È un insieme di poesie in italiano ed anche in siciliano e francese con traduzione in italiano, scritte in varie occasioni, per non perdere l’abitudine di sognare, ricordare e continuare a vivere.
Fiore solitario
Fiore sublime
di sopite voglie
nel prato emergi
solitario al vento
mostrando quelle gioie
e quelle doglie
che furono d’amore
e di spavento.
Nudo tra rami
privi delle foglie
d’antico orgoglio e brame
mai redento
superbo ancora
della fine aspetti
il taglio della falce
che sospetti.
Ruzzare senti mute
e vagabonde
farfalle di pensieri
rutilanti
e l’anima con esse
si confonde.
Il turbinar dell’ali
petulanti
rilevano nascoste
le profonde
ferite già guarite
ma scottanti
che mostrano caduchi
i tuoi colori
ma l’anima non sente
nuovi ardori.
Il tempo scorre
e piange litanie
Nel mondo che ti cinge
e già t’opprime
col ruvido gorgheggio
nelle vie
di stravaganti
e risonanti stime
di vecchi mostri
e di novelle arpie
che la vita condanna
e non reprime.
A nulla vale
il tuo fiorire vano
all’ombra dell’ulivo
e dell’Ontano.1
1 È una pianta betullacea a fusto alto che cresce in zone boschive insieme a
querce e simili, caratteristiche dell'Europa centro-meridionale e la Sicilia lo
è
Georgico impulso
Amo del verde ricoprir
le zolle
d’amorfi campi
dalle stoppie invasi.
Non temo l’erta
del superbo colle
ne di stanchezza
la pacata stasi
lo spirito ribelle
mi consola.
Basta l’ebbrezza
che mi rende folle
nell’assemblare
stimolanti fasi
nell’uso della zappa
e del forcone
e del riposo
non agogno sprone.
Lo spaventapasseri
Di passeri spavento
l’interessato volo,
ma trame non invento
d’un intricato dolo
e sul mio braccio al vento
disteso come un piolo
di riposar consento
a chi non tocca il suolo.
Volate uccelli ansanti
intorno al mio cappello.
per me restate santi,
s’a cinguettar bel bello
restate pochi istanti.
La sosta non parcello.
L’inatteso dono
Nel torbido vagare
del pensiero
al cuor sublime
giunse la tua voce
che muta se ne stava
nel profondo
del cuore
già sopito e riposante.
S’accese un cero
di superba luce,
gradito dono
d’un pensiero muto
che mai mi giunse
dalle labbra schiuse
di te che col sorriso
m’illudevi
e fu di sogni
una stupenda ridda
che mente tacitava
d’ogni affanno.
Ma spegne il vento
la candela accesa
che tremula gorgheggia
e piange cera
che ruvida
si prosta alla sua base
e piomba nel marasma
dell’oblio
il dono lontanando
che ripigli
o forse mai donasti
a chi t’amava.
Allora torna a risentir
l’assenza
nell’aria cupa
della notte insulsa
il mio pensiero
che girando vaga,
e nel silenzio piomba
tra le stelle,
che vivide scintillano
nel cosmo
foriere d’altre luci
e d’altra vita.
La tua distanza
La tua distanza temo
in vita mia futura,
e pure la ventura
di mio destino estremo
se spezzerà natura
della barca il remo
lasciandomi tra l’onde
cedevoli e profonde.
Solo traguardo avverso
appare a me davanti
che mi sembrava terso
e dispariti i Santi
nell’ora che son perso.
Tra miseri imploranti
all’orizzonte il mare
di croci mi compare.
Ho spento nella vita
la sete dell’affetto
giocandola condita
in modo assai corretto,
adesso ch’ è sfiorita
di pena e di rigetto,
l’averti amato tanto
sarà solo rimpianto.
De hodierna Catania
In gurgite vasto morior
et de cinere surgo melior
quae ex coelis pluit.
Hostilis est vis
quae me fecit magnam.
Ignis et aqua me necant,
quod omnia vertent
in fumum, cinerem
et lacrimarum imbrem.
Malum tempus ruit,
sed audaces fortuna iuvat.
Catania d’oggi
Dalla cenere risorgo più bella
ma nel vasto gorgo muoio
che precipita dal cielo.
Ostili son le forze
che mi resero grande.
M’uccidono il fuoco e l’acqua,
poiché tutto si trasforma
in fumo, cenere
e pioggia di lacrime.
Cattivo tempo imperversa
ma gli audaci aiuta la fortuna.
La vita labile
Quanto mi resta torbido
del vivere, ne quando
in cielo andrò volando
di certo non lo so.
Adesso godo immemore
di già passate pene
e questo mi sostiene
di quello che sarà.
Alla mia vista gretole
che tinsero la terra
del male che rinserra
conati di bontà
oppure storie gravide
di stupidi pensieri
che ritenevo veri
problem di viltà.
Vivendo vita labile
mi resta di vedere
il fondo del bicchiere
che vuoto troverò.
L’inutile schermaglia
che nella vita rulla
affogherà nel nulla
e niente più sarà.
Alla ginestra
Sulle pendici del vulcano adorni
di fiori gialli le vetuste rocce,
Ginestra amante di deserte lande,
ne tema di soverchia neve o lava
mai di tentate fughe il cor ti spinse,
narrando invece mitiche avventure,
che furono d’Omero raccontate.
Tu che vedesti l’onde turbinare
d’Aci smarrito tra le braccia amate
della contesa ninfa Galatea,
di certo gialli colorasti i petali
del tuo stupendo fiore rilucente
al fuoco che versava Polifemo
e simbolo divenne quel colore
di gelosia d’amore che la rosa
ben presto l’adottò per simpatia.
Di questo non sapevo e fui felice
di farne dono un fascio profumato
alla mia bella che non lo gradì.
Ma ciò non toglie che mi resti cara,
Ginestra mia,che dorata brilli
tra nera terra e luminoso cielo
spandendo intorno quel profumo arcano
che vento ce lo porge e lo disperde.
Le luci del passato
Nell’orrida spelonca del passato
l’immagine rivedo lontanando
pensieri osceni d’avvilite forze.
Farfalle vedo rifulgenti in cielo
ed eran rudi pipistrelli amorfi
che luce rifletteva nell’oblio
spalmando d’oro le scomposte grida
al vento sparse del mattino aulente.
Solamente sembrava eterna teda
la luce che colpiva gli occhi miei
tra nuvole giocando a rimpiattino
ed era sempre la speranza viva
di vivere godendo arcani sogni.
Sconvolto il volto di pallore intinto
le membra avvolte nel rigor letale
fuggiron l’ore del rosato cielo
e l’ombra ricoprì d’eterno duolo
i giorni nuovi d’una vita adulta
intrisa d’amarezze e di rimpianti
di ciò che parve bello e non lo fu.
Priera a Sant’Antoniu
e San Franciscu
Sant’Antoniu Binirittu
sulu chistu mi mancava!
Dimmi Tu dunn’ era scrittu
ca lu focu m’arrivava.
Dopu chiddu ca s’ha ‘ntisu
a lu “Covidu” pinsava,
ca traseva tisu tisu
e la vucca mi ‘ntuppava,
mentri mutu lu braceri
cu lu focu c’addumava
pi’ d’ avanti e pi d’arreri
menzu cottu mi lassava.
Nun facemu jochi brutti
Sant’Anotniu salaratu.
Basta sulu ca m’ammutti
e mi lassi stinnicchiatu!
Sant’Antoniu lu fuchista
tu non fari pi’ piaciri.
Non lassari ca mi pista
lu distinu di patiri
si lu lupu non ti scanta
ca furria peri peri
San Franciscu d’acqua santa
addiventa lu pumperi.
Di lu focu malandrinu
ca m’abbrucia nta lu pettu,
nu cufuni fanni chinu
di jttari nettu nettu
nta lu ciumi ca furria.
Accussì senza spaventu
mi s’astuta a cammurria
e finisci stu turmentu.
Preghiera a Sant’Antonio
e San Francesco
Sant’Antonio Benedetto
solo questa mi mancava.
Dimmi tu dov’era scritto
che il fuoco m’arrivasse.
Dopo quello che s’è visto
al Covid pensavo,
che entrasse lesto lesto
e la bocca mi tappavo,
mentre muto un focolaio
con la fiamma che bruciava
per davanti e per di dietro
mezzo cotto mi lasciava.
Non facciamo brutti scherzi,
Sant’Antonio sia lodato!
Basta solo che mi spingi
e mi lasci a terra steso.
Sant’Antonio Tu fuochista
più non fare per piacere.
Non lasciare che mi pesti
il destino col patire.
Se del lupo tu non temi
che feroce va girando,
San Francesco d’Acqua Santa
tu diventami pompiere.
Di 'sto fuoco malandrino,
che mi brucia dentro il petto,
fanne un secchio pieno pieno
da buttare tutto quanto
in un fiume che disperde.
Così cessa lo spavento,
scomparendo il brutto evento
e finisce il mio tormento.
Souvenir de toi
Et me souviens de toi,
ma chère femme,
de ton corps nu
sur moi qui broule,
de tes yeux noirs
pleins de clarté divine,
de ta bouche douce,
qui partout me baise…
et je n’osais pas cueillir
la rose que tu m’avais donnée
ouverte enfin
parce que je t’adorais
et n’osais pas rendre humain
ce qui semblait divin,
Alors moi, j’étais garçon,
maintenant mon coeur
de vieux songeur
pleure et ne sais plus
trouver la route
à vivre loin de toi,
mon soleil,
mon doux e grand amour,
que je n’aurais voulu
jamais égarer
et que j’ai perdu
parmi les rues sombres
de ma lourde vie
Ricordo di te
E mi ricordo di te,
mia cara donna,
del tuo corpo nudo
sopra di me che brucio,
dei tuoi occhi neri
pieni di luce divina,
della tua bocca dolce,
che mi baciava tutto…
ed io non osavo coglier
la rosa che tu m’offrivi
aperta infine,
poiché ti adoravo
e non osavo rendere umano
ciò che mi sembrava divino.
Ero ragazzo allora,
adesso il mio cuore
di vecchio sognatore
piange e non sa più
trovar la strada
a viverti lontano,
mio sole,
mio dolce e grande amore,
che non avrei mai voluto perdere,
ma che ho perduto
tra le strade buie
della mia brutta vita.
Noël
C’est Noël.
La fete du Saint Enfant
qui viens chez nous
petit et nu
sauver le monde entier.
Elle sera, peut-etre,
la dernière
de ma trouble vie?
Je ne le sais pas
et le demande a Dieu
parce que
le plus souvent
brille mon esprit
de flamboyants désirs,
mais le corps s’annulle
dans le noir
du desespoir
et de l’eternelle nuit.
J’espère que cet Enfant
viens sauver moi meme
du mal de mon ame
en me donnant la paix
que je désire.
Natale
È Natale.
La festa del Santo Bambino
che viene da noi
nudo e piccino
per salvare il mondo intero.
Sarà forse
l’ultima festa
della mia triste vita?
Io non lo so
e lo chiedo a Dio
poiché
molto spesso
brilla il mio spirito
di fiammanti desideri,
ma il corpo si annulla
nel buio
della disperazione
e dell’eterna notte.
Spero che questo Bambino
venga a salvare anche me
dal male dell’anima mia,
dandomi la pace
che io desidero.
Chronique d'un rêve
J’ai rêvé de t'attendre
dans la nuit.
En regardant le fond
à la rue déserte
au dessus d’un nuage
J'attend
que toi enfin arrives
à l’horizon.
Lorsque tu arriveras
avec tes lèvres muettes
confuse dans le brouillard
de mon rêve
Je te vois évanescente
avec impatience
au milieu de la route
montante en flèche.
Un baiser seulement
sur le front
il a rempli la soif
de ma longue attente.
Je t'ai entourée plus tard
avec mon bras le corps
et nous avons repris
ensemble la montée.
La lumière, qui au devant
nous a guidés,
elle a étimelée dans la nuit
et c'était riche
des étoiles chatoyantes
à l’infini.
Il a disparu le brouillard
qui était autour
et nous étions légers
envelopés dans la lumière.
Ce sont des verres d'étoiles
nos visages;
ces étincelles
je vois rebondir
entre des tristes fables
et des sourires brillants
dans l'ombre floue
de la lumière lunaire
et cela semble
un àmas blanc gravé
des nuages
échappées au bavasser
des vents
tourbillonnants et indécis...
Mais c'était la fin
du sinistre rêve.
La cronaca d’un sogno
D’aspettarti sognai
nella notte.
Guardando in fondo
alla deserta via,
sopra una nube attesi
che tu giungessi infine
all’orizzonte.
Quando arrivasti
con le labbra mute
nel brulicar confusa
del mio sogno.
Ti vidi evanescente
ed impaziente
al centro della proda
che saliva.
Un bacio solamente
sulla fronte
colmò la sete
della lunga attesa.
Ti circondai dopo
il corpo con le braccia
e risalimmo insieme
su per l’erta.
La luce che davanti
ci guidava
splendeva nella notte,
ricca di stelle sparse
all’infinito.
Scomparve il buio
che d’attorno c’era
ed eravam leggeri
avvinti dalla luce,
cristalli i nostri visi
confusi tra le stelle.
Rinascere sentivo
l’antico scintillio
di favole smarrite
ed i sorrisi oblati
dall’ombra gravida
di lacrime lunari
in un ammasso grave
di nuvole confuse
col mormorio dei venti.
ribelli ed indecisi...
Ma fu la fine
di quel brutto sogno.
Al cavallo vapore
Non più nitrendo
il cavallo vapore
s’inerpica
per lo scosceso monte
sulla slittante strada
in alto volta.
L’igneo vapor
con il corrusco ferro
che l’aria rulla
ed annerisce intorno
non rompe più
l’estatico silenzio
e pone senza scampo
eterna stasi
al correre sfrenato
delle ruote
poiché laddove
chi comanda a forza
le briglia tolse
al mitico destriero
e lo ripose
ad ansimar silente
di ruggine corroso
nello stallo.
Ei fu di sogni
mitico vettore
all’alba
di quel secolo dorato
che vide l’uomo
conquistar la luna.
Adesso giace
Immobile non vinto
a mostrare perenne
il suo valore
che gloriare dovrà
l’era futura.
La forza della Fede
Ormai non più torbido
Il vento piange e tace
nel ciel che sa di pace,
e gemme sfiorerà
di rosseggiante tiepido
calor dal sole arriso;
il ramo ch’era liso
a vita tornerà.
Avvolto nel nevischio
che lo coperse intero
sembrò morir davvero
il germe che fiorì
nel dì supremo e provvido
del cadensar dell’ore
e rivestì d’amore
il frutto che scoprì.
L’umano sentimento
in questo mondo esteso
da mille pene obeso
tal quale sorgerà
e quando tutto perfido
gli sembra da morire
nel gorgo del perire
la fede parlerà
di quelle cose fervide
che cielo e terra ancora
la mente sempre indora
e tutto rivivrà.
Il riposo del pastore
La nube all’alta cima
caracollando appende
la sua lanosa mole
e nel pianoro il vento
stridente t’accarezza
le chiome disadorne
degli alberi dormienti
e l’onde sulla riva
del mare che borbotta.
Ritornano le barche
al molo spumeggiante
e fuggono le rondini
nel cielo non più terso
mentre nel campo bela
il gregge frettoloso
ed all’ovil ritorna.
La pioggia presto cade
e tutto inonda il campo
di gocce saltellanti
sull’erba che rinasce
ed il pastor si bea
di stare sotto il tetto
a rimirar la nube
che presto si dissolve,
al caldo del camino
che fumigando cuoce
nel solido paiolo
del latte la ricotta.
Aspetta che domani
il sole in alto splenda
e nuovo giorno allor
l’attende di lavoro.
Sia tu sempre felice
del vivere sereno
o pastorello pago
del tuo mite destino
di governare ovini
e non lupi feroci
che sbranano ringhiosi
e sembrano perfetti.
L’eruzione de vulcano
Sulle pendici del vulcano bellico
che neve assomma su vetusta lava
e dalla cima rosseggiante sbava
la broda che la scioglie e rende liquida,
alto si leva nello spazio scenico
il nero fumo del combusto mare
che dentro bolle e cerca di sfiorare
la coltre delle nuvole che rullano.
Raggiunge il cielo e là diventa nuvola
che grigia si disperde nell’azzurro
e sembra il cielo diventare burro
che folleggiando si disface ludico.
Ma ciò che spiove e cade sembra sabbia
che tutto sporca e tinge di nerume
financo l’acqua limpida del fiume
a chiazze, spinte lungo il bordo fragile.
Sul rinsecchito ramo nero e rorido
del pesco addormentato morirono
le gemme già spuntate e vider prono
scrollar le penne l’arruffato passero,
che solitario più non troverà
nel nido cinguettanti i propri nati,
nella caduta cenere annegati,
e sente già la fine che farà.
Crudele il crepitar del fuoco perfido
dall’infernal vulcano vomitato
vago si spande rotto dal boato
che nel cratere turbina di brividi,
raggiunge il mare e lo cosparge tremulo
di rosso fuoco e ruvide faville
che spengono nell’acqua le scintille.
Infine tutto tace e resta splendido
quando sull’acqua rassegnata e placida
il sol ritorna a cadenzar la luce
e sulle rocce il bianco adorna e cuce
le chiazze nere degli scogli turgidi.
Parlare
È bello dire
ma scontroso il fare
nel nostro mondo
brutto e disumano.
In tutte le faccende
da sbrigare
loquela vince
ma patisce mano.
È questo il mondo
pieno del parlare
di tutto e sopra tutto
forte e piano
purché si scansi
sempre la fatica
e di lavoro
non s’accenni e dica.
Il mio cavallo pazzo
Il cavalcar sovrano
il mio cavallo pazzo
in questo mondo strano
mi sembra proprio un razzo
sparato da lontano
che prova l’imbarazzo
del punto da centrare.
È meglio scavalcare
e calpestar sereno
il suolo del terreno.
Grandi dialoghi nel Web
L’ombra bruta
Sull’ali dei perduti giorni giunsi
all’isola dei sogni e fui felice
di soddisfar la fame dei miei sensi,
ma sulle sponde insulse il vento dice:
è fonte di dolore ciò che pensi,
poiché a tutt’altro questa terra adduce
se non all’ombra bruta della morte
che pone fine solo alla tua sorte.
Ara Pacis
Laddove l’ombra girellando giace,
dell’obelisco che segnava l’Ore
nell’angolo del campo caro a Marte,
l’Ara superba della Pace sorse
per volontà sovrana del Senato,
che vide in Roma la prediletta figlia
di Giove e Temi assente ed agognata,
onde perenne gloria e vanto n’ebbe
l’augusto divo imperator romano.
Volaron l’Ore sul deserto campo
e l’ombra sopra l’Ara s’arrestò
ed essa allora fu sommersa e persa
nel gorgo vorticoso degli eventi
e nel silenzio giacque dell’oblio.
Ora risorge sulla sponda augusta
a rimembrar la gloria che passò
e seppellir dei barbari l’offesa
che vollero coprirne la bontà.
Possa restare eternamente eretta
nel mondo, come volle Roma allora,
e rispecchiar l’amore tra le genti
del tutto cancellando sulla Terra
la guerra infame e l’orride battaglie.
Resti quel campo quello della Pace,
e mai spalmare turbolenze in atto
l’acque del fiume sulle sacre sponde.
Allora il grido sorgerà del Sole
nell’ibrido apparire tra le nubi,
che scaccerà per sempre l’ombra amara
del bellicoso Marte sotto terra,
solo d’Irene ricordando il culto,
che duri tanto quanto il mondo dura
e l’Ara splenda dell’amor divino
che volle dopo Cristo ristorare
ponendo il trono del suo regno in Roma.
Ringraziamentu
Sant’Antoniu u Paduvanu
San Franciscu l’Assisinu
mi passavu sanu sanu
lu duluri beddu chinu.
Si ni jvu u focu stranu
c’addumava nta lu schinu
e pareva lu pastranu
du diavulu assassinu.
Nun abbasta lu priari
pi’ cimmari lu duluri
c’abbisogna lu curari.
Jvu certu nto dutturi
ca sapeva chi s’ha fari
e passavu lu maluri.
Ringraziamento
Sant’Antonio il Padovano
San Francesco l’Assisino
m’è passato sano sano
Il dolore bello pieno.
Se n’è andato il fuoco strano
Che bruciava la mia schiena
E sembrava il cappottone
del diavolo assassino.
Non vi basta di pregare
per calmare quel dolore
che bisogna pur curare.
Andai certo dal dottore
che sapeva cosa fare
per quel male far passare.
L’augurio vivo
Ora che non più torbido
il vento piange e tace
nel ciel che sa di pace
l’azzurro tesserà
col rosseggiare limpido
del sole già nascente
la tela risplendente
del giorno che verrà.
Il ramo ancora rorido
della passata notte,
ritesse nuove lotte
di germogli in fiore
e vi saltella il passero
ancora rattrappito,
ma cinguettante ardito,
del freddo che patì.
Ma sullo sfondo etereo
dell’incombente giorno
si vede tutto intorno
qualcuno che non è
rimasto sempre gelido
al pallido chiarore:
son occhi di terrore
che videro la preda
cadere tra le grinfie
del viver suo rapace.
Ma torni ormai la pace
che luce la sortì.
Che sia sicura e fervida
nei giorni che verranno
di questo nuovo anno
od altro che sarà.
Per me è così
“Chi per la Patria muor vissuto è assai”
cantò qualcuno certo con clamore,
ma di quanta violenza tu non sai
è pieno questo detto e di dolore.
Per gli umani sommersi già nei guai
combattere e morire per onore
è una vicenda da non fare mai.
Non diventa eroe l’uccisor che muore
ma chi donar se stesso arresta mai.
nel far del bene ed esserne tutore.
Meglio campare solo con amore
donando pace e bene ovunque vai,
piuttosto che morir facendo guai...
Ricordo
Or che d’argento brillano i capelli
che sciorinati al sole mostri intenta
od agghindati con fermagli d’oro
e ruga nuova in volto mostri appena
che cancellare tenti col sorriso,
ti guardo e comparando gli occhi vado
a quelli d’una bambola lontana
che vidi un tempo scintillanti e dolci
sfiorarmi il volto e l’anima stupita.
Ti strinsi al seno e ti baciai sul collo
parole farfugliando senza senso
che furono gradite e corrisposte.
Le labbra si sfiorarono vogliose
e fu l’inizio d’una storia bella
che non cancella il tempo la memoria
e la mia mente spinse tra le stelle
anche se alto risplendeva il sole.
Quell’albero che vide tutto quanto
lungo quel viale ombroso della villa
racconta ancora quella prima volta
e si stupisce se mi vede solo.
Anche se bianchi sono i miei capelli
che fanno a gara con l’argento tuo
dimenticar non posso quell’istante
che mi legò per sempre al tuo volere
ed ora vivo sol vivendo teco,
sperando di non perderti per sempre
in questa vita che di morte aleggia.
La mia ascesa sull’Etna
Quando spinto d’ardor la cima ascesi
dell’antico vulcano che dormiva,
la fatica mi vinse esposto al sole
che perfido e violento mi colpiva,
sapendo forse ch’ ero d’acqua privo,
che persa avevo dal fiaschetto in panne.
D’intorno solo sabbia nera espulsa
dall’orrido cratere che fumava
e non sapevo cosa dover fare
per dissetarmi e prendere vigore.
Allor mi chiesi dove fosse andata
la neve che vedevo quasi sempre
guardando la montagna da lontano.
L’idea mi venne di cercala tosto
e presa la piccozza il nero mossi
e bianca apparve la nascosta neve.
Mi dissetai e conquistai la vetta
guardando il cline che scendeva a valle
dal sole dardeggiato fino in fondo
e “grazie” dissi grato alla montagna
che fu d’aiuto alla superba impresa.
Delusione
Lungo la proda
che portava in alto
una stella seguivo
con passione
che luccicar
vedevo all’infinito
ed era amore
che solcava il cielo.
Alfine la raggiunsi
e fui felice
d’offrirle quanto
più potevo dare
d’affetto
sogni e mitiche parole
che mi dettava
il cuore e la passione.
Non chiesi nulla
che non fosse affetto
d’amor perenne
e prono l’adorai
cingendole perduto
le ginocchia
come fosse
d’Olimpo la regina.
Sfuggì la stella
ed io rimasi solo
a contemplare il cielo
che svaniva
nel gorgo d’altre stelle
evanescenti.
Poesie ispirate alla pittura diGustav Klimt
L’abbraccio alla Klimt
Nell’intimo rumore di rintocchi
dell’anima che sfiora l’infinito
tra dorate pagliuzze rilucenti
che vestono le membra sublimate
un turbine s’affaccia di colori
che tingono d’arcano i sensi accesi.
La mente gioca e li riduce in briciole
di sogni evanescenti muti e roridi
d’amore palesato all’infinito.
Lontano il tempo proiettando scema
gli ardori del passato e li rimpiange
ma non cancella il ricordar suadente
l’immagine vissuta con passione.
Soffi scomposti
Soffi scomposti di perduti sogni
volteggiano nell’aria senza luce
e piovono le stelle ormai distanti
alle spalle d’un tempo ripudiato
tra bisbigli e fantasmi di pensieri
che brillano nel favo reso vuoto
del limpido liquore colorato
che più non stilla sulle foglie sparse
l’incanto di dolcezze ormai negate
dal tempo che trascorre e non perdona.
Non basteranno né parole nuove
né cantiche struggenti di rimpianto,
né versi convincenti e dolci frasi
né vivide sembianze di promesse
o vani sogni da riconquistare
all’ombra degli affusolati pioppi
che bucano la notte appariscente
e tracciano del vicolo la fine
che sa di morte e morte solamente.
Anche la luna sognatrice altera
lacrime piange sconsolata e sembra
piombar nel mare della mota amorfa
che grida al mondo il delirante scempio
di quell’attesa certa del disastro
e del baciar amorfo in alto sale
l’immagine scomposta del passato
che più non torna a rischiarar la vita.
Rivanga il tempo i risaputi amplessi
e la stillante ambascia li distoglie
dal vivido ricordo che sparisce.
Rimembranze
Non amai il tuo silenzio
e d’ignorarlo finsi,
ma l’assenza che saliva
la mente mi sconvolse,
che martellando immemore
il cuore mi confuse.
Non piansi perché forte
la forza sosteneva
l’orgoglio reso fiero
dallo sperare vano
e tacque fermo il tempo
nel riveder sorriso
che felpa lo nascose
con piume in nero tinte
e gli occhi appena schiusi
sotto l’ombrosa tesa
di provvido cappello
e di colore asperse
le gote appariscenti
nella scomposta chioma
che t’adornava il viso
e nulla mi rimase
del tuo sembiante muto
di nero circonfuso.
Il tempo non cancella
la storia che finì
e che nel tempo annega
pensieri non più vivi
che spigolando vanno
sul volto appena reso
nel quadro colorato
dei miei perduti sogni.
Il melo di Klimt
I frutti rosseggianti
che vedi sulla tela
a ciuffi tondeggianti
son vivida sequela
di splendidi pensieri
che sembrano le vele
d’intrepidi velieri...
Ma sono solo mele.
Lo stipite centrale
di rami onusto e foglie
in alto incede tale
da fa venir le voglie
di morderle gentili
nel pendere scomposte
al pari di monili
al cielo appena esposte
La luce che sommerge
al centro esuberante
ai lati si confonde
col verde prorompente.
Un quadro ne vien fuori
che mostra fantasia
intenerisce i cuori
e spande poesia.
Maternità di Klimt
Prorompe privo di pudico velo,
Il seno della madre genuflessa
e muti gli occhi rispecchianti il cielo
sul pargoletto mostrano la ressa
d’un sentimento che nel cuore anela,
quello d’affetto della madre stessa
che l’anima t’avvinge , l’odio gela
e mai d’amare intensamente cessa.
Sublime il quadro adorna la ricchezza
di scintillanti doni e di ceselli
che del pittore mostrano grandezza
e sono un misto d’oro e di pastelli
ma vincere non sanno la dolcezza
di madre e figlio resi ancor più belli.
Dipinto alla Klimt
Groviglio di colori affardellati
sul piano d’una tela
che sprigiona disegni cesellati
d’un corpo dalla torbida passione
con fili d’oro stesi a ragnatela,
appare nel contesto e sembra velo
di scena ardita, ma di rosa tinta.
Estroso emblema di vicende umane
nel vortice spavaldo alterno reso
ribolle della vita
e nella mente splende non sopito.
il semplice sfiorarlo con lo sguardo.
Cotanti segni avvinti dal colore
che luce li tratteggia,
riflettono lusinghe d’altri tempi
e scalpitante il cuore per amore
s’immerge nell’ascesa del sentire
rubando al tempo l’ansia d’un amore
e d’un sorriso sventolati appena
nel gorgheggiar di mitici disegni.
Superbo vola sulla tela vista
Il pensier mio sagace
e di restar godente più non tace.
La signora con ventaglio di Klimt
D’esile forma, nella tela esposta,
donna m’appare di sublime aspetto
in luce intensa di dorato mare,
di ninnoli cosparso e disegnini,
che l’occhio li rileva e li concilia
ai sensi accesi dell’ignudo seno,
ch’esotica bellezza lo nasconde
il mitico ventaglio galeotto.
Il collo estolle ed un kimono pende
sul corpo eluso che pudico rende
il viso oblungo dall’aspetto teso
e, di chi guarda, l’anima sommerge
d’estrosi desideri ed ampi segni
di vivido splendore e di calore.
La ballerina di Klimt
L’effimero danzare sulla scena
del solito superbo e vero artista
rivive nel contorno di colori,
che simbolici riflettono l’aspetto
di chi Narciso agogna di sembrare
e muta il corpo in quadro d’ammirare.
da chi fantasticando guarda e tace.
La danza resta solo nel pensiero
e resta impresso nello sguardo vivo
l’immagine che brilla e n’è motivo.
Dopo il bacio alla Klimt
Se mai d’amar vi capitasse fervido
di baci veri e dolci almanaccando,
vi resteran le briciole nell’anima,
quel grande sentimento ricordando.
Sopite le speranze e pur le voglie
non resta che baciarle, rubacchiando
il vivido ricordo d’un passato
che fu nell’oro fuso incastonato.
I Tarocchi dorati di Klimt
Enorme dalla tela il corpo emerge
di femmina distesa
nell’atto di mostrare le sue forme
che, sommerse restando nel colore,
risplendono vivaci
nel torbido pensiero di chi guarda.
che rudemente annega
nell’erotica essenza del piacere.
Di ninnoli cosparsi tutti in intorno,
che capolino fanno quasi dietro
al corpo ciambellato,
si notano i tarocchi che l’adornano
e turbano la mente di chi guarda.
Allor mi sembra di vedere muto
lo sguardo sorridente
del pittore che pennellando ammicca
e goda nel mostrare l’opra sua.
Modesti dialoghi di sempre
La scala
D’un sogno all’alba timidando pende
l’impervia scala al cielo già poggiata
e tintinnante attende
che mi venisse incontro quella luce
del sole che compare all’orizzonte,
laddove il mare azzurro lo ricuce
all’etere felice,
ed ero ansante nell’andare in alto.
Sembrava d’oro la spavalda proda
di quella scala dalla lunga coda.
Girellano d’intorno
ruzzanti torme di fantasmi alati,
piombanti a caso dalla meta aliena
sul mare onusto e tornano sfamati
di pesci saltellanti sulla rete
d’un pescator colluso nella scena.
Talvolta il vento, turbinando l’onde,
l’urlare suo confonde
col torbido gracchiare degli uccelli.
Allor traballa il risicato appiglio
non più tenuto da sicuro ciglio.
Ahi quante volte ridiscesi i pioli
che risalir solevo lentamente
nel tempo di bonaccia
e deludente il cuor mi disse vano
il mio scalare improvvide montagne
e quante volte fusi pianto e riso
sul volto mio deriso
nel gorgo di pensieri e vaghe lagne,
che fecero di me pura cartaccia,
di quella che non serve proprio a niente,
ed il corpo distrugge e pur la mente.
Infine giunsi in cima della scala
quando la luce già scomparve in cielo
perché cadeva il sole dietro il colle,
lasciando inciso nella notte il gelo
ed io supino e molle
sul letto adorno di pensieri antichi
mi chiesi titubante cosa fare,
senza speranza alcuna
di ripigliar l’ascesa per la luna.
Non mi restò d’attendere silente
che l’ora della morte prorompente.
Stupenda mole di superbe lotte
avvolge l’uomo che nascendo vive
e poi sommerso tomba nella notte,
dove sbracate son le membra prive
di stimoli vivaci.
A nulla vale il suo campare eletto
e sollevarsi dopo ogni caduta,
poiché l’attende un monumento eretto
sulla matrigna terra fredda e muta.
Conviene allegra vivere la vita
e non passarla come un eremita.
Il mare e l’onda
Schiuma sono dell’onda,
che tra gli scogli ansanti
in rivoli si perde
e mille spruzzi in cielo
indomiti turbina,
del tuo profondo mare
ricco di perle ascose
ed alghe sempre verdi
nell’azzurrato specchio
della volta arcana,
che pullula d’uccelli
dal candido piumaggio.
Se l’uragano turba
l’acque pur dianzi chete
e fulmini e procelle
il cielo sversa torbido
e rullano le barche
In preda al vento alieno,
allora in alto salto
e scavallando prono
mi sciolgo e mi distendo
e valli ripercorro
o monti semoventi
e nulla mi trattiene
d’averti con furore.
Se tu silente e muta
d’accarezzar ti molce
il cuore e sciacquettare
il lido dolcemente,
rubando al tempo l’ore
del moto e del delirio,
allor anch’io mi calmo
e dolcemente annaspo
nell’acqua tra gli scogli
e muto resto in quiete
a contemplar supino
l’oro o l’argento vivi
che mostra alterni il cielo.
Le tue carezze stimoli
di sogni inconfessati
sublimano i miei sensi
e l’annegar m’è dolce
al ruvido contatto
delle scoscese rocce
o docile toccare
il morbido terreno
che sublimando baci
perché tua vita a me
s’addice e vita dona.
Lu falcu e la Muntagna
Sugnu patruni e dominu
di sta Muntagna ca lu celu annorva
e si cummogghia a voti di janchizza
e l’aria tingi sempri
di focu russu e nivura catrami.
Superbu supra l’arvuli mi posu
o supra li spuntuna di la roccia,
ca di ginestri gialli si rivesti,
unni la figghiulanza alata addevu.
Mi tummu comu fussi ‘n-angileddu
nto menzu di li vigni
a caccia di cunigghi e surciteddi
c’arrobbanu racina a non finiri,
ma mi la fazzu arrassu
di l’omu ca li puta e li cultiva,
pirchì mi spara cu’ la so scupetta
baddi di chiummu ca mi fannu mali.
Non sapi lu viddanu
lu dannu ca si fa cu’ li so manu,
ca si mi pigghia in chinu e m’arrumazza,
non pozzu fari chiù lu so camperi.
Il Falco e la Montagna
Sono padrone e re
di questo monte che nel cielo estolle
e si ricopre a volte di biancore.
E l’aria tinge sempre
di rosso fuoco e di rugoso fumo.
Superbo sopra gli alberi mi poso.
O sopra gli spuntoni della roccia
che di ginestre gialle si riveste,
dove allevo una caterva di figli.
Piombo come un angelo
tra i solchi dei vigneti
a caccia di conigli e topicini
che rubano dell’uva a piene mani,
ma me ne sto distante
dall’uomo che li cura
perché mi spara col suo schioppo palle
che mal mi fanno stare.
Non sa il villano il danno
che fa con le sue mani,
ché se mi colpisce e mi fa cadere
non posso più fargli da campiere.
Come sei...
Tal adesso m’appari
Regina dei miei sogni,
sublime nell’aspetto e nello sguardo,
perennemente corrucciato e triste,
muta pensando della vita il ciclo
che rulla nella mente ottenebrata
e sulle labbra immote si trasmette,
immemore di sogni accarezzati,
con opaco dolore senza fine.
Quel dolce sguardo che tremar mi fece,
superba teca d’amorosi sensi,
ancor trabocca d’attrazione viva
e fonte resta di piacere immenso,
che l’anima sconvolge e rende santa.
Il collo, il seno e l’amoroso tocco
delle tue mani vellutate agogno
nell’intimo desio
di carezze, profondi abbracci e baci
che danzano scomposti nella mente.
Fantastiche visioni
ed infinite brame
nel mio pensiero aleggiano scomposte,
quali colombe in cerca della pace
che planano veloci sopra il ramo
ch’è già sostegno d’accogliente nido
e non m’accorgo se di rughe il viso
che dici di notare nello specchio
t’adornano copiose
e se di grigio i tuoi capelli neri
cosparsi sono adesso ancor di più.
Lascia che scorra il tempo ed altri affanni
senza rimpianto alcuno
e non crucciarti di ciò che sarà,
perché ti voglio sempre come sei
finché la vita ci sarà concessa
ed anche dopo nell’estremo sito
che già scegliemmo per restare insieme.
Nostalgici desideri
Tu non ricordi forse quel che fu
il tempo che trascorse e sembra ieri,
quando bandiva il ciel i nembi neri
e radioso appariva l’avvenire.
Nell’impeto felice della storia,
d’amor ti cinsi un dì le gambe opime.
E della pelle ancor l’odor m’opprime
e brucia di ricordi il mio pensiero,
che la pace non trova nell’oblio.
Di godere non provo il Paradiso
al semplice sognare il tuo sorriso
che sempre più lontano e muto appare
e nel sentire la tua mano docile
accarezzarmi titubante il seno.
L’omaggio temo dell’addio terreno
condito di dolore e di rimpianto.
Soverchiano le stelle le mie lacrime
che rigano le guance di speranza
se solo penso al tempo che m’avanza
nel vivere infelice senza te.
Dopo lo scontro
Sobbalza l’eco di vittoria e morte
nelle convalli solitarie e vuote
financo delle zolle arate e smorte
dal calpestar di cingolate ruote.
Silenzio incombe per la triste sorte
delle persone che restaro immote.
colpite dal cannone crepitante
che fu feroce, barbaro e costante.
Il vincitor si gloria del successo
per la conquista d’una gente invitta,
che dell’orrore vide solo il nesso
di chi la volle schiava e derelitta.
Il vinto giace sotto il suolo stesso
che l’ebbe prima in posizione dritta.
Gustò la morte pure il vincitore,
ma dice che non prova alcun dolore.
Mi chiedo se non fosse stato meglio
a tavolo sedersi in santa pace
discutere, sentire e dar di piglio
ad un accordo senza tanta brace,
offrendo rose e qualche bianco giglio
che rende l’uomo duro più verace?
Infine è sempre uguale il risultato
di zucchero melato oppur salato.
L’effetto contrario
Echeggia con clamore non sperato
l’effetto d’un conflitto cadenzato.
Con esso si volea tener lontano
l’inciucio con la NATO in vero strano
ma tanto fu l’effetto del clamore
che subentrò d’acchito il gran terrore
di doversi soffrire solamente
il capriccioso agire d’un potente.
Allora gridan tutti con furore:
andiamo dalla NATO con amore.
Ottiene in questo modo il prepotente
di rendersi nemico della gente.
L’anomala pioggia
Allor che l’alba aderge
e strizza i cirri vagabondi a flotte
della fuggente notte,
e dal suo nido l’uccelletto vola
In cerca d’altre mete
nell’etere velato,
di fitta pioggia che rigando cade,
Il rintoccar frenetico si sente
sui vetri opachi, intrisi di sospiri.
Al di sopra dei tetti resi lindi
in lontananza appare
il mare cupo misto all’infinito,
che fonte fu d’ameno trastullare
tra l’onde chete del meriggio estivo.
Un altro giorno nasce neghittoso
su questo mondo sbrindellato e vano
al suono inverecondo
d’un cadenzato ticchettare ad arte,
che ripete l’umore d’incertezza
all'orizzonte apparso.
Le note fitte di danzanti suoni
fibrillano nell’aria e rondinelle
vaghe son del caduco spartito
della natura in pena.
Da qui seduto, alla finestra volto,
osservo il pianto di cadute stelle
e vola il mio pensiero
sull’ali dei ricordi
nell’etere svaniti
lasciando vuote le speranze antiche,
nella mota perite neghittosa.
Quali pensieri m’ispirò quel mare
d’azzurro tinto e dalle rocce cinto
e la Montagna accanto
dal pennacchioso fumo in alto volto,
che quasi lo sfiorai
quando l’ascesi giovinetto ancora.
Io non pensavo allora
Di stare immoto con la pioggia innanzi
e lamentarmi di perduta stasi,
ché l’aria greve mi pesasse pure
del chiuso albergo che l’età m’impone.
La rondine non vedo
che prima girellava sotto il tetto
dell’edificio che mi sta davanti,
né dei colombi il libero librarsi
nell’aria triste e cupa.
Solo d’un gatto scorgo
Il goffo ripararsi sotto un tiglio
e con l’ombrello aperto la Carmela,
che nella pioggia arranca...
Adesso suona e sento il cicaleccio
del campanello stridulo strillare.
La porta s’apre, salutando appena,
s’asciuga il viso e parla...
Del figlio mi racconta e della casa,
che locare dovette suo malgrado,
mentre mia moglie dorme
e fuori il vento suona litanie.
Prati sfioriti ed alberi ramosi
han dato luogo alle stoppaglie verdi
d’incolte zolle dalla pioggia arate
senza speranza di goderne i frutti,
perché del tempo ne mancò l’avvio
e nulla al mondo si vedrà solare.
Supremo resta il cantico di morte,
che cadenzato scende e tutto avvolge
nell’orrido cantare della pioggia,
apparsa quando meno si pensasse.
L’addio non resta di mostrare al mondo
e lacrime affiancare allo sversarsi
d’insulse gocce spigolose asperse
dal tempo inverecondo,
di fulmini foriero e d’altri tuoni.
L’ultimo addio
Or che nel seno dell’estremo ostello
la pace inonda di profonda luce
il colorato emblema del cesello,
all’oggi il tempo immemore ricuce
quanto sembrava un tempo bello
al limitar di vita sempre truce,
che lungi resta in quest’arcano sito,
dimentico del già passato mito.
Non più sorrisi e favolosi accenti
festose grida e ludiche emozioni,
si vedon nel sacello prorompenti,
ma semplici contesti di visioni
che mute stanno e dormono silenti
coperte dalle lapidi a festoni
del tempo, non più statico,volato
tra le fole struggenti del passato.
Felici nell’eterno abbraccio cinti,
come quando lo foste in questo mondo,
non saranno mai i vostri visi stinti
dal turbinare squallido e profondo
d’umani istinti dal delirio spinti
d’interessate beghe nello sfondo.
Esempio resti di futuro impegno
il viver vostro che ne fu disegno.
L’appello
Regalami d’affetto un solo istante,
uno soltanto vivo e palpitante
di quanti il tempo ne rinserra e face
nel seno ardente di combusta brace.
Allor rinascere vedrai l’amore
di fiamme scintillanti nel tuo cuore,
le favolose storie parallele
che stillano di zucchero e di miele
e scoprire nel cielo, reso azzurro,
i nembi neri tramutati in burro.
Null’altro chiedo a te che sei l’eletta
dal cuore che ti vuole e ti rispetta.
Mai più
Nella tua mente labile
di me non resti sparsa
nemmen di sogno briciola
dispersa nell’oblio
che più non colga immemore
un tempo già passato.
Se nella mente frivola
un giorno mai verrà
che comparir l’immagine
nel gorgo dei ricordi
vedrai di me che lacrime
sul mesto viso spanda
non ti crucciar di tergerle
con le pietose mani
o di baciarle tremule
perché mutato aspetto
ha quell’istante magico
quando tremante il cuore
nel petto reso torbido
bruciò per te d’amore.