colline
del tuo roccioso manto e del tuo cuore
e possa sempre la natura amica
mostrare nude le tue forme arcane
per mio diletto e chi t’ammira e bacia.
SCIVOLA
Scivola,
nella discesa scivola
sul piano indenne scivola
correndo non s’arresta
ma risalir non sa
la palla
che fu colpita invano.
verso la cima volta
a contemplar le stelle.
Così precipitando
rotola
nel fondo della valle
nel fango che sommerge
nel mare che l’accoglie
nel nulla che l’avvolge.
Pasticcio di colori
E’ con le dita intrise di colore
che visitando vado senza posa
le risplendenti stelle della notte.
Ali spezzate d’angeli caduti,
nel firmamento vagano scomposte
tra stella e stella vagamente appese
a fili che risplendono d’argento,
e nuvole d’agnelli biancheggianti
a schiere pascolanti l’aria muta
campeggiano tra prati d’infinito.
La luna al centro tondeggiante ride
Immobile spavalda di candore
Illuminando tutto quanto vede.
Nel mio volare con la fantasia
le mani stendo su quel paradiso
e d’improvviso tutto tocco e tingo.
Le stelle sono rosa ed altre nere,
le nubi sono bianche a macchie blu,
si tingono di grigio I pezzi d’ala
e di rosso bordeggiano gli agnelli.
La luna appare macchiettata e stride
tra scarabocchi opachi e fili neri
Mi sveglio d’improvviso e son stupito
che tutto è ritornato come prima
Io fiammeggiante sole
e tu candida luna.
Noi due, da siti opposti progredendo
sulle nubi del cielo evanescente,
di luce inonderemo nell’abbraccio
la terra che ci vede già sognare.
Albe e tramonti insieme guarderemo
di luce dipingendo notti e giorni
che sembrano fiorire
vedendoci baciare in quell’istante
che la vita ti cingo con calore
e tu nel sogno piombi luminoso
tra le mie braccia stese all’infinito.
Io, che custode sono del tuo sogno,
ora di baci ricoprendo vado
le tue candide gote
e le ricopro d’iridati sogni
e tu, pure, del velo della notte
m’avvolgerai di stelle risplendenti,
coprendomi di sogni e di passione.
Noi due vivremo ad ogni bacio dato
nell’intimo contatto d’un abbraccio
e fugheremo nubi di dolore
apparse all’orizzonte
e con I baci d’amoroso affetto
rugiada stilleremo sopra I fiori
e boccioli di rose schiuderemo
scolpendo con la luce la natura
e spazzeremo I venti turbolenti
dal cielo reso terso
dal nostro amor che grida all’infinito
e pace sentiremo a noi d’intorno
finché nel mondo insieme danzeremo
all’alba ed alla sera, non più nera,
ma di sogni cosparsa e di splendore.
La scienza e le stele
E’ stato dimostrato chiaramente
che tappeto non è di stelle fisse
la volta che la terra tutta cinge.
Copernico lo disse e pure il Vinci
che ruotano I pianeti intorno al sole,
facente parte, insieme ad altre stelle,
d’ una vagante schiera d’astri in moto,
cui nome venne dato di galassia.
Sono infinite le galassie in cielo
che corrono tra loro senza posa
e, quindi. pure il sole non è fisso
Se pulsa l’universo e tutto freme
di stelle ed astri sempre in movimento
che d’una parte vanno ad altro sito,
mi pare che non regga la certezza
di zodiacali fati paralleli,
che segnano destini similari.
Ignorano le stelle di sapere
amore e vita, parità d’intenti
e tutto quanto viene predicato
da chi ignoranza sfrutta della gente,
costellazioni e segni rivestendo
di predizioni conturbanti e certe.
Determina la vita solamente
Il sole con la luce che consente
la clorofilla nelle foglie verdi
e la luna consente alle maree
il solo sollevarsi appena in mare.
Le rimanenti stelle ed astri tutti
non hanno riconoscimento alcuno
d’altro potere occulto sulla Terra,
che quello d’apparire e far sognare.
Ad Anna Manna I
Donna m’apparve di superbo ciglio
sul quadro tremolante dello Smart,
tinta le gote d’ abbelliti unguenti
ed esaltante il labbro d’un colore
che l’anima ti scalda e ti risveglia
dal sopito tepore del sentire.
Giammai non tacque le mia mente sveglia
ed il mio dire in versi la bellezza
di cotanto apparire su quel quadro,
che non fu mai così loquace e svelto
e, tanto di calore onusto e tosto,
da scomparire, subito riflesso
d’immagini vogliose d’apparire.
Il tasto spinsi col mio dito sciolto
e ricomparve quel superbo aspetto.
La mente vola là, sul Palatino,
e traballare sento in petto il cuore
che fa le bizze e già rimbomba lesto
sul martelletto dell’orecchio sordo
che muto fino allora se ne stava.
Miracolo mi fece quella vista
perché l’orecchio ritornò a sentire
e sembra pure che la vista goda
nell’ammirare il volto bello e grato,
che non è solo frutto di bravura
dell’uomo che riprese quanto vedo.
T’abbraccio e ti saluto con affetto.
Pellegrino in cielo
Novello Astolfo sul grifone alato
volando incontro al rosso dell’occaso
le stelle vidi splendere nel cielo
e la luna sorridere serena.
Di sotto, il mare rispecchiava pura
la volta che solcavo con ardore.
Il dito intinsi nel color del sole
e le tue labbra pinsi di quel rosso,
due stelle colsi risplendenti pure
e sul tuo caro viso le deposi
e con le mani di candore piene
il viso colorato di pallore
m’apparve troppo mestamente bianco.
Allor col dito, leggermente rosso,
lo tinsi appena e fu di rosa aprico
il quadro, che m’ apparve sotto gli occhi.
Raggiunsi infine la magione attesa
e fui felice d’esserti d’accanto.
Volò lontano il libero grifone
mentre t’accolsi tra le braccia avvinte
e tu, fremendo d’amoroso impulso,
al cuore mi stringesti e mi baciastii.
Ti vidi, tosto, pasticciarmi il corpo
di colorati segni d’ogni tipo
e strisce e macchie addosso mi sentii
e penetrar nell’anima il sentire
d’un cuore che batteva ed era caro.
Un quadro mi sembravo di Van Ghog
o forse Modigliani, oppur Manet,
oppur Corot od altro macchiettista …
Ma no, che quadro non sembravo in vero
d’aspetto definito e certa forma,
ma solamente di color cosparso
in ogni dove del mio corpo tinto,
un quadro di superbe apparizioni,
di colorate emblemi e segni strani,
una tempesta d’arlecchini in posa,
che corrono ed inseguono colori …
Un quadro certamente mi sentivo
d’improvvisata ispirazione e forma
che tu mi dipingevi con le mani
e l’anima toccavi in ogni dove
insieme al corpo pure che fremeva
e pure tu di colorato aspetto
al quadro t’aggiungevi ed eri bella.
Finito il sogno mistico suadente
mi son trovato di sudore asperso
nel caldo avvolto della notte insonne.
Però bellezza, cielo e fantasia
un sogno m’hanno dato di poesia
con te vissuto bello in armonia.
La gara
Il rito è già concluso
sull’ ara di Cupido
e cominciò la corsa
tra semi risoluta
per giungere al traguardo
di vita conquistata.
Chi più veloce corre
avrà raggiunto il sito
che serra dal di dentro.
Soltanto in questo agone
non vige la pietà,
che dopo al mondo lece
serenamente avere.
E’ sorda la natura
al grido di salvezza
in questo stato amorfo,
ma non l’ignora certo
l’umanità che vive.
Guardando un quadro
Di Van Gogh
Il sole ancora tiepido
ascolta trasognato
un cinguettante tremito
nell’ora del tramonto
dell’anima che spigola
sul campo tutto d’oro
Mi sembra nera rondine
che vola ancor vogliosa
e girellando tremula
al nido già s’accosta,
che segni infine il termine
del suo vagare incerto.
Nella speranza fervida
il cielo accoglie muto
il saettare labile
del lampo che le mostra
un sito irragiungibile.
Convien che giri ancora
nell’incertezza torbida
finché di sede spunti
un punto meno tremulo,
ma fugge invano l’ora
dello splendore mitico
nel cielo ormai velato.
Purtroppo …
Mentre d’ attorno il ghiaccio mi sommerse,
emettendo bagliori di freddezza,
a galoppar m’accinsi con ardore
le strade già percorse d’infinito
verso quel punto, dove luce splende
di vivida passione e di calore.
Nel luccicar di stelle e fantasia,
alto un nitrito si levò nel cielo
ed io sbalzato dalla sella caddi
sopra il fiorito letto dell’attesa.
Braccia aperte m’accolsero felici
e labbra a labbra fuse con furore
dischiusero la strada dell’amore.
Fuggiva spaventato tra le nubi
alato quel cavallo galoppante
che mi lasciò felice in tale posa
ed io rimasi muto all’improvviso
perché cessò la luce della mente
e solo mi trovai nel mio letto.
Omaggio a Camilleri
Sopra quel mare che di luce brilla
del cielo azzurro, che riflette il sole,
di te superba emerge la scintilla
del tuo narrare la superba mole
d’amtichi fatti che Sicilia assilla.
Lo schermo narra con le tue parole
le ripetute voci a stilla a stilla
del siculo parlare e nuove fole
del variegato vivere contrito
di gente obesa d’un passato vivo.
Ed or, che tu ci mostri col tuo dito
quanto di bello esiste e non è privo
di sentimento ed onorato mito,
della Sicilia resti un nuovo divo.
Autoritratto
Riflettono l’azzurro
gli occhi miei
come quando ragazzo
li mostravo
e sgambettar solevo
per la via.
E’ cosa nuova
il bianco dei capelli,
che di castagno
avevano colore
Il viso mostra tremulo
il sorriso
che spensi allora,
molte volte assorto
in gravidi problemi
d’esistenza.
Il cuor rimasto ancora
come prima
acceso di passione,
scrigno resta
d’affetti andati
e di stupendi sogni.
Or la memoria serba
nella mente
ricordi belli,
ma dolori antichi
che cinsero di nero
il mio sentire.
Onesto il ciglio
di superbo aspetto
giammai si chiuse
per vergogna al mondo
e se già vinto
s’abassò modesto
rifulse tosto
di novello ardore
finché non vide
l’agognata vetta.
Supino adesso giace
il mio volere
e più non strilla
di vittorie il canto
perché disio di pace
e non più guerra
il cuore mi si strugge
d’ascoltare.
Spunti d’orgoglio
Spunti d’orgoglio su placate labbra
trasformano d’incenso le parole
in appuntite spade per colpire
chi decretare vuole il danno altrui
e rabbia che nell’anima s’annida
emerge travolgente in modo forte
a mescolar veleni con dolcezza.
Indorano le labbra un pio sorriso
ma covano nel cuore le vendette.
Amore sempre con amor si paga,
ma l’odio pure rivangare vuole
quanto di brutto al sole venne steso.
Ascolta il mio gridare
Tu, che tingesti allora
i tuoi capelli neri,
che adesso mostri grigi
col bianco della neve,
d’azzurro ti copristi
un tempo col mio sguardo
ed il mantello ancor
ti cinge e ti riscalda,
se nell’oblio rimescoli
pensieri d’altri tempi
ormai rifusi e muti,
ascolta il mio gridare
inverecondo e triste:
adesso ancor di più
ti cinge l’amor mio
e brucia del dolore
che dici di sentire
Malinconica nostalgia
Tu, che sereno il viso
adombri d’anni sparsi,
dolce al mio sguardo mostra
l’immagine sublime
che maschera di velo
le tue stupende gambe
ed il voglioso seno.
Li bacerò da lungi
avvoltti nell’alone
di scintillanti stelle
e rinverdir vedrò
i tuoi capelli grigi
d’argento e di splendore.
L’ombra del futuro
Lontano il canto
risalì per via
degli angeli
sperduti nel deserto
di ripercorse strade
ormai rupestri
e risuonò
la dolce melodia
d’incanti e di parole
al vento sparse
senza rimpianti
di perduta pace
Stupendo apparve
caloroso e terso
il desco colorato
del futuro
di cibi adorno
e di sapori nuovi
sul tavolo
d’azzurro bordeggiato
con teglie d’oro
ed argentate brocche.
Il tempo è ritornato
di sperare
anche se nube
l’orizzonte copre
e mesce il vento
piccole folate
sul monte che borbotta
e fiamme mostra
d’intenso rosso
nel chiaror lunare.
Necessita godere
quest’istante
di pace e di bontà
che sorridendo
in cielo monta
e solamente attende
di spegnersi repente
con la stasi
un vero paradiso
di bontà.
Presunzione
Cadevano piangendo nella notte
i sogni scintillanti dell’oblio;
mostrava il cielo le vetuste lotte
di stelle che disperse nel pendio
correvano lucenti già ridotte
nell’infinito afflato verso Dio.
Muti seguendo queste loro rotte
i sogni miei prendevano l’avvio
precipitando inermi nel profondo
di storie antiche veleggianti nere
sull’orlo del ricordo del mio mondo.
Comparvero di volti antiche cere
spalmate nel rilievo dello sfondo
che furono feroci al par di fiere,
ma loro aspetto diventò secondo
disciolto come fiamma nel braciere.
A me non resta che guardare in alto
le nubi macchiettate di candore
ed ammirare il balenar di smalto
di stelle luccicanti di splendore,
oppur lo sguardo volto nell’asfalto
rimembrare le scene del dolore,
oppur come osare con un salto
sedermi in trono al posto del Signore!
Pensando a Te …
Io
quel cuscino
tra le gambe stretto
sembiante sono
d’agognati amplessi
almanaccando
briciole di stelle
che vagano
nel cielo vellutato
e tingono di sogni
le tue notti.
Rubello il pianto
del tuo ciglio accende
la lacrima
che gronda sul tuo viso
e l’anima
di ninnoli s’adorna
caparbiamente
stesi sulla tela.
Il bianco
si cosparge di colori
che brulicando vanno
pellegrini
ed è la luce
che la scena infiamma
e tace derelitta
di sognare.
La notte allora
non più nera
brilla
e l’estro presta l’alba
vagabonda
del giorno che compare
ed è di festa
o forse di dolore
ormai represso.
Versi colorati
Ho coniugato versi strampalati
con colorate chiazze di pensieri
sul bianco piano della tela stese
e fiumi di parole tra le pietre
aguzze del non so e dell’inconscio
son scivolate limpide e lucenti.
Annaspano le mani variopinte
nel cumulo d’azzurro e di rosato
ed anche i piedi spremono colori
a grappoli disposti nel tinello
I fumi ascolto gorgoglianti e vari
dal fondo risalire in alto dolci
e perdersi nel cielo del sentire.
Assumono l’aspetto d’una Dea
che di ramingo navigare paga
a Cipro il corpo nudo cinse opimo
ed esaltò di Grazie la sua fama.
Di Venere m’aspetto di vedere
tra queste informi chiazze di colore
il tuo sembiante onusto del candore
che vivido compare nella schiuma
dell’onda capricciosa e saltellante.
Allor di gioia squillino le trombe
e l’aria tutta di piacer s’inebri
nel vago comparire delle nubi
vestite di parole in versi sciolt
A Mario Narducci
leggendo una sua poesia
Leggendo questi versi,
scoiattolar ti vedo
sulle ramaglie spoglie
delle memorie antiche,
laddove il picchio tarla
dei tronchi le corteccie,
assorto nei ricordi
che rendono festoso
il tuo giocar con Lei
tra le cadute foglie
e te, muto pregare,
felice di vederla
il prato calpestare
d’ataviche emozioni
a te soltanto note
e la mancanza sale
nel cielo con amore.
Al vento scrivo
Al vento scrivo
le mie fole insulse.
Di cima in cima
volano scomposte
su monti immacolati
mai raggiunti
lasciando dietro
sciami di ricordi
e sento a me d’intorno
quel brusio
che suscita emozioni
in chi li legge.
Non sempre il tempo
ticordar le fa
sperdute
tra le foglie petulanti
che rimbalzando
vanno a mulinello
nel gorgo
di veraci seduzioni
ma sento
che nel mondo vi sarà
chi rincorrendo
nuvole rimosse
le coglierà leggere
nel deserto più deserto
e leggerle vorrà.
Di ciò m’illudo
e di speranza vivo
d’aver solcato
l’ombra dei ricordi
la luce ricalcando
del sognare.
Fantasie d’inverno
Tra l’innevate balze di montagna
e rustiche cassette ammonticchiate
al campanile aguzzo in ciel inciso,
ascolto il canto spumeggiare ancora
dal tuo verseggiare ridondante,
e dietro i vetri scorgo il tuo bel viso
rimirar la neve ed anche i lupi,
avvolto nella cuffia d’altri tempi
donde sfugge un ricciolo dorato,.
le favole illustrando ormai sopite
d’antiche voglie di bambina adulta.
La neve fiocca e tu ballando vai
pantofole di sogni ricalzando
e vedi lupi dall’umano aspetto
rimbalzare tra cumuli di neve
ed apparire pieni di candore
col muso fumigante di calore
Il tuo ballare d’innocente impulso
con quello si confonde spaventoso
di belve dietro l’uscio nell’attesa
d’eventi a lor fatali e favolosi
grignando di rapina la speranza.
Attenta al lupo fanciullesca donna,
che saltellar coi lupi tra la neve
di pace ti deruba il cuore puro
e ciò che par romantico e stupendo
la trappola diventa cincischiante
di pene spaventose senza fine.
Il lupo affonda le sue zanne aguzze
senza ritegno e remora veruna
sulle tue carni bianche di gazella,
anche se gridi di volergli bene,
come fece ai suoi tempi San Francesco,
d’amarlo come quando nelle fiabe
l’amore vince dell’umano amplesso.
Lascia che ballino tra loro i lupi
nel buio della notte che li avvolge
e tu, sognante, resta dietro i vetri
a rimirare il loro dimenarsi
all’ombra della luna che li inghiotte
e vivi dei tuoi sogni evanescenti.
La nevicata dopo …
Sopra gli anfratti torbidi
a fioccchi biancheggianti
cadde la neve morbida
dal cielo reso prodigo
di nuvole assortite
e le sospinse labili
il vento giocoliere
che sopra i tetti tribola
di case non più vive.
All’apparire plumbeo
appena all’orizzonte
d’un cinguettante passero
il cuor balbetta e spera
che torni nuovo a splendere
il sole che glissò,
ma resta solo gelida
la coltre che ricopre
il verde ch’era turgido
e stinse d’ombre vane
le tragiche macerie
d’un tempo che passò
L’Ultima impresa
Da Roma ai Dardanelli,
dai Dardanelli a Tripoli
passando per l’Egitto
volò Guerrin meschino,
in Africa diretto.
Di Scipio l’elmo cinse
ma s’arrestò per strada
temendo d’incappare
nel centro della Guerra.
Girò verso la Francia,
salì verso i Valloni,
richiese di parlare
con tutti i convenuti
su Tripoli e Bengasi
d’Italico retaggio,
schierando in campo aperto
legioni di parole,
che mai non vide Zama,
confuse tra le spade
d’opposto schieramento.
Impone a tutti quanti
che pace regni italica
nella romana Libia.
Dirotta tutti quanti
a disquisir di pace
in casa del Tedesco
dicendo peste e corna
del Franco non gradito
e per restar famoso
sapete cosa fa?
Ripone nel bagaglio
l’italico furore’
le spalle volge indietro,
saluta e se ne va
a rinfrescar le chiappe
al mare steso
felice d’aver vinto
del suo stato
la povertà nel mondo,
che ... scomparve!.
La soppressa luce
Ahi! Vita che mi sfuggi
io son per te la riva
del mare che ti limita
e l’onda scapestrata
di mai provati brividi
nel fiume di pensieri
che scende muta a valle
e, non trovando pace,
spenta lasciò la fonte
di soppressa luce
e sulle sponde ignora
il rifiorir di gigli
e colorate primule
nel limo soffocate
a valle ristagnante;
né sa del piede l’orma
la Speme né la Fede
mostrare nell’oblio
di sommerse pene.
Se pur ritorna il mare
a ribaciar la riva,
inerte resterà
la sabbia che brillava
e nulla al mondo torna
come quando di fervide
speranze s’inondava.
Addio per sempre fatuo
dell’acqua l’ondeggiare
nello splendor del sole.
Addio per sempore mare
dalle spumose rughe
a cavalloni strutte
Addio per sempre ingrata
terra di vaneggianti
sogni rutilanti al vento.
Del gorgogliante fiume
solinghe resteranno
le denudate rive
di fiori e di pensieri.
Io e Golia
La proda percorrevo anacoreta
del vivere sereno nell’attesa
di giungere giulivo alla mia meta,
ma d’improvviso il passo mi sbarrò
l’immagine spavalda di Golia.
Un sasso oblungo colsi dal terreno
ma non trovai la fionda per lanciarlo
e quando infin la presi e la puntai
a me davanti diventò Golia
un picciol punto che corona aveva
con tanti denti pronto ad azzannare.
Non mi restava che tornare indietro
buttare il sasso, conservar la fionda
e ritornar del tutto chiuso in casa.
oppur giacere in terra come frutto
dall’albero caduto della vita.
Di vivere la scelta preferii
e prigionier divenni d’un fantasma.
Così è.
Se giusto sia gridare
quando il dolor ti piaga
od in silenzio stare
mi sembra cosa vaga,
perché d’intenso giace
il turbinio del mondo
e l’ascoltar non piace
lo stimolo profondo,
che l’animo ti tocca
e bada solamente
a non aprir la bocca
per dire proprio niente.
Geme l’altrui dolore
che sorge nella gente,
ma lo riporta il cuore
in modo indifferente.
Le tre luci
Promesse spiattellate
nell’odio rosolate
giammai potranno dare
conforto e sazietà
a chi la pena soffre
d’eterna povertà,
né delle tante stelle
lo squallido chiarore
conforta di chi soffre
le pene del dolore,
né favellar forbìto,
mirabolando fiori
o sciorinando al cielo
fantastici contorni
di mete mai raggiunte,
né lo sfornare accuse
a volte inesistenti
giammai saranno fonte
di gran felicità,
ma l’apparire solo
d’appena tre lucette
accese d’improvviso
nei giorni del dolore
che sanno di Speranza
di Fede e Carità,
potranno dare pace,
e luce di bontà
a chi soffrendo sta
e far restare vivi
avanzi di pieta.
Compere di Pasqua.
La colomba andò al mercato.
Sai tu dirmi che comprò?
Sopra il banco della Fede
Sai tu dirmi che guardò?
Una cesta di Speranza
Presso l’albero notò,
Tra pacchetti seppellita
Tutta piena di Bontà.
Lei la prese arcicontenta
E chiamolla Carità.
Indi prese sotto l’ala
Un soldino di Pietà
E col cesto sotto il becco
Al commesso lo mostrò.
Ai suoi bimbi cinguettanti
Questo dono lei portò
e fu festa della Pasqua
Quando al nido ritornò
Addio superba Quercia
Malato il sole squallido
alla finestra mostra
d’april l’aspetto perfido
che mai osar mostrò
negli anni resi immemori
di luce conquistata
all’infelice tenebra
d’inverno che fuggì.
Di morte l’inno stridulo
del mese traditore
nell’aria resa torbida
in alto si levò
e dalla terra sterile
le sue radici svelse
alla supina quercia
già rorida di pianto
quel dì che pendula
la tempestosa cima
al suol rivolse pavida
dei rami ripiegati
per adorare tremula
la rosa, che pur innanzi
il gambo già pieghevole
stecchito reclinò.
Virale il vento sadico
la quercia sradicò
e la ridusse povera
di mistico saluto.
Addio superba quercia
di lotte invitte e sante.
A te rivolgo un cantico
di pace e di pieta.
Non resta che pregare
Rintoccano I minuti,
galoppan l’ore mute
e passan le giornate
nello sfuggir del tempo,
che brucia nostra vita.
Di nero la sommerge
il vento degli eventi
che sa di soffio estremo
nel turbinar scomposto
di note sempre amare.
Il sibilar scomposto
di note sconvolgenti
rimbomba nella mente,
che teme e non consente
di vivere sereni.
L’onda, su cui dei poveri
giullari del pensiero,
si leva immensa e densa,
distrugge la speranza
del tempo da venire
e mesce lacrimosa
la spuma biancheggiante..
Addio superbi sogni
di tempi rubicondi.
addio sciupata stasi
di dolorosi eventi,
addio vita serena
di contemplata pace.
Di morte oscena l’ombra
nel mondo oscilla grave
e più non sale prece
che l’animo t’acqueta.
Né sa l’umano stato
quando gioir potrà
del cielo senza nubi,
del sole risplendente,
di vivide giornate,
vissute senza tema
di perfidi fantasmi.
Possa di Dio la mano
colmare di speranza
la vita che ci avanza.
Non resta che pregare.
Il letto con la vela
Tranquillamente steso nel mio letto,
attenderò che passi la tempesta
e vivere così, per mio diletto,
di storie e di pensieri nella testa,
che di libri si ciba e non contesta
di divenir più saggio e non infetto.
Del resto non è certo cartapesta
che mi circonda in modo assai perfetto.
Mi copre quel desio di lamentela
che nasce dall’avere immoto il cuore
d’amichevoli incontri e parentela,
Tutto questo mi provoca dolore
ed altre pene, ma diventa vela
che spinge la mia barca con furore.
AUGURI MAMMA
Adesso del tuo viso
il mio ricordo in alto
sale e non tace il cuore
quel tuo sereno aspetto
che mostravi allora
quando vita t’arrideva
e dell’amore paga
al seno mi stringevi,
o cara madre mia. .
Io vidi te volare
in cielo il dì funesto,
che mesto ancor ricordo.
Era di festa il giorno
e non potemmo nulla
per trattenerti ancor
con noi su questa terra.
Solo baciarti in fronte
e mano tra le mani
mi fu concesso avere
e non veder sbiadire
i tuoi capelli neri
appena mescolati.
col bianco appariscente.
Solo speranza adesso
mi sprona e mi dà pace
di rivedere te
nello splendor di Dio
ed abbracciarti ancora
come quando piccino
al seno mi stringevi
Gorgheggia il mare.
Gorgheggia il mare rifrangendo l’onde
sulla battigia ricca di colore
e scorgere tu puoi poco profonde
le pietre accarezzate con amore
Son diventate quasi grige e tonde
ma non soffriro certo alcun dolore
nell’accostarsi al suol lungo le sponde;
ognuna sembra di corolla il fiore.
Baciarono le gote gli anni miei
e bianchi diventaro I miei capelli
al punto di sembrar agli occhi miei
superbo il sire di canuti uccelli,.
che vogliono sapere quando sei
già pronto a riposare nei sacelli.
Il tempo si fermò
Il tempo si fermò!
Ma l’orologio l’ore
andava ticchettando
immobili rimaste
sul fiume di pensieri
precipitanti a valle
nell’imo dell’assurdo
che cancellò la pace
raggiunta con fatica.
Il plasticato tubo
dalle guantate buche
m’accolse sconosciuto
foriero di sventure
e l’agitar sconnesso
dell’ululante moto
nell’auto lettiga
mi resero basito
e non capii più nulla.
La corsa infin cessò,
si spense la sirena
Il morto venne vivo
dal tubo partorito
e consegnato a mano
ad angeli blindati
di bianco non alato.
La febbre era salita
il cuore traballava
la mente non capiva.
Al misero malato
gli venne detto chiaro
d’avere la corona.
Ma come avvenne il fatto
non si capiva bene …
due volte negativo
da precedenti esami,
il terzo positivo
lo dava l’indomani.
M’accolsero prudenti
sul molo di San Marco,
di bianco paludate
angeliche fatine
in viso mascherate
e senza l’ali a tergo,
che le copriva tutte
il classico scafandro
che fu di Palmisano.
Un medico m’accolse
anch’egli intabarrato
e disse un po’ sorpreso
che male non andavo.
Passati ben tre giorni
di mitici tamponi
neganti la presenza
del torbido folletto,
mi vide nuova stanza
ed anche nuovo letto.
Volarono d’intorno
le mitiche fatine
uscite dal biancore
d’anonimo sapore.
Sembravano farfalle
uscite dalle larve
e mi fu noto il viso
d’ognuna che vedevo.
Conobbi Chiara, Pina,
Roberta, Robertina
Stefania ed Albertina
e Barbara e la Tina …
D’ognuna un buon ricordo
conserverò nel cuore,
un grazie lor porgendo
per cure ricevute
e possa lor donare
fortuna buona sorte
per quanto fare sanno
con gioia e con passione.
Ho perso la corona,
non sono più monarca
confuso e stralunato,
ma scampolo felice
del popolo figliolo,
a casa ritornato.
Alla Reggia di Re Artù.
Guerriero scoraggiato,
al desco già m’assisi
d’ignoti cavalieri
del Principe d’Artù,
per suscitar l’oblio
di giorni ormai passati.
Al fianco già deposi
l’usbergo e l’elmo
dal pennacchioso ciuffo,
con l’anima coperta
ed il rugoso volto
dal biancheggiante lembo
di flaccida fanella,
l’insegne sottacendo
d’imprese disperate
l’immagine sbiadita.
e col pensier ritorno
all’umile dimora
che vide I miei natali
e ritornar mi fingo
giullare ancor bambino
la terra calpestare
di memori sentieri
con il modesto passo
dall’innocente zelo.
Rivedo già nel solco
del tempo che trascorse
le rose rifiorire
e biancheggiare I gigli
che sanno di purezza
e l’ansia già mi nasce
di ritornare ancora
a pregustar la pace
dell’erba che soggiace
all’innocente peso
d’un passo trepidante.
Adesso del futuro
l’ansia già m’assale
e della spada il vanto
vittoria più non grida,
che vincere non lece
nemico evanescente
che ruzzolando lede
e turpe si nasconde.
Non bastano bandiere,
cavalli scalpitanti
né lance, né turcassi,
né brividi d’assalto
o palle di cannoni
per conquistar la pace
che calpestata giace.
Serrar convien le file
con scudi intelligent
capaci d’arrestare
l’attacco del nemico.
E’ questo il mio pensiero,
è questo il mio consiglio
se vincere vogliamo
la guerra che ci assilla.
Che dire ,,,?
Le mie preghiere fervide
in cielo son salite
e nella corsa flebile
son subito sbiadite
sfiorando solo nuvole
di mostri rivestite,
che lentamente brigano
col sole già morente.
Sulle mie labbra tremule
fiammate di pensiero
nel desolato turbine
dell’aria che le spenge
e mestamente piangono
soffuse dall’oblio
che fa restare immemore
la speranzosa prece.
In petto solo il culmine
di disperate mete
disciolte nel silenzio
per ritrovar la pace
che tristemente pavida
sul muto soglio langue
e si dispera tremula
per la perduta stasi.
In morte di Pablito Rossi
Tra le superbe zolle sempre verdi
per te, che corri voli oppure salti
dietro il pallone che per niente perdi,
non tace il rimbombante grido sugli spalti
che tu giocando esalti.
Ancor di te si narra e si favella
che quando lesta e senza scampo in rete
la palla tu spingesti tonda e bella
che della gloria spense alta la sete
che più non si ripete.
Ormai di te non resta che ricordo
e sugli spalti aleggia solo il pianto
per l’inattesa fine, non lo scordo,
che fosti dell’Italia il vanto
ed or solo rimpianto.
Se tu vuoi …
Tu, nella stanza cheta
t’aggiri o rondinella
e la sperata meta
non ti sembra bella.
Con l’ali già deposte
nella raggiunta stasi
non sembra avere soste
la ricordanza o quasi.
L’aureola non cinge
il capo tuo corvino
ma quel tuo nero pinge
il senso del destino,
che l’anima ti scuote.
Non cantica sollecita
più narra sulle note
la litania che recita
la storia già finita.
Profumo spande intenso
la fiaba ancor sentita
di desiderio immenso,
che narri tu con gli occhi
nel tacitar di sogni
che col pensier ritocchi
e vivamente agogni.
Fantasmi del passato,
son l’ansia del presente
in questo mondo ingrato
che punge ancor repente.
Ignora, se tu puoi,
il vaso di Pandora.
Ricorda che, se vuoi,
la vita è bella ancora.
Per quanto mi concerne
io l’armi già deposi
e nelle veci alterne
pensieri non estrosi
osar non voglio ancora
nel clima che repente
sempre di più peggiora
il mondo e pur la gente
Rondinelle in fuga
O rondinelle, rondinelle cupe,
voi che fuggite sempre più lontano
e temete l’arrivo dalla rupe
del falco, che vi rese il viver vano,
il volo che difforme disegnate
nel cielo che s’illumina d’immenso,
dite, dite di cosa vi scansate
tutti insieme volando senza senso?
E’ nello stare forse tutte insieme
che gioca ognuna muta un triste ruolo,
perché colpisce il mostro chi non teme
e l’altre salve fuggiranno in volo.
Potrebbe il falco, dico, mai colpire,
o rondinelle che fuggite a stuolo,
se provasse lo sciame ad assalire
l’assalitore che ne avrebbe duolo?
Orsù smettete di fuggire sempre,
inverso il senso del volar provate
e nuova linfa avran le vostre tempre
se d’attaccar l’assalitor pensate.
Al mostro nero d’Acireale
Non più fumante di vapor foriero,
sulla tronca panchina inerte e tacito,
di ruggine corroso, il mostro nero,
che, sferragliando un tempo sul binario,
quivi giungeva rutilante e gravido,
dorme sereno sulle ruote steso
né più risuona il suo frenar intrepido
sul ferro, che corrusco ed indifeso
di scintillanti briciole investiva
quel circostante spazio ed era fremito
di suoni e di bagliori che copriva
della natura l’apparato scenico.
Al suo fermarsi, che non era docile,
seguiva l’apertura di portiere
ed il vociar scomposto e rapido
di genti in moto sempre più ciarliere
e, quando infin cessava il brulicare
sul glabro sito dall’aspetto lavico,
tornava il mostro nero a pennellare
il cielo di vapore e fumo intrepido.
Adesso, l’ansimar non sento tragico
delle sue ruote, che, staffate immobili,
ricordano percorsi non più tinti
di nero fumo a forma di pannocchia.
Il tempo passa ed ei non è più valido.
Al posto suo l’elettrotreno corre
e la rincorsa morde il suo binario
mentre lo guarda e con fermezza tace.
D’aspetto truce, povero e mendico,
tramanda un sogno per davvero estatico.
che vinse certo nel remoto tempo
ed ora, muto, sembra più fantastico.
Riflessione
Antiche storie di passati eventi
sulla marmorea lastra della lava
ricordano quei tragici momenti
quando rossa ed imperterrita colava
sui fiordalisi e gli alberi morenti,
mentre allibito l’uomo la guardava
discendere sui clivi dirompenti.
Adesso ricca di riflessi spenti,
muta si stende sul selciato molle
del verde prato che d’intorno cresce.
e sopra d’essa d’una croce estolle
l’eburneo segno, che d’amore mesce
chi giace sotto le coperte zolle
e nelle vene il sangue più non bolle.
Al vento sparse.
Al vento sparse le cadute foglie
danzano scomposte sul terreno
ma nessuno le cura o le distoglie
e sono fonte di dolore osceno
degli alberi piangenti nella bruma.
Le colse il freddo del’inverno esploso
sulle pendici d’innevata schiuma
del ramo addormentato e già poroso.
Morirono le foglie ma la vita
il tronco serba del gigante in sonno
e quando il sole mostrerà spedita
la luce ed il calore tutto intorno,
altre foglie adorneranno i rami
e fiori e gemme fioriranno ancora.
Foglie cadute sono i giorni grami
che scomparir dovranno il giorno e l’ora
del riso e del sereno che ritorna.
Non vi crucciate dunque del dolore,
stringete i denti e fate pur le corna,
così d’ambascia sparirà il sentore.
Rubello il tempo ogni beltà cancella,
ma nell’anfratto di perduti istanti
altre cose cancella e rimodella,
donando al mondo la beltà dei Santi.
Così speranza che nel cuore alberga
pimpante e viva, senza alcun timore
alla tristezza porgerà le terga
mostrando intorno un risplendente fiore,
che l’aria di profumo inonderà
e rivedrete allora il bel sorriso
sulle dischiuse labbra a chi dirà
d’avervi visto prima tristi in viso.
Cose di casa nostra.
Sul bianco cono
dalla base estesa
alta si leva
gongolante in cielo
una nuvola nera
e sembra tesa
a ricoprir l’azzurro
con un velo
Alla sua base,
di rossore obesa,
un rilucente
ed infuocato stelo
con essa rugge
e mostra la pretesa
d’essere viva luce
di candelo.
Un improvviso e cupo
rimbombare
di tuoni ne fu chiaro
il nunzio solo
e di nero si vide
scombinare
il rosso, il verde
ed il bianco suolo.
Necessitò, pertanto,
cancellare
degli apparecchi
totalmente il volo.
Ma resteranno infine
i tre colori,
a risplendere al sole,
strepitosi
sulla montagna
che non ha ra
L’Espressione musicale
Ali spiegate con supremo dire
di celesti contorni strumentali
si levano nell’aria alabastrina
e sembrano le nubi paradisi
di primule sospese ed infinite
al suono di violini e di timballi
che rimbombando vanno l’armonia
dell’anima, soffusa di piacere
o di tristezza e di dolor immenso,
mentre l’eco di sogni la cosparge.
e mescolando vanno trilli d’oro
agli argentati sciami della notte
nel punto che dal sonno si risveglia.
Squilli di trombe e suoni mescolati
vanno insieme a suadenti note emesse
sugli spalti d’improvvisate scene
e nascono canzoni ed inni sacri
superbamente espressi nel contesto
di storie nuove e cantiche novelle.
Allor la pace regnerà sovrana
tra popoli lontani ma vicini
al suono della cetra e del violino
che l’odio antico coprirà d’oblio.
La danza delle note
Sul pentagramma statico,
folletti saltellanti
e d’improvviso queruli,
le note van danzando.
Sembrano proprio rondini
posate sopra i righi,
che paralleli scorrono
sul foglio immacolato.
Nel silenzioso spazio
le vedi variegate,
mentre nell’aria fluida
si sente nuovo suono.
Cinguettano le rondini,
silenti più non sono
nel lor volare trepido
tra rigo e rigo docili.
Le muove un tasto tremulo
ad ogni tocco estremo
del pianoforte immobile
oppur la tromba in resta,
suonata a trilli fervidi
od il tambur che rulla
sullo scandire morbido
il suono già sentito.
Né può restare tacito
in mezzo a quel brusio
il marranzano siculo
che spreme il suo ronzio.
Si leva a volte un cantico
di voci accompagnate
al suono della musica
ed è canzone allora,
che le montagne valica,
discende lungo i clivi
e svolazzando limpida
nell’anima si posa
e come fosse simbolo
di nuovo sentimento
la rende pure fulgida
di sensi giubilanti.
A volte solo musica
si sente sull’altare
che dolcemente svincola
un inno di bontà
ed è preghiera fervida
che sale in cielo sacra,
di pene non più ruvida
nel nome del Signore.
l’Umanità dimentica,
sull’onda delle note
nell’ascoltar le nenie,
le pene della vita
Per questo sempre turgide
nel ciel danzan le note,
superbe, dolci e gravide
degli strumenti in coro.
Il falso mito
Finiamola con guerre,
dai vati celebrate
per far paterne terre
più grandi e molto amate.
La Patria non vuol morti
sacrificati a Marte,
ma debellati torti,
comparsi d’ogni parte.
Sulla modesta croce
che vigila la tomba,
non giubili la voce
ma doloroso incomba
l’orrendo e triste mito
di morte senza scopo
ed il mostrar col dito
che vincere fu d’uopo
il perfido nemico
appaia solamente
motivo molto antico
per gabellar la gente.
Si levi un grido unanime
d’amore e di bontà
dalle schierate masse
e non l’opposto vanto
poiché per questo venne
Gesù sacrificato
e renderlo perenne
all’uomo fu traslato.
La vela ed il libro
Alza la vela e vola spensierato
il mio sentire e d’azzurro si tingono
dell’anima l’ambascia ed il desio
nel libro diventato con passione
barca di sogni, di chimere alate,
nonché di luce e di misteri arcani.
S’illumina la notte di chiarore
e svelano del mondo il divenire
le stelle che risplendono nel cielo
sfiorando l’infinito che bordeggia
e del saper s’illumina la mente
che scopre dell’eterno l’esistenza
ove di pace l’anima si plasma.
A Giusy Ciagola
A te che muta te ne stai seduta
tra nuvole fugaci e variegate
d’affetti e di pensieri e volgi spento
lo sguardo in cielo fuso
ad un passato che non torna più,
ascolta la mia voce
che rincorrendo va la fantasia
ed ignorando l’eco delle pene
la luce mostra di speranza accesa,
di fede e di bontà.
Tra i cirri neri all’orizzonte sparsi
il sole attende di spuntar splendente
e che del vento l’opera benefica
lontano scacci nuvole e procelle.
Le lacrime versate come tede
con cuore disperato
saranno allor l’effluvio variopinto
di polvere di stelle,
che spargeranno intorno il tuo sentire
e quando infin godrai la quiete,
felice sentirai il tuo respiro
che sul tuo viso aleggia e si riposa.
Sogno svanito
Sogno svanito
di passati eventi
emergere ti sento
dal profondo
dell’anima distesa
e più non menti
sulle speranze
che mostravi al mondo.
Immagini
volavano suadenti
alte nel cielo
terso e rubicondo
ed eravamo
placidi e contenti.
Adesso guardo intorno
e mi confondo
nel rivedere
mostri appariscenti,
che credevamo
relegati in fondo
al mare sotto l’onde
prorompenti
di fatti nuovi
desolanti e truci
e non nascondo
d’essere confuso
Albe e tramonti
D’albe stupende e roride
nel placido splendore
di colorate nuvole,
l’immagine cingevo
del tuo fiorente aspetto
e sullo stelo turgido
di fiore evanescente
spiccava la corolla
intorno resa morbida
dal tuo respiro alato
sui rigogliosi petali
mentre d’intorno il prato
di verde risplendente
di te faceva ninfa
della natura aulente.
Ero felice a pieno
nell’scoltare estatico
i trilli rubicondi
del tuo sereno dire
e mi sentivo Alfeo
nello sfiorarti il viso
travolto nell’amore.
Adesso che tramonti
all’orizzonte incombono
forieri della notte
al sol chiaror opaco
e sullo stelo fragile
di fiore già appassito
i petali cadenti
già pregano in ginocchio
sulla corolla torbida
del pianto che verrà.
Odo i lamenti perfidi
del tempo che sconvolge
e tutto ammanta e sporca
di nero prorompente
Solo fantasmi d’orrido
nel cielo non più terso
sconvolgono le fronde
immerse già nel buio.
La notte annientatrice
precipitando sale
e tutto intorno tace
A VENEZIA
Di traballanti zattere
con gente offesa e vinta
le sponde si coprìrono
di scogli al centro posti
delle laguna magica,
che fu novella patria,
laddove il mare tremulo
si fregia di maree
che delle case furono
difesa e cruccio amaro.
Così si vide nascere
Venezia strepitosa
dalla laguna al centro
modestamente pavida
cercando nuova vita.
Ma tempo al tempo fervido
la rese gran signora
di superboso popolo,
padrona incontrastata
d’armate navi gravide
di spezie e di ricchezze.
Con esse il mare grigio
e le sue terre attorno
furon per lei di stimolo
nel conquistare il mondo.
Le sue risorse veliche
la cinsero di seta
col navigare facile
e monumenti splendidi
con l’onde saltellanti
la gioia le donarono
di scorazzare libera
nella laguna in pace
con favolose gondole
ed inventar sospiri
sotto pontili piccoli
tra stretti rivi posti.
Ed ora che non garrulo
più vedi sul verone
l’appariscente ciondolo
del paludato Doge,
né governare torbidi
i Dieci in concistoro,
è bello che si sentano
le voci del consenso
all’arte nuova fervida
del raccontar conciso
filmate storie tragiche
che sanno ancora d’arte
e non gli eventi gravidi
d’orrende e brutte cose.
Sul mare brilli turgida
la luce e lo splendore
dell’arte bella e sobria
del rimembrare cantiche
di film vecchi e nuovi
e sia Venezia sempre
regina incontrastata
dell’arte senza fronzoli
costantemente r
Parole
Castelli di parole in alto spinte
contrastano le nubi evanescenti
e di novelli accenti variopinte,
che dalle stelle sembrano pendenti,
disegnano fantasmi ricorrenti
di sicumere miste a fosche tinte
che sembrano fatali monumenti
di cose nuove dalle stelle avvinte.
Se fede tu ritieni di mostrare
a chi ti parla strano e par sincero,
occorre nel silenzio meditare
se parla giustamente e dice il vero
perché non basta solo l’ascoltare
che esiste l’oro bianco e quello nero.
Il mare
Ben poca cosa dice il grande Lorca
del mare quand’è calmo e si riposa.
Il mare è l’infinito che si placa.
Albe dorate son l’onde sedate,
che d’argento si tingono la sera
e luccicanti brillano di giorno.
Se Zefiro le spinge e le accarezza
scintillano di bianco spumeggiante,
e tingono l’azzurro saltellante
che rivoli non sono, ma stelline
di vetro iridescente a spruzzo espulse.
Le vedi e vaga il pensier tuo sognante
l’ali spiegando della fantasia
e senti di volare sopra i flutti
per poi tuffarti a cuor leggero in acqua
e gli occhi tuoi si tingono d’immenso
e tu diventi uccello che planando
vola felice e d’approdar non cura,
alla ricerca di tritoni e ninfe
nelle deserte praterie del mare
oppur di Venere goder la vista
che nuota verso Cipro ed è silente.
Se poi dal vento scatenato l’onde
vengon colpite con furore e forza,
alte montagne vedi semoventi
e l’azzurro di bianco si cosparge
incontrastato sire di violenza
e sembrano cavalli scalpitanti
e cielo e mare sono insieme fusi
e l’infinito all’infinito estolle
e sembrano sfidare la natura
tritoni armati di tridenti e pale
che conquistare vogliono le nubi
e tutto quanto abbraccia l’universo
ti turba l’anima scomposta e truce.
Il sol guardare quella scena orrenda
ti rende triste e pieno di dolore
e solo la speranza nasce in petto
che tutto torni calmo in santa pace
e l’annegar sia dolce col pensiero.
NOTE SULL’AUTORE
Giuseppe Nasca, detto Pippo, nasce a Catania il 2 Febbraio del 1937. Pensionato dal 1 Luglio 1996 delle Ferrovie dello Stato con mansioni di Capostazione, vive nella cittadina di Tremestieri Etneo (Canalicchio). Amante della letteratura, dedica il suo tempo scrivendo e pubblicando poesie, racconti, romanzi e saggi. Tutti i suoi scritti sono pubblicati anche su Amazon in cartaceo ed e-book.
Elenco delle sue pubblicazioni, oltre al presente volume, che è uno zibaldone poetico di pensieri e sentimenti attraverso la pandemia del Covid 19, vissuta tra la fine dell’anno 2019 ad oggi.Oltre ai seguenti scritti è autore di numerosi racconti e poesie pubblicate in varie antologie. Edite da Akkuaria ed altri editori.
INDICE
Ringraziamento e riconoscenza
Antica storia
Cose di cosa nostra
L’uragano
La forza dell’uccello
In morte di Giovanni Cavallaro
Noi e la Montagna
Le ritrovate foglie
Matematica in versi
La sabbia in fuga
Primavera 2019
L’Etna ed il Falco
Scivola
Pasticcio di colori
Io fiammeggiante sole e tu candida luna
La scienza e le stelle
Ad Anna Manna
La gara
Pellegrino in cielo
Guardando un quadro di van Gogh
Purtroppo ...
Omaggio a Camilleri
Spunti d’orgoglio
Autoritratto
Ascolta il mio gridare
Malinconica nostalgia
L’ombra del future
Presunzione
Versi colorati
Pensando a Te ...
Al vento scrivo
A Mario Narducci leggendo una sua poesia
Fantasie d’inverno
La nevicata dopo ...
L’ultima impresa
La soppressa luce
Io e Golia
Così è ...!
Le tre luci
Compere di Pasqua
Addio superba quercia
Il letto con la vela
Auguri mamma
Gorgheggia il mare
Il tempo si fermò
Che dire ...?
Allaregia di Re Artù
Se tu vuoi ...
Rondinelle in fuga
A Pablito Rossi
Al mostro nero di Acireale
Riflessione
L’espressione musicale
Al vento sparse
Cose di casa nostra
La danza delle note
Il falso mito
La vela ed il libro
A Giusy Ciagola
Sogno svanito
Albe e tramonti
Parole
A Venezia
Il mare
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