La copertina del libro
"QUANDO L'ALBA DEL TRAMONTO INCOMBE"
Il libro è esaurito ed è difficilmente reperibile
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Non dirmi.....
Non dirmi alcuna cosa
ch'é bello non sia detta
nel sogno d'una fiaba.
Io contemplar non voglio
voce che sorge vana
in questa arcana scena
dove il silenzio grida
e l'anima si accende.
Quanto non dici sento
e questa voce annulla
il brulichio del mondo,
sciogliendosi nel sogno
d'un semplice sorriso.
Ciò che non dici ascolto
e l'ascoltar mi dona
il senso d'una vita
e d'un destino nuovo
che solamente agogno.
Mi basta l'indugiare
negli occhi tuoi sereni,
frugare l'ombra dolce
del viso che si accende,
sentir la sola cosa
che tace la tua bocca,
l'anelito vibrante
del cuor che grida forte
l'amore che non dici.
L'acuto mormorare
d'un sogno incofessato
avrà la forza infine
d'avermi conquistato.
Ambigui sogni
Ambigui sogni della mente avulsa,
che l'ombra intaglia nella notte informe
e l'onda copre di spumoso oblio,
forse sopito in petto più non tace
l'ardore pago di passati esordi.
Ora tornate scandalosi e forti
a ricolmar di grida invereconde
la mente stanca e riscoprite soglie
d'immacolate cime mai raggiunte.
Nel turbinar dell'anima non doma,
perenne il fango, tutt'intorno sparso
d'immote forze che spezzò l'azione,
riemerge e sprona a conquistare mete:
non più spezzati simulacri all'erta,
non più chiarori contro luce esposti,
né sogni vani di diversa vita,
ma dolce gioia degli affetti avuti,
certezza calma di raggiunti scopi
ed il tacer delle passioni ingorde.
L'ultimo colpo
L'ultimo colpo
d'accetta
é stato vibrato:
il tronco é caduto
sul grigio selciato.
L'ultimo sogno
é svanito:
del magico incanto
sull'orrida scena
non resta che pianto.
Con te sull'orlo del mare
Con te, vestita di niente,
nel niente del mare sereno,
nel niente del cielo infinito,
tra i sassi salmastri,
nella terra riarsa dal sole,
nel niente dell'anima avulsa,
suadente, felice di baci infuocati,
sprofondo nel nulla,
nel nulla confuso
di gioie serene,
di pace soave,
d'amore fremente,
di grida sensuali.
Sull'ali del vento,
che freme e singhiozza
nel mare d'azzurro
e spigola sul corpo tuo nudo
io col pensier dipingo
fantasmi d'amore,
incendi irreali
di ludica fiamma,
fatti di niente e nel niente annegati.
Sull'orlo del mare,
nel mare mi annullo,
con te mi confondo
nel cielo dorato
in un sogno sperduto,
tra baci, carezze,
parole insensate,
che sempre saranno
e non sanno di niente.
Ombra non so più bella
Ombra non so più bella
di quella del tuo corpo che si staglia
nella vaga penombra della sera.
Che il seno oscilli nudo
ed un sorriso infiori
le turgide tue labbra ed i capelli
indorino le spalle di fantasmi
o castigata veste
fasci le membra ardenti
e freddo il guardo specchi la sopita
fiamma del cuor che grida,
nell'argenteo chiaror delle parete
splende l'amato spettro
grondante di memoria
e s'accende la mente ch'era spenta.
Ma d'improvviso la tua assenza incombe
nell'immoto silenzio della stanza
ed il pensiero crolla
nell'abissale mondo del non più
mentre fantasmi nuovi
s'affollano sul palco del non sogno
e tingono di fosco le pareti,
l'ombrata cancellando
immagine d'amore
del tuo formoso corpo che scompare.
Incontro
Un accennato sguardo,
velato di sorriso,
uno sfiorar di mani,
la lingua che balbetta
farfugli di parole,
silenzio trepidante
e l'affiorar del tempo
sul corpo ancora bello.
Non più d'azzurro terso
son gli occhi tuoi dipinti,
né d'oro i tuoi capelli
rifulgono nel sole;
il tempo ti solcò
nel viso d'alabastro
qualcosa che non so.
Ma l'ombra ormai scompare
che risplendé per via
accesa d'ogni parte
nel suo chiaror d'allora.
La mente più non tace
la storia che passò,
ma subito s'annulla
nel buio della sera
il tuffo nel passato
che più non tornerà.
Vita nuova
Da ciò che ti circonda
se tu sfuggir vorrai
lasciandoti alle spalle
le nubi del passato,
destini non previsti
s'incroceranno certo
nel nuovo cielo terso.
Come gabbiani al vento
sparir vedrai nel niente
i mostri spaventosi
d'un mondo ch'é finito.
Disegni sorgeranno
di cose mai sognate,
fantastiche sorprese
d'un mondo mai veduto.
Intorno alla memoria
non più lacci di strazio
che spezzerai con forza,
mostrando a gente nuova
le mani già protese,
non più spossate forze
abbandonate al tempo
che sfavillò d'oblio,
non più rugosi accenti
nell'animo piagato,
ma d'incipienti storie
un turbinio novello
che ridaranno al sole
l'usato suo splendore.
Un nuovo amore allora
risorgerà dal niente
e torneranno in cielo
fantastici e festosi
i voli dei gabbiani.
Ricordo
Dalla miseria della lontananza
all'altezza t'innalzai delle stelle
cingendo la memoria dei ricordi
che tu rendevi favolosi e dolci
negli attimi fugaci d''un incontro.
La luce mi bastava del tuo sguardo
od il furtivo accarezzarti il seno
nell'intimo contatto d'un abbraccio,
un semplice sorriso, una parola,
un accennato bacio, un soffio, un nulla
tra le mille parole vagabonde
che ti dicevo, forse solamente
nel tremulo sciamare della mente.
Laddove ti baciai la prima volta
tornavo tutti i giorni pellegrino
e nemmeno sognavo né pensavo,
perché nell'eco del ritmo sospeso
d'un tempo senza fine ti vedevo
ed ero pago del vibrante ardore
che m'infondeva il solo tuo ricordo.
Lungo quel viale,(chissà se lo ricordi?)
quello dei sempre-verdi della villa,
mentre sentivo un cinguettar d'uccelli
ed annotavo sopra un foglio versi
che mai ti lessi d'amorosi detti,
l'immensa altezza misuravo immoto
di te lontana nell'olimpo assisa
dall'aberrata mente ov'io ti posi.
Forse sofferto il mio pensier volava
tra nubi spesse d'imperfetto amore
ed io godevo della lontananza
nel riflesso d'altezze e di silenzi,
dove restavo solo e pur felice.
Cessò l'incanto un giorno senza fine,
ma non cessò l'amore e la passione.
Gridava la mia mente ed il mio corpo,
bruciavo di dolore e di rimpianto.
Non ti nascondo, piansi amaramente
più d'una volta là, lungo quel viale.
Osai cercarti invano nei miei sogni,
ma l'eco rispondeva del tuo pianto
che m'implorava di lasciarti stare
e l'echeggiare non cessò nemmeno,
quando tu, forse, ritornasti indietro.
Tutto quanto ho sognato e non sognato,
tutto quanto ho sofferto e non sofferto,
tutto quanto ho sperato con terrore
ad intervalli di dimenticare,
tutto quanto non detto e custodito
nel profondo del cuore ormai sopito,
nessun'eco avrà d'altre canzoni.
Il contemplar fugace....
Il contemplar fugace
la morbidezza anonima, che sorge
nell'echeggiante mondo ormai confuso
della memoria obesa di ricordi,
ridesta antichi sogni
che si direbbe morti o mai vissuti.
La musica risorge dall'oblio
e trilli nell'azzurro
risuonano festosi, un poco stinti
dall'ombra crespa che segnò la vita.
Allora l'indugiar pacatamente
sull'onda dei ricordi,
rigagnoli ricrea
di silenzioso ardore e gli occhi miei
s'accendono di luce
perché la mente tesse nuove tele
con l'ago del passato
e la speranza affiora prepotente
d'ormai passate voglie
nel placido tacere delle labbra.
Di redimite immagini risplende
il vivido frugare nella mente
e Tu risorgi inquieta
sull'intricata storia d'una volta,
che fiamma spense di calore immenso.
Forse del vano contemplar non resta
che l'improvviso riecheggiar di Te
nell'accorata folla dei ricordi,
ma tanto basta per ridare forza
alla mia mente stanca,
che d'esitar non tace
sull'orlo del delirio
e fabbrica castelli incontrastati
sull'alto piedistallo delle nubi
scrivendo versi inutili, ma cari.
L'ultimo canto del rigogolo
Lungo le sponde di vermeti intrise
del fiume acceso di scroscianti suoni
volò d'un tratto nel festoso cielo
il canto del rigogolo sognante.
La melodia del canto sovrastava
il gracidar penoso della rana,
di verzicanti foglie ricoperta
nell'ibrido grommar della corrente.
Lungo la riva, il nido pose quando
d'april festoso rinverdir le fronde.
Ora volteggia e canta sulle sponde,
che già la prole schiuse alla natura,
e l'inno scioglie fervido d'amore
tra le niellate gemme delle piante.
Ma repentino il ribombar d'un colpo
spenge quel canto e tutto intorno tace.
La fine del sogno
Come l'uccello dal sereno canto,
ora balzando tra cespugli verdi
nel rifiorir della natura aulente,
lasciò la mente il risaputo mondo
e sulla rotta di novelli lidi
volò felice nell'azzurro cielo.
A grandi cose espose la memoria
di già passati eventi e più non tacque
l'obliterato mondo del dolore,
sciogliendo al sole un inno di speranza.
Trilli d'argento e d'oro, note soavi,
scene indistinte di future gioie
rifulsero nel cielo con ardore,
il famelico grido cancellando
di belve sempre pronte ad azzannare
nell'intrigata selva della vita.
Non più nel fango il gracidar penoso
delle rane, né più tra spine il turpe
frusciare di serpenti velenosi,
né di gerridi il pullulare osceno,
non più mani ferite nell'ascesa
di vette sempre più scoscese e dure,
non più del pianto il disgustoso senso.
Ma nello stato di raggiunta pace
un improvviso lampeggiar nel cielo
la luce spense e tacitò per sempre
quel melodioso canto della mente.
Prigioniera del cielo
A Te, Rebecca, ciao
o forse meglio addio!
Sul petto lessi il nome,
negli occhi azzurri il cielo
e sulle labbra accenti
sconosciuti e nuovi.
Con Te, che m' ignoravi
e che m'ignori certo,
a cavalcar le nubi,
disperse nell'immenso,
la mente mi portò
ed il rombar del moto
trasfuse in un crogiuolo
il balbettar del cuore
con quello della voce.
D'un angelo al cospetto
mi parve di restare
forse assemblando insieme
l'azzurro di quegli occhi
con le stupende vie
che giornalmente solchi
e comparando inconscio
le semoventi nubi
a quel silenzio immane
del mondo ch'é lontano.
Ma sulla fronte i solchi
di pene non sopite
o di novelli crucci
ancora da venire
sul limitar del tempo
che orribilmente incombe,
dischiusero la mente
ad un ripensamento
ed allor non più d'angelo
il sembiante mi rifulse
agli occhi, ma d'uccello
che cinguettando allegro
ad altro volge il cuore,
lontano sulla terra
laddove forse un nido
il sospirato attende
ritorno di colei
che tra le nubi vola.
Da un alba all'altra corri,
novella aurora, al carro
in cima del solerte
e rilucente sole,
ma teco porti ascoso
il tuo destino, scevro
delle ricchezze immense
del mitico padrone,
ed il tuo trionfo sale
perché circonda il viso
la nostalgia del mondo
ed il velato azzurro
degli occhi sorridenti
rivelano l'amore
che nutri nel tuo seno.
Se un dì ritornerò
con Te nel cielo in volo
parlar di Te vorrò,
scoprire nella voce
il mondo che Tu vivi
nel tuo paese in terra
e d'Icaro bandire
la millantata impresa
per ascoltare infine
non mondi fantasiosi
nell'infinito immersi,
ma semplici parole
seppur capite a stento
d'un cuore palpitante,
che vita vive in cielo
assurda prigioniera
in cella senza sbarre.
Sulle rovine del castello Eurialo di Siracusa
Il tempo ingiuria aggiunse
al martellar frenetico del ferro
ed or laddove di memorie intonso
s'ergeva il mesopergo
il rovo alberga verzicando rude
le modellate pietre.
Né più la mole riguardante il piano
il sommo acceca limitar del colle
nel brulicar di nubi passeggere,
né sulla corte coronata attorno
d'asserragliate porte
il sole accende il basolato glabro.
Non più d'armati o ruvide donzelle
ad opre intente di rimosse pietre,
non più di fabbri assorti
nel laborioso speco, il trafficare
intenso spezza arcano
il rigido scomparto del maniero.
Laddove mura si levaro in alto
la selva regna distruttrice e viva
che tutto immerse nell'oblio profondo
orme stampando nuove
di sopraggiunte belve
mentre nel cielo il volo
cupo si leva di gracchianti corvi.
Lubrico il cielo incombe
sulle gramaglie traforate solo
da luce frastagliata nella rocca
che un dì superba eccelse.
Cinta di serti e fiori
cupa s'aggira tra le morte pietre
la cancellata speme
di rifiorenti fasti, ma ricordo
all'occhio balza di passata gloria.
Su queste mura pianse il fiero duce
che schiava a Roma rese la città,
mentre Archimede ai Lari s'immolava
e su quell'ara l'orrida cadeva
caligine del tempo.
Solo il fantasma di ricordi frali
e lo strisciar di serpi tra le pietre
ormai non regna dove
d'eterno e forte il suol si cinse un tempo
e l'amarezza resta dell'inconscio
che nel presente trova ogni cagione.
La ballata del morente
Ora planando con ali tremule
scorre la vita sull'onda torbida
e gli anni scialbi dal grido aspersi
del mal che mina l'affranto cuore
rode con forza la trista ruggine
che pur spezzando ferrate gretole
sentieri scopre di lividure
rese dal tempo sempre più cupe.
All'orizzonte ciarpame inutile
che si confonde nel ciel cinereo
con il morire d'un altro giorno
e gli sciacalli ruzzanti intorno
nell'avvilente languor dell'anima
che l'aria morde piagata d'orrido
senza lo spettro d'un raggio pieno
che del deserto rischiari il seno.
Nudo fantasma di nera rondine
mostra la morte dal volto squallido
con l'ala immersa nel lento gorgo
senza speranza di risalita.
Questa del mondo scioccante immagine
scorre silente lungo quell'argine
che vita pone sull'orlo estremo
dell'uom che crolla sotto la sferza
allucinante d'avverso turbine.
Allor che speme, sempre più scettica,
spegne la vita mentre l'annega
nel grigio fumo dell'incertezza,
all'orizzonte nessuna fiaccola,
nessuna stella che guidi fervida
l'anima oppressa del sofferente,
ma solo ghiaccio, ghiaccio di morte.
Il passator solingo
Nuove farfalle svetteranno in cielo,
i ragni tesseranno nuove tele,
sul muro adorno di cedracca ancora
lucertole impazzite guizzeranno
e scriccioli festosi danzeranno
sui grappoli d'aglianico maturi,
senza più l'ombra di passate ubbie
sepolte e cancellate dalla luce
comparsa nuovamente all'orizzonte.
E l'onde lambiranno spumeggiando
gli scogli neri ed altri scogli neri
sorgeranno dal centro della terra
a contrastare il mare senza pace,
mentre del vento l'ulular festoso
in ciel salendo canta come sempre
l'inno del mondo che d'eterno vive.
Risplenderà nel divenire certo
della natura ricorrente e viva
l'immagine fiorente della vita
e della morte che l'eterna spola
intesserà di mesi giorni ed ore.
Ma sulla scena nuova e sempre antica
del mondo che sfavilla senza posa,
non più lo sguardo poseranno intenti
le mie pupille nella terra immerse,
ché morte senza scampo avrà ghermito
le spoglie del mio corpo solamente.
Io son del mondo il passator solingo,
chiamato solamente ad ammirare
il divenir della natura aprica.
A me concesse il fato o forse Dio
il semplice godere poco tempo
dell'eterno convivio della vita
e poi morire ed anonimo restare
sotto le vive zolle della terra
sperando solo che quell'altra vita,
di cui si dice, esista veramente.
Per questo ho sempre fame d'infinito,
di vivere d'intenso e mai restare
inerte innanzi alla natura in festa,
finché d'usare mi sarà concesso
dal cuore traballante e stanco
questo mio corpo e questi sensi vivi.
La ballata dell'infarto
All'infinito cosmico del cielo,
nella speranza che qualcun li legga,
io questi versi sciolgo
per suscitare almeno dei ricordi
quando travolto dal silenzio ormai,
che per infarto par che giungerà,
annegherò per sempre nell'oblio.
Sul letto immoto pianto
non vide il ciglio rassegnato a tanto
mentre del cuore lo scomposto passo
l'ore segnava incerte del momento
al suon del rantolare
sul lettino accanto.
Le scene vagabonde
della trascorsa vita
passavano davanti agli occhi miei
e nel silenzio almanaccando andavo
i giorni lieti e le passate trame
o le mancate gioie ed i trastulli
che tralasciar solevo
o l'ombre evanescenti
di chi perduti avevo
lungo la strada del mio breve andare.
La nostalgia mi vinse
a tratti nel pensare ed accecommi
ogni speranza quando
sull'orlo d'un burrone mi sembrò
guardar me stesso inerte
nel fondo della cala.
Da quel torpor mi scosse d'improvviso
l'alto trambusto che dal letto accanto
levavasi nel cielo della stanza.
Dopo il silenzio che regnò più tardi,
forier del canto muto della morte,
la volontà mi nacque della vita.
Dal ciglio del burrone mi distolsi,
chiesi dell'acqua, il polso mi tastai
e del sudor la fronte m'asciugai.
Come d'incanto s'abbassò la febbre
ed il dolor infin cessò nel petto.
Un raggio vidi di serena luce
attraversar la stanza e fu la vita!
Ma quale vita o Dio!
Che per restare vivo,
d'allor da morto vivo
tra nuvole di coccio,
almanaccando stracci di pensiero
tra scheletri di sogni
e musiche di pietre
sull'orlo del deserto
che mi si para innanzi
mentre la mummia di me stesso vaga
sullo stagnante specchio del futuro,
che sol pensier pensati riflettendo
nulla mi mostra di futuro e bello.
Anche se vita mi concesse Dio,
segnò quel giorno il punto
del non ritorno al vivere di prima,
quando timor non v'era
che si rompesse il cuore
alla calura estiva del meriggio
od allo sforzo d'una breve corsa.
Il limite segnò quel giorno ancora
di cose non ammesse eppur comuni
e passan l'ore inerti ma sfuggenti
come l'acqua che scorre nel torrente
con la speranza vana d'arrestarla
e dove fan da diga
le pillole a pezzetti tranguggiate
mentre il timore non sopito incombe
d'un improvviso crollo.
Ed é così che vivo
leggendo cardiogrammi,
analisi del sangue
e solite ricette,
nel controllo costante degli impulsi
del cuor che traballante l'ore segna
d'un tempo assurdo, dove libertà
di limiti s'appanna
e l'attivismo langue.
Or sulle pietre aguzze
dell'ispida montagna
non più chiodate scarpe al pié serrate
calcan licheni, né la vista gode
del rifiorir festoso di ginestre
e tra le foglie funghi a gruppo ascosi,
poiché non lece lo scalar montagne
a chi del cuor a stento il passo arranca.
Né tanto lece sulla barca stare
a manovrar coi remi sugli scalmi
e ritirar le reti già calate,
né rovistar la terra con la zappa
e sciorinare al sole le radici
d'erbacce e di gramigna.
A Lui soltanto lece passeggiare
nel breve spazio d'un vialetto o piazza
e scrivere seduto a tavolino
inutili pensieri e versi amari
su quel che lece o meno per campare
e nell'affido in fin di ... "Dimaiuta",
che almen lo sguardo molce
e la speranza infonde della vita.
Dietro fantasmi nuovi
Nel pianto d'una sera
o forse nel sorriso d'un mattino
moristi a nuova vita,
nell'onda avvolta di sperduti sogni
dietro fantasmi nuovi
ed or nel limbo del presente informe
girovaga tu resti
in un destino amorfo
confusa tra la folla che t'ignora.
Fu quel disio di nuovo,
dai luccicanti estremi,
che ridere ti fece del passato
tuffandoti nel grembo dell'ignoto.
Nulla rimane di quel punto estremo
che luccicando si ripete ancora
qual delirante sogno
che diventò bisogno
nel giro vorticoso del pensiero.
Solo fantasmi riserbò quel gesto
e desolate strade da seguire
nel breve lampeggiar di fioca luce,
mentre nell'aria crebbe solamente
il brivido di morte.
Rimpianto vano
Nell'abbandono ascoso del passato
che ritmando il tempo ormai lo scema,
inquieto sorge spazio di silenzio,
che le ragioni vive del presente
ammutolisce e sparge di rimpianti.
Davanti avevo il chiaro della luce
ma nella luce non divenni luce
e sotto il tiglio profumato strinsi
con forza le narici e gli occhi chiusi
per non sentire e non vedere nulla
del gorgogliante sogno della vita
che mi voleva bosco in mezzo al bosco,
fuoco nel fuoco di passioni certe,
erba nell'erba nell'immenso prato,
soldato tra soldati di ventura,
persona tra persone senza volto
nel vortice del tempo..... E fu silenzio!
Silenzio immane di sperduta nube
dietro fantasmi d'inumane vette
nel ciel splendente di colore e vita!
Silenzio di blindate aspirazioni
sotto la sferza del voler tenace
che d'aquila solinga il cuor mi rese
tra stormi allegri d'infiniti uccelli!
Raggiunsi infine l'agognata cima
o quella che credetti m'appagasse
e sulla roccia assiso fui felice
d'aver mutato vil metallo in oro,
ma sol stormire di perduti eventi
mi fu compagno nel silenzio antico,
ché neve ed anni mi tarparo l'ali
e l'orme m'appariro solamente
da me stampate nel voglioso andare.
Ora nemmeno rimembranza resta
di cose belle non carpite a tempo
e solamente nostalgia perenne
cosparge di colore la corolla
di fiori vaneggiati che non colsi,
mentre un'eternità d'istanti scorre
nel fiume d'ombre di perduti affetti,
che a valle del pensiero si disperde.
.....A proposito dei miei occhi azzurri
Ora con gli occhi miei
t'abbevero d'azzurro
e forse in cuor tu senti
novella sensazione
di cose deliziose,
che l'anima t'accende
ed il pensier ricicla
nel sogno d'una favola.
L'ombra del cigno forse,
che fu di Leda amante,
in essi trovi impressa,
quale mostrossi il Nume
nel lago che d'alcova
all'amoroso amplesso
servì d'etereo sfondo,
o scivolar vi scorgi
tra rivoli di fuoco
del tramontar che preme
l'immagine sbiadita
d'un già trascorso amore
e nuoti e sogni o plani
con l'ali dell'ignoto
in questo nuovo mare
foriero di bontà.
Ma misto a quest'azzurro,
se guardi più da presso,
tu scorgerai di certo
nel più profondo sito
dell'iride cangiante
la sagoma abbozzata
del vaso di Pandora.
Allor sfuggir vorrai
la vista che t'alletta
per tema di scoprirlo
e non guardar così
ferite ancora aperte
o l'orrido aleggiare
di mitici fantasmi
nell'aria che imbrunisce.
Così dagli occhi miei
non più fiotti d'azzurro
sgorgare tu vedrai,
ma solamente il freddo
di storie già sepolte
nel limbo indefinito,
dove il silenzio regna
del tempo che trascorse
e nulla più commuove.
Un sorriso
Nel mio tramonto
l'alba m'apparve
del tuo sorriso
e fui felice
solo quel tanto
che la speranza
me lo permise.
Gocce di ricordi
Gocce di mare asperse
come remote stelle
sul nudo seno colsi
e con le labbra tumide
nel ciel le pinsi ognuna
dell'intima memoria
mentre violento il sole
il corpo ti scolpiva
e sussurrava l'onda
il canto dell'oblio.
Lo scivolar del tempo
il luccicar non spense
di quelle gocce al sole
ed il sapor di sale
di quei furtivi baci
ancor sul labbro giace.
Anche se ruga nuova
ormai s'aggiunge in viso
a quelle che negli anni
ti resero più donna,
io ti rivedo ancora
grondante di passione
e di color dipingo
i tuoi capelli grigi
mentre di stelle adorno
il limitar del cielo
e d'oro ricoprendo
vado le nubi dense
all'orizzonte apparse.
Il ciclo
Al brutto il bello segue
ed al dolor la vita,
ma nell'opposto verso
ben presto apparirà
il solito cangiare
nell'alternanza certa
del divenire umano.
Gocce di vita in cima
agli alberi festosi
succederanno sempre
a lacrime funeste
e, viceversa, pianti
il passo lasceranno
a trilli di piacere.
Giù nella valle allora
o sopra il monte in cima
convien restare calmo
al tribolar del mondo
ed accettar supino
l'imperversar funesto
dell'orrido destino
per aspettar che torni
un tempo più sereno
da vivere d'un fiato
e riveder la luce
al limitar del cielo.
Solitudine
Lanugini di nebbia
e lacrime di ghiaccio
sopra deserti amorfi
d'affetto e di pensiero
nel torvo zufolar
del vento che le scrolla
e scampoli di vita
nel fumo rinserrati
di non sopite voglie
cancellano l'azzurro
del cielo ch'era terso,
mentre felpati passi
di spiriti smarriti
nel vago immaginario
si sentono danzare
lungo la riva colma
di pietrame informe
del fiume che straripa
e, desolando, ammanta
di morte la natura.
La quiete dopo la tempesta
Non più deserti e pietre,
né cancellati azzurri,
né di lontani mostri
il cadenzato passo
nel gorgo dei pensieri,
ma di color festoso
il rifiorir sublime
nei quadri d'acqua stagna
che disegnò la pioggia.
Nel cielo senza luce
comparve d'improvviso
dell'arco colorato
la sagoma felice
e risplendente il sole
fugò tempeste e nembi.
Nel fosso non più nero
il gracidar festoso
di rane saltellanti,
nell'aria la speranza,
nel cuore la bontà,
in mente la ragione
per essere felice.
Sotto il gelso nero
Il sol ricama il cielo
di trapuntata luce
di qua dal gelso nero
e tinge di colore
le nuvole cangianti
ch' abbaglia l'orizzonte,
laddove le montagne frastagliando
punteggiano di cime
il quadro variopinto che ci appare
e gli alberi impazziscono di verde
tra i rami adunchi di colore bruno,
stampando in terra mostri o forse fate
d'indefinito aspetto
che mai la mente immaginar osò.
L'oro s'innesca caldo
al freddo del turchino
e schiumano di rosa i cirri bianchi
che luce li bordeggia ridondando.
Negli occhi tuoi il cielo,
nei tuoi capelli l'oro,
sulla tua bocca appena
il rifiorir di favole smarrite,
sulle tue gote il rosa
di sogni ormai passati
su tutto il viso incanto
di giorni ormai trascorsi,
mentre cosparge di liquore rosso
l'ignudo corpo il gelso rubicondo.
Un tempo, mai cogliemmo i gelsi neri
ignudi entrambi sotto il sol cocente,
eppur felici tosto il sol ci vide
poiché speranza e vita
la fede c'infondeva
e forza c'incuteva giovinezza
all'ombra appena d'un muretto antico
bevendo a garganella l'acqua pura
che d'una fonte anonima sgorgava.
Anche se l'onda paventò l'oblio
talvolta scoraggiata nell'andare
con moto trepidante sopra i flutti
del divenir fugace di quel tempo
ed or lo spettro aleggia più vicino
del nulla che cancella i sogni azzurri,
c'inebria come allora questa luce
che ci cosparge il viso di colore
e ridondanza dona ai gelsi neri,
perle tra perle rilucenti al sole
nell'intimo del verde delle foglie.
Possa per sempre ristagnare il tempo
ed immolar la mente a un Dio pagano
l'ore future per fermarle tosto
ed arrestare il divenire incerto
o forse certo del domani ambiguo
e qui sostare sotto il gelso nero
a disegnar col dito
intriso di liquore
sulle ridenti labbra
l'amore che ti porto
ed adornarti il seno di collane
che san di gelsi e perle nell'amplesso
d'un mondo che ci sfugge
e scriveremo allora
un nuovo carme che non ha parole
e nel silenzio adorneremo i cuori
di quella pace che d'eterno sa
anche se dopo periranno a frotte
le foglie intorno e rinsecchiti i rami
al mondo mostreranno il lor patire.
Il tonfo
Laghi d'azzurro scorgo
tra muvole di bianco
d'indefinito spazio
nell'asola ristretto
di piccola finestra,
ma d'improvviso il nero
il tutto imbratta e copre.
Nulla più vedo e sento
e quando mi riprendo
ho solamente sete....,
ma l'acqua mi circonda
nel fondo dell'abisso
che tutto cancellando
di freddo mi sommerge.
L'incubo passato
Infin cessò la pioggia!
L'accqua ristagna nelle pozze oblunche
che l'aratro dipinse parallele
ed il villan temendo
il fiume scorge tracimante appena
laddove già sudor le zolle asperse.
Sui rivi il verde tremolante al grigio
dell'acqua si confonde
in dirompente moto
e dove l'onda più veloce scorre
tronchi divelti galleggianti vanno,
mentre compare all'orizzonte l'arco
che monte e piano abbraccia
nell'iridato segno
di già raggiunta stasi.
Solerte il sole appare
e poi domani nell'azzurro immerso
a troneggiar ritorna
ed il villan felice
lo sguardo posa che pur dianzi mesto
sul molle campo volse.
Anch'io lo sguardo posi
sul campo devastato con timore
ed ora muto scruto l'orizzonte
sgonbro di nubi e mostri,
vivi soltanto di trascorse ambasce,
e dolcemente plano
sull'onda del domani
che vividi disegna nell'azzurro
ghiroghiri di gioia e di speranze.
Ma fino a quando durerà nel tempo
questa serena pace
e quest'azzurro che la mente acceca?
A me, come al villan che guarda e tace,
festosa resta solo la speranza
del sol che splenda ancora il dì seguente
e ciò mi basta per andare avanti
e nulla chiedo di sapere appresso
di turbolenze nuove,
se pur seguite da giornate calme
nell'alternanza che in eterno dura
finché la vita dura.
Mi basta rimirar l'arcobaleno
e colorar con esso i sogni miei,
quelli più belli mai sognati prima,
quelli presenti, quelli più vicini,
volare nell'azzurro indefinito,
godere del sereno
ed ignorar le pene e le speranze
dei giorni più lontani
che forse di veder non m'é concesso.
Solo domani
Oggi é silenzio!
Tutt'intorno tace
e la tristezza
nel mio cuore alberga.
Solo domani
tornerà a cantare
l'uccello d'oro
dalla voce arcana.
Solo domani
i variopinti sogni
sull'ali eteree
dei diversi suoni
il ciel azzurro
tingeran di bello!
Solo domani
Tornerà la vita.
L'inutile schermaglia
Io son l'uccello dalle piume nere
che grida al mondo il suo dolore antico,
io sono l'ombra che profonda monta
e copre la vallata di squallore,
io son l'immensa cattedral che crolla
al fremito del mondo che rovina,
io son la mota che sommerge tutto,
io sono l'orologio della torre
che l'ore più non segna rintoccanti,
io son la trave che spezzata giace
sotto il pietrame del crollato tetto,
io son la fine della lunga strada,
io sono il sonno senza più risveglio,
io son la morte che gracchiando vola.
L'inutile schermaglia è già finita!
… .mettendo insieme: vulcano,
malinconia,caminetto e margherite....
La sabbia a gocce fusa,
che brontolando espulse la montagna,
si spande nevicando
sui tetti e nelle strade.
Il vento grida mesto tra le case
e pioggia mesce il cielo,
che, memore, ridesta antico duolo
sopito nel silenzio della sera
sui vetri recitando litanie
di cose già passate ma presenti
e mentre tu soltanto col pensiero,
le margherite cogli,
fantasticando apriche primavere
davanti al caminetto che scoppietta,
io sulla tela stendo cieli azzurri
e stelle appunto luccicanti e terse
laddove lo consente il mio desio
La vita negata
A quale stella appenderò la vita
che non conobbi mai,
a quale nube asciugherò le guance
di pianto mai versato,
se nulla scorgo in cielo
che di ricordo sia
di dolorosi eventi
e la mia mente annega
nel vasto gorgo dell'infame buio?
Io son colui che visse senza vita,
che senza aver natali
la morte l'adottò
e che del dì la luce mai non vide.
A me non resta che sognare invano
rimpianti mai provati
e che, nel nulla aspersi,
al vento van danzando
tra vividi frammenti
di mai raggiunte stelle
Soltanto sabbia
Mille pensieri,
mille speranze,
mille ricordi,
mille parole....
soltanto sabbia infine
nell'acqua gorgogliante
del fiume in piena
che si disperde a mare,
mentre la sera
nell'imminente buio
le mani stende
sulla sterpaglia intrisa
di niente e d'acquazzina.
Riflessioni sul tramonto
Quando l'ombra del tramonto incombe
con sulle labbra luci di sorriso,
é forse dolce lo scandire sogni
che ricorrenti brulicando vanno
tra l'ansia dell'ignoto e la certezza
d'un mondo già passato e risaputo.
Allor rimbalza il tempo alla ricerca
d'un volto amico, d'un'anima soave,
d'un inespresso amore nel biancor
raggiante e puro di futuri eventi
e murmure ridesta aspirazioni
che furono sepolte dall'oblio.
Non mente il tempo, forse, se nasconde
nell'impietoso grembo del silenzio
i dolorosi anfratti della vita,
quando nell'infinito s'inabissa
e nuove storie trastullando inventa
al semplice stormire d'una fronda
o lampeggiar di luci appariscenti
nel muto gorgogliare di penombre.
Allor t'appare in ogni stella nuova
un volto caro e sopra d'ogni nube
un rifiorire di novelli affetti
che mai pensasti di poter avere.
Ma son chimere i sogni del tramonto,
che vano passa e non ritorna più
nell'alternarsi ambiguo della notte,
tra luci ed ombre di silenti beghe
che l'anima secerne ed ora grida,
furente di restare prigioniera
d'un tempo inesorabile che scorre
e tutto accieca cancellando a forza
affetti antichi che tornar non ponno,
mentre dall'imo insorge con crudezza
lo spettro della morte che s'appressa!
Così qualcuno freme e non s'acqueta,
tra sogni allucinanti e rabbia insana
perché la fine giunse della luce
e piange e si dispera e brama invano
di riprovar passioni ormai delete,
poiché non vede il divenire eterno
della vita che muore e poi rinasce.
Il semplice languir d'un giorno lece,
poiché di nuova luce albe frementi
succederanno a notti di penombra
sull'ampia scena che natura addobba,
ove soltanto vige l'alternarsi
d'attori sempre nuovi e sempre vari!
Per questo occorre non sciupare invano
la vivida dolcezza d'un tramonto,
poiché non vale il disperato pianto
per cose che non furo o non saranno!
Sognando....
Io con lo sguardo o forse solamente
col pensiero che vaga all'orizzonte
inseguo rette parallele e sghembe
nella speranza che secanti ellissi
disegnino trapezi di colore
ove annegando si risvegli infine
l'inerzia di momenti senza vita
e l'ansia insorga di futuri eventi
di veli ricoprendo ciò che fu,
bruciando antiche pene e sogni vani
nel gorgo nuovo di novelli accenti.
Ora mi chiedo se basteranno appena
mille parole o cento oppure dieci
oppure un solo declamato verso
a tingere d'arcano il mio sentire
nel gorgo di mendaci apparizioni,
ove ogni istante insegue l'inseguito
e l'anima si spegne solitaria
nella scomposta e desolante scena
d'un cielo senza luce e senza sole.
Una realtà
Nel cielo brilla quel chiaror lunare
che naufragar ci fece
nella credenza d'un amore eterno,
ma i nostri sguardi ormai
sono rivolti a stelle differenti
e rimbalzando van di luce in luce,
laddove nacque un mito
che più non tornerà,
poiché cancella il tempo,levigando,
fatti che furo ritenuti cari
ed or fantasmi sono inconsistenti
nel sillogismo sghembo del presente,
che strabico converge col passato.
Esortazione
Se tempestoso il giorno al cielo s'apre
e tutto sembra doloroso e mesto
non ti crucciar per l'imprevisto evento,
che lo restare inerte e neghittoso
ti rende solo triste e non ti giova.
Un raggio cerca tra le nubi spesse
che rischiarando la tua mente scopra
il giorno che vorresti.
Allora cocci di parole nuove
in un crogiuolo immersi
di speranzosi eventi
nel limbo saliranno del futuro
e sogni accenderanno risplendenti
di mai vissuti giorni
nel candido sbocciare d'un amore
(che forse non sar...!),
ma certo all'orizzonte appariranno
nuove fiammelle di speranze certe
nel tintinnante gorgoglio del mondo
e non sarà bastante
il tempo d'una vita solamente
per vivere felice e senza affanno
e l'amarezza affogherà nel fiume
che il mondo inonda di dolore insano.
Incontri
Là,
dove le parole
al vento sparse
e quelle appena dette
sottovoce,
s'incontreranno un giorno
e taceranno,
là,
nascerà
di certo
un nuovo mondo,
dove ogni sguardo,
ogni progetto vago,
ogni pensiero
bruceran d'amore
e luce e sole
scintillanti in cielo
fantasmi tracceran
d'affetti nuovi.
Allor d'eterno
il senno cingerai
ed annegar vorrai
nel mar d'azzurro,
che pianto ignora
e dolorosi eventi.
Un vagheggiato mito
Caparbiamente amanti,
eternamente amanti,
perdutamente amanti,
se pur d'ignoto aspersi
nel silenzioso mito
d'un inespresso amore
sull'ali volteggiando
d'un tempo che verrà,
sublimi inventeremo
nell'infinito gorgo
dei nostri sensi accesi
orgasmi mai provati
e splenderan d'eterno
i baci e le carezze
che forse mai saranno,
finché non giungerà
la stasi del silenzio.
Cecità
Noi percorriamo a volte
ansanti e solitari
la strada del deserto
al vento disperdendo
affetti noti e nuovi
che scemano per sempre
nella rincorsa vana
di vagheggiate mete
che se raggiunte fonte
saranno solamente
di pena e di rimpianto.
Alla mia terra
Io le vestigia antiche percorrendo
vado di questa mia superba terra
finché le spalle poggerò morendo
nell'aspro suolo, che nel sen rinserra
l'ossa del duce che destino orrendo
prigion lo volle contro i greci in guerra,
l'opaco velo a forza discoprendo
che la vetusta lava ammanta e serra.
Greci e fenici qui pugnaro invano
per soggiogar gl'indomiti Sicani.
Più tardi ancor l'imperator romano
ed altri ancora in nome del Corano
con la violenza imposero le mani,
ma Siculi si fero a mano a mano!
Certezza
T' ho sempre amata e t'amo!
Per certo già t'amai
ancor prima d'averti
e forse prima ancora che tu fossi
e che io stesso fossi
e t'amerò per sempre
oltr'ogni cosa al mondo,
oltre la vita, per l’eternità.
Ad una Signora incontrata per caso
Buondì, cara Signora,
che quasi tutti i giorni
mi parlavi di cose interessanti
e raccontavi fatti ch'eran tuoi.
A Te, come Alessandro,
quello che scrisse de "I promessi sposi",
un inno sciolgo che famoso certo
nel mondo non sarà,
perché modesto verseggiar s'addice
a chi per gioco e per diletto scrive.
Ma se modesto al tetto l'inno sale
per perdersi silente nella volta
dell'azzurrato cielo,
Tu resti sempre viva nel ricordo
di te che vidi un poco mesta e dolce
parlar d'ambasce e pene su vicende
che sono sempre state e che saranno.
Mentre volava il cicaleccio intorno
di gente che parlava,
la simpatia m'accese
del semplice tuo dire,
perché profumo tu spandevi intorno
d'umano sentimento e comprensione
nel porgermi messaggi lusinghieri
d'immagimi traslate,
ch'erano intrise di speranza e forza.
Il tuo parlar ti dava
quell'aria di sereno e di mistero,
che circondare suole
gli arcangeli dipinti nelle chiese
con la dorata chioma,
ma Tu, dell'ali priva,
donna apparivi dall'umano aspetto
che conservare vuole
la tipica dolcezza
di chi comprende ed ama.
Da Te speravo in vero
che mi mostrassi tosto
la foto d'un domani,
dove sereno, pace ed armonia
s'intrecciano nel mondo del futuro
con la speranza d'una vita nuova
da vivere felice e spensierata,
e far di Te la fata
d'una stupenda favola
che scritta ancor non é,
almen sperando solo
di dirti da lontano (troppo tardi!)
le tante cose belle
che scrivere non so.