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CONTATTI

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SOFFI SCOMPOSTI

Zibaldone di Poesie

di Pippo Nasca

È un insieme di poesie in italiano ed anche in siciliano e francese con traduzione in italiano, scritte in varie occasioni, per non perdere l’abitudine di sognare, ricordare e continuare a vivere. 

 

 

Fiore solitario

Fiore sublime

di sopite voglie

nel prato emergi

solitario al vento

mostrando quelle gioie

e quelle doglie

che furono d’amore

e di spavento.

Nudo tra rami

privi delle foglie

d’antico orgoglio e brame

mai redento

superbo ancora

della fine aspetti

il taglio della falce

che sospetti.

Ruzzare senti mute

e vagabonde

farfalle di pensieri

rutilanti

e l’anima con esse

si confonde.

Il turbinar dell’ali

petulanti

rilevano nascoste

le profonde

ferite già guarite

ma scottanti

che mostrano caduchi

i tuoi colori

ma l’anima non sente

nuovi ardori.

Il tempo scorre

e piange litanie

Nel mondo che ti cinge

e già t’opprime

col ruvido gorgheggio

nelle vie

di stravaganti

e risonanti stime

di vecchi mostri

e di novelle arpie

che la vita condanna

e non reprime.

A nulla vale

il tuo fiorire vano

all’ombra dell’ulivo

e dell’Ontano.1

 

1 È una pianta betullacea a fusto alto che cresce in zone boschive insieme a

querce e simili, caratteristiche dell'Europa centro-meridionale e la Sicilia lo

è

 

 

 

Georgico impulso

Amo del verde ricoprir

le zolle

d’amorfi campi

dalle stoppie invasi.

Non temo l’erta

del superbo colle

ne di stanchezza

la pacata stasi

lo spirito ribelle

mi consola.

Basta l’ebbrezza

che mi rende folle

nell’assemblare

stimolanti fasi

nell’uso della zappa

e del forcone

e del riposo

non agogno sprone.

 

 

 

Lo spaventapasseri

Di passeri spavento

l’interessato volo,

ma trame non invento

d’un intricato dolo

e sul mio braccio al vento

disteso come un piolo

di riposar consento

a chi non tocca il suolo.

Volate uccelli ansanti

intorno al mio cappello.

per me restate santi,

s’a cinguettar bel bello

restate pochi istanti.

La sosta non parcello.

 

 

 

L’inatteso dono

Nel torbido vagare

del pensiero

al cuor sublime

giunse la tua voce

che muta se ne stava

nel profondo

del cuore

già sopito e riposante.

S’accese un cero

di superba luce,

gradito dono

d’un pensiero muto

che mai mi giunse

dalle labbra schiuse

di te che col sorriso

m’illudevi

e fu di sogni

una stupenda ridda

che mente tacitava

d’ogni affanno.

Ma spegne il vento

la candela accesa

che tremula gorgheggia

e piange cera

che ruvida

si prosta alla sua base

e piomba nel marasma

dell’oblio

il dono lontanando

che ripigli

o forse mai donasti

a chi t’amava.

Allora torna a risentir

l’assenza

nell’aria cupa

della notte insulsa

il mio pensiero

che girando vaga,

e nel silenzio piomba

tra le stelle,

che vivide scintillano

nel cosmo

foriere d’altre luci

e d’altra vita.

 

 

 

La tua distanza

La tua distanza temo

in vita mia futura,

e pure la ventura

di mio destino estremo

se spezzerà natura

della barca il remo

lasciandomi tra l’onde

cedevoli e profonde.

Solo traguardo avverso

appare a me davanti

che mi sembrava terso

e dispariti i Santi

nell’ora che son perso.

Tra miseri imploranti

all’orizzonte il mare

di croci mi compare.

Ho spento nella vita

la sete dell’affetto

giocandola condita

in modo assai corretto,

adesso ch’ è sfiorita

di pena e di rigetto,

l’averti amato tanto

sarà solo rimpianto.

 

 

 

De hodierna Catania

In gurgite vasto morior

et de cinere surgo melior

quae ex coelis pluit.

Hostilis est vis

quae me fecit magnam.

Ignis et aqua me necant,

quod omnia vertent

in fumum, cinerem

et lacrimarum imbrem.

Malum tempus ruit,

sed audaces fortuna iuvat.

 

 

 

Catania d’oggi

Dalla cenere risorgo più bella

ma nel vasto gorgo muoio

che precipita dal cielo.

Ostili son le forze

che mi resero grande.

M’uccidono il fuoco e l’acqua,

poiché tutto si trasforma

in fumo, cenere

e pioggia di lacrime.

Cattivo tempo imperversa

ma gli audaci aiuta la fortuna.

 

 

 

La vita labile

Quanto mi resta torbido

del vivere, ne quando

in cielo andrò volando

di certo non lo so.

Adesso godo immemore

di già passate pene

e questo mi sostiene

di quello che sarà.

Alla mia vista gretole

che tinsero la terra

del male che rinserra

conati di bontà

oppure storie gravide

di stupidi pensieri

che ritenevo veri

problem di viltà.

Vivendo vita labile

mi resta di vedere

il fondo del bicchiere

che vuoto troverò.

L’inutile schermaglia

che nella vita rulla

affogherà nel nulla

e niente più sarà.

 

 

 

Alla ginestra

Sulle pendici del vulcano adorni

di fiori gialli le vetuste rocce,

Ginestra amante di deserte lande,

ne tema di soverchia neve o lava

mai di tentate fughe il cor ti spinse,

narrando invece mitiche avventure,

che furono d’Omero raccontate.

Tu che vedesti l’onde turbinare

d’Aci smarrito tra le braccia amate

della contesa ninfa Galatea,

di certo gialli colorasti i petali

del tuo stupendo fiore rilucente

al fuoco che versava Polifemo

e simbolo divenne quel colore

di gelosia d’amore che la rosa

ben presto l’adottò per simpatia.

Di questo non sapevo e fui felice

di farne dono un fascio profumato

alla mia bella che non lo gradì.

Ma ciò non toglie che mi resti cara,

Ginestra mia,che dorata brilli

tra nera terra e luminoso cielo

spandendo intorno quel profumo arcano

che vento ce lo porge e lo disperde.

 

 

 

Le luci del passato

Nell’orrida spelonca del passato

l’immagine rivedo lontanando

pensieri osceni d’avvilite forze.

Farfalle vedo rifulgenti in cielo

ed eran rudi pipistrelli amorfi

che luce rifletteva nell’oblio

spalmando d’oro le scomposte grida

al vento sparse del mattino aulente.

Solamente sembrava eterna teda

la luce che colpiva gli occhi miei

tra nuvole giocando a rimpiattino

ed era sempre la speranza viva

di vivere godendo arcani sogni.

Sconvolto il volto di pallore intinto

le membra avvolte nel rigor letale

fuggiron l’ore del rosato cielo

e l’ombra ricoprì d’eterno duolo

i giorni nuovi d’una vita adulta

intrisa d’amarezze e di rimpianti

di ciò che parve bello e non lo fu.

 

 

 

Priera a Sant’Antoniu

e San Franciscu

Sant’Antoniu Binirittu

sulu chistu mi mancava!

Dimmi Tu dunn’ era scrittu

ca lu focu m’arrivava.

Dopu chiddu ca s’ha ‘ntisu

a lu “Covidu” pinsava,

ca traseva tisu tisu

e la vucca mi ‘ntuppava,

mentri mutu lu braceri

cu lu focu c’addumava

pi’ d’ avanti e pi d’arreri

menzu cottu mi lassava.

Nun facemu jochi brutti

Sant’Anotniu salaratu.

Basta sulu ca m’ammutti

e mi lassi stinnicchiatu!

Sant’Antoniu lu fuchista

tu non fari pi’ piaciri.

Non lassari ca mi pista

lu distinu di patiri

si lu lupu non ti scanta

ca furria peri peri

San Franciscu d’acqua santa

addiventa lu pumperi.

Di lu focu malandrinu

ca m’abbrucia nta lu pettu,

nu cufuni fanni chinu

di jttari nettu nettu

nta lu ciumi ca furria.

Accussì senza spaventu

mi s’astuta a cammurria

e finisci stu turmentu.

 

 

 

Preghiera a Sant’Antonio

e San Francesco

Sant’Antonio Benedetto

solo questa mi mancava.

Dimmi tu dov’era scritto

che il fuoco m’arrivasse.

Dopo quello che s’è visto

al Covid pensavo,

che entrasse lesto lesto

e la bocca mi tappavo,

mentre muto un focolaio

con la fiamma che bruciava

per davanti e per di dietro

mezzo cotto mi lasciava.

Non facciamo brutti scherzi,

Sant’Antonio sia lodato!

Basta solo che mi spingi

e mi lasci a terra steso.

Sant’Antonio Tu fuochista

più non fare per piacere.

Non lasciare che mi pesti

il destino col patire.

Se del lupo tu non temi

che feroce va girando,

San Francesco d’Acqua Santa

tu diventami pompiere.

Di 'sto fuoco malandrino,

che mi brucia dentro il petto,

fanne un secchio pieno pieno

da buttare tutto quanto

in un fiume che disperde.

Così cessa lo spavento,

scomparendo il brutto evento

e finisce il mio tormento.

 

 

 

Souvenir de toi

Et me souviens de toi,

ma chère femme,

de ton corps nu

sur moi qui broule,

de tes yeux noirs

pleins de clarté divine,

de ta bouche douce,

qui partout me baise…

et je n’osais pas cueillir

la rose que tu m’avais donnée

ouverte enfin

parce que je t’adorais

et n’osais pas rendre humain

ce qui semblait divin,

Alors moi, j’étais garçon,

maintenant mon coeur

de vieux songeur

pleure et ne sais plus

trouver la route

à vivre loin de toi,

mon soleil,

mon doux e grand amour,

que je n’aurais voulu

jamais égarer

et que j’ai perdu

parmi les rues sombres

de ma lourde vie

 

 

 

Ricordo di te

E mi ricordo di te,

mia cara donna,

del tuo corpo nudo

sopra di me che brucio,

dei tuoi occhi neri

pieni di luce divina,

della tua bocca dolce,

che mi baciava tutto…

ed io non osavo coglier

la rosa che tu m’offrivi

aperta infine,

poiché ti adoravo

e non osavo rendere umano

ciò che mi sembrava divino.

Ero ragazzo allora,

adesso il mio cuore

di vecchio sognatore

piange e non sa più

trovar la strada

a viverti lontano,

mio sole,

mio dolce e grande amore,

che non avrei mai voluto perdere,

ma che ho perduto

tra le strade buie

della mia brutta vita.

 

 

 

Noël

C’est Noël.

La fete du Saint Enfant

qui viens chez nous

petit et nu

sauver le monde entier.

Elle sera, peut-etre,

la dernière

de ma trouble vie?

Je ne le sais pas

et le demande a Dieu

parce que

le plus souvent

brille mon esprit

de flamboyants désirs,

mais le corps s’annulle

dans le noir

du desespoir

et de l’eternelle nuit.

J’espère que cet Enfant

viens sauver moi meme

du mal de mon ame

en me donnant la paix

que je désire.

 

 

 

Natale

È Natale.

La festa del Santo Bambino

che viene da noi

nudo e piccino

per salvare il mondo intero.

Sarà forse

l’ultima festa

della mia triste vita?

Io non lo so

e lo chiedo a Dio

poiché

molto spesso

brilla il mio spirito

di fiammanti desideri,

ma il corpo si annulla

nel buio

della disperazione

e dell’eterna notte.

Spero che questo Bambino

venga a salvare anche me

dal male dell’anima mia,

dandomi la pace

che io desidero.

 

 

 

Chronique d'un rêve

J’ai rêvé de t'attendre

dans la nuit.

En regardant le fond

à la rue déserte

au dessus d’un nuage

J'attend

que toi enfin arrives

à l’horizon.

Lorsque tu arriveras

avec tes lèvres muettes

confuse dans le brouillard

de mon rêve

Je te vois évanescente

avec impatience

au milieu de la route

montante en flèche.

Un baiser seulement

sur le front

il a rempli la soif

de ma longue attente.

Je t'ai entourée plus tard

avec mon bras le corps

et nous avons repris

ensemble la montée.

La lumière, qui au devant

nous a guidés,

elle a étimelée dans la nuit

et c'était riche

des étoiles chatoyantes

à l’infini.

Il a disparu le brouillard

qui était autour

et nous étions légers

envelopés dans la lumière.

Ce sont des verres d'étoiles

nos visages;

ces étincelles

je vois rebondir

entre des tristes fables

et des sourires brillants

dans l'ombre floue

de la lumière lunaire

et cela semble

un àmas blanc gravé

des nuages

échappées au bavasser

des vents

tourbillonnants et indécis...

Mais c'était la fin

du sinistre rêve.

 

 

 

La cronaca d’un sogno

D’aspettarti sognai

nella notte.

Guardando in fondo

alla deserta via,

sopra una nube attesi

che tu giungessi infine

all’orizzonte.

Quando arrivasti

con le labbra mute

nel brulicar confusa

del mio sogno.

Ti vidi evanescente

ed impaziente

al centro della proda

che saliva.

Un bacio solamente

sulla fronte

colmò la sete

della lunga attesa.

Ti circondai dopo

il corpo con le braccia

e risalimmo insieme

su per l’erta.

La luce che davanti

ci guidava

splendeva nella notte,

ricca di stelle sparse

all’infinito.

Scomparve il buio

che d’attorno c’era

ed eravam leggeri

avvinti dalla luce,

cristalli i nostri visi

confusi tra le stelle.

Rinascere sentivo

l’antico scintillio

di favole smarrite

ed i sorrisi oblati

dall’ombra gravida

di lacrime lunari

in un ammasso grave

di nuvole confuse

col mormorio dei venti.

ribelli ed indecisi...

Ma fu la fine

di quel brutto sogno.

 

 

 

Al cavallo vapore

Non più nitrendo

il cavallo vapore

s’inerpica

per lo scosceso monte

sulla slittante strada

in alto volta.

L’igneo vapor

con il corrusco ferro

che l’aria rulla

ed annerisce intorno

non rompe più

l’estatico silenzio

e pone senza scampo

eterna stasi

al correre sfrenato

delle ruote

poiché laddove

chi comanda a forza

le briglia tolse

al mitico destriero

e lo ripose

ad ansimar silente

di ruggine corroso

nello stallo.

Ei fu di sogni

mitico vettore

all’alba

di quel secolo dorato

che vide l’uomo

conquistar la luna.

Adesso giace

Immobile non vinto

a mostrare perenne

il suo valore

che gloriare dovrà

l’era futura.

 

 

 

La forza della Fede

Ormai non più torbido

Il vento piange e tace

nel ciel che sa di pace,

e gemme sfiorerà

di rosseggiante tiepido

calor dal sole arriso;

il ramo ch’era liso

a vita tornerà.

Avvolto nel nevischio

che lo coperse intero

sembrò morir davvero

il germe che fiorì

nel dì supremo e provvido

del cadensar dell’ore

e rivestì d’amore

il frutto che scoprì.

L’umano sentimento

in questo mondo esteso

da mille pene obeso

tal quale sorgerà

e quando tutto perfido

gli sembra da morire

nel gorgo del perire

la fede parlerà

di quelle cose fervide

che cielo e terra ancora

la mente sempre indora

e tutto rivivrà.

 

 

 

Il riposo del pastore

La nube all’alta cima

caracollando appende

la sua lanosa mole

e nel pianoro il vento

stridente t’accarezza

le chiome disadorne

degli alberi dormienti

e l’onde sulla riva

del mare che borbotta.

Ritornano le barche

al molo spumeggiante

e fuggono le rondini

nel cielo non più terso

mentre nel campo bela

il gregge frettoloso

ed all’ovil ritorna.

La pioggia presto cade

e tutto inonda il campo

di gocce saltellanti

sull’erba che rinasce

ed il pastor si bea

di stare sotto il tetto

a rimirar la nube

che presto si dissolve,

al caldo del camino

che fumigando cuoce

nel solido paiolo

del latte la ricotta.

Aspetta che domani

il sole in alto splenda

e nuovo giorno allor

l’attende di lavoro.

Sia tu sempre felice

del vivere sereno

o pastorello pago

del tuo mite destino

di governare ovini

e non lupi feroci

che sbranano ringhiosi

e sembrano perfetti.

 

 

 

L’eruzione de vulcano

Sulle pendici del vulcano bellico

che neve assomma su vetusta lava

e dalla cima rosseggiante sbava

la broda che la scioglie e rende liquida,

alto si leva nello spazio scenico

il nero fumo del combusto mare

che dentro bolle e cerca di sfiorare

la coltre delle nuvole che rullano.

Raggiunge il cielo e là diventa nuvola

che grigia si disperde nell’azzurro

e sembra il cielo diventare burro

che folleggiando si disface ludico.

Ma ciò che spiove e cade sembra sabbia

che tutto sporca e tinge di nerume

financo l’acqua limpida del fiume

a chiazze, spinte lungo il bordo fragile.

Sul rinsecchito ramo nero e rorido

del pesco addormentato morirono

le gemme già spuntate e vider prono

scrollar le penne l’arruffato passero,

che solitario più non troverà

nel nido cinguettanti i propri nati,

nella caduta cenere annegati,

e sente già la fine che farà.

Crudele il crepitar del fuoco perfido

dall’infernal vulcano vomitato

vago si spande rotto dal boato

che nel cratere turbina di brividi,

raggiunge il mare e lo cosparge tremulo

di rosso fuoco e ruvide faville

che spengono nell’acqua le scintille.

Infine tutto tace e resta splendido

quando sull’acqua rassegnata e placida

il sol ritorna a cadenzar la luce

e sulle rocce il bianco adorna e cuce

le chiazze nere degli scogli turgidi.

 

 

 

Parlare

È bello dire

ma scontroso il fare

nel nostro mondo

brutto e disumano.

In tutte le faccende

da sbrigare

loquela vince

ma patisce mano.

È questo il mondo

pieno del parlare

di tutto e sopra tutto

forte e piano

purché si scansi

sempre la fatica

e di lavoro

non s’accenni e dica.

 

 

 

Il mio cavallo pazzo

Il cavalcar sovrano

il mio cavallo pazzo

in questo mondo strano

mi sembra proprio un razzo

sparato da lontano

che prova l’imbarazzo

del punto da centrare.

È meglio scavalcare

e calpestar sereno

il suolo del terreno.

 

 

 

 

Grandi dialoghi nel Web

 

 

 

L’ombra bruta

Sull’ali dei perduti giorni giunsi

all’isola dei sogni e fui felice

di soddisfar la fame dei miei sensi,

ma sulle sponde insulse il vento dice:

è fonte di dolore ciò che pensi,

poiché a tutt’altro questa terra adduce

se non all’ombra bruta della morte

che pone fine solo alla tua sorte.

 

 

 

Ara Pacis

Laddove l’ombra girellando giace,

dell’obelisco che segnava l’Ore

nell’angolo del campo caro a Marte,

l’Ara superba della Pace sorse

per volontà sovrana del Senato,

che vide in Roma la prediletta figlia

di Giove e Temi assente ed agognata,

onde perenne gloria e vanto n’ebbe

l’augusto divo imperator romano.

Volaron l’Ore sul deserto campo

e l’ombra sopra l’Ara s’arrestò

ed essa allora fu sommersa e persa

nel gorgo vorticoso degli eventi

e nel silenzio giacque dell’oblio.

Ora risorge sulla sponda augusta

a rimembrar la gloria che passò

e seppellir dei barbari l’offesa

che vollero coprirne la bontà.

Possa restare eternamente eretta

nel mondo, come volle Roma allora,

e rispecchiar l’amore tra le genti

del tutto cancellando sulla Terra

la guerra infame e l’orride battaglie.

Resti quel campo quello della Pace,

e mai spalmare turbolenze in atto

l’acque del fiume sulle sacre sponde.

Allora il grido sorgerà del Sole

nell’ibrido apparire tra le nubi,

che scaccerà per sempre l’ombra amara

del bellicoso Marte sotto terra,

solo d’Irene ricordando il culto,

che duri tanto quanto il mondo dura

e l’Ara splenda dell’amor divino

che volle dopo Cristo ristorare

ponendo il trono del suo regno in Roma.

 

 

 

Ringraziamentu

Sant’Antoniu u Paduvanu

San Franciscu l’Assisinu

mi passavu sanu sanu

lu duluri beddu chinu.

Si ni jvu u focu stranu

c’addumava nta lu schinu

e pareva lu pastranu

du diavulu assassinu.

Nun abbasta lu priari

pi’ cimmari lu duluri

c’abbisogna lu curari.

Jvu certu nto dutturi

ca sapeva chi s’ha fari

e passavu lu maluri.

 

 

 

Ringraziamento

Sant’Antonio il Padovano

San Francesco l’Assisino

m’è passato sano sano

Il dolore bello pieno.

Se n’è andato il fuoco strano

Che bruciava la mia schiena

E sembrava il cappottone

del diavolo assassino.

Non vi basta di pregare

per calmare quel dolore

che bisogna pur curare.

Andai certo dal dottore

che sapeva cosa fare

per quel male far passare.

 

 

 

L’augurio vivo

Ora che non più torbido

il vento piange e tace

nel ciel che sa di pace

l’azzurro tesserà

col rosseggiare limpido

del sole già nascente

la tela risplendente

del giorno che verrà.

Il ramo ancora rorido

della passata notte,

ritesse nuove lotte

di germogli in fiore

e vi saltella il passero

ancora rattrappito,

ma cinguettante ardito,

del freddo che patì.

Ma sullo sfondo etereo

dell’incombente giorno

si vede tutto intorno

qualcuno che non è

rimasto sempre gelido

al pallido chiarore:

son occhi di terrore

che videro la preda

cadere tra le grinfie

del viver suo rapace.

Ma torni ormai la pace

che luce la sortì.

Che sia sicura e fervida

nei giorni che verranno

di questo nuovo anno

od altro che sarà.

 

 

 

Per me è così

“Chi per la Patria muor vissuto è assai”

cantò qualcuno certo con clamore,

ma di quanta violenza tu non sai

è pieno questo detto e di dolore.

Per gli umani sommersi già nei guai

combattere e morire per onore

è una vicenda da non fare mai.

Non diventa eroe l’uccisor che muore

ma chi donar se stesso arresta mai.

nel far del bene ed esserne tutore.

Meglio campare solo con amore

donando pace e bene ovunque vai,

piuttosto che morir facendo guai...

 

 

 

Ricordo

Or che d’argento brillano i capelli

che sciorinati al sole mostri intenta

od agghindati con fermagli d’oro

e ruga nuova in volto mostri appena

che cancellare tenti col sorriso,

ti guardo e comparando gli occhi vado

a quelli d’una bambola lontana

che vidi un tempo scintillanti e dolci

sfiorarmi il volto e l’anima stupita.

Ti strinsi al seno e ti baciai sul collo

parole farfugliando senza senso

che furono gradite e corrisposte.

Le labbra si sfiorarono vogliose

e fu l’inizio d’una storia bella

che non cancella il tempo la memoria

e la mia mente spinse tra le stelle

anche se alto risplendeva il sole.

Quell’albero che vide tutto quanto

lungo quel viale ombroso della villa

racconta ancora quella prima volta

e si stupisce se mi vede solo.

Anche se bianchi sono i miei capelli

che fanno a gara con l’argento tuo

dimenticar non posso quell’istante

che mi legò per sempre al tuo volere

ed ora vivo sol vivendo teco,

sperando di non perderti per sempre

in questa vita che di morte aleggia.

 

 

 

La mia ascesa sull’Etna

Quando spinto d’ardor la cima ascesi

dell’antico vulcano che dormiva,

la fatica mi vinse esposto al sole

che perfido e violento mi colpiva,

sapendo forse ch’ ero d’acqua privo,

che persa avevo dal fiaschetto in panne.

D’intorno solo sabbia nera espulsa

dall’orrido cratere che fumava

e non sapevo cosa dover fare

per dissetarmi e prendere vigore.

Allor mi chiesi dove fosse andata

la neve che vedevo quasi sempre

guardando la montagna da lontano.

L’idea mi venne di cercala tosto

e presa la piccozza il nero mossi

e bianca apparve la nascosta neve.

Mi dissetai e conquistai la vetta

guardando il cline che scendeva a valle

dal sole dardeggiato fino in fondo

e “grazie” dissi grato alla montagna

che fu d’aiuto alla superba impresa.

 

 

 

Delusione

Lungo la proda

che portava in alto

una stella seguivo

con passione

che luccicar

vedevo all’infinito

ed era amore

che solcava il cielo.

Alfine la raggiunsi

e fui felice

d’offrirle quanto

più potevo dare

d’affetto

sogni e mitiche parole

che mi dettava

il cuore e la passione.

Non chiesi nulla

che non fosse affetto

d’amor perenne

e prono l’adorai

cingendole perduto

le ginocchia

come fosse

d’Olimpo la regina.

Sfuggì la stella

ed io rimasi solo

a contemplare il cielo

che svaniva

nel gorgo d’altre stelle

evanescenti.

 

 

 

Poesie ispirate alla pittura diGustav Klimt

 

 

 

L’abbraccio alla Klimt

Nell’intimo rumore di rintocchi

dell’anima che sfiora l’infinito

tra dorate pagliuzze rilucenti

che vestono le membra sublimate

un turbine s’affaccia di colori

che tingono d’arcano i sensi accesi.

La mente gioca e li riduce in briciole

di sogni evanescenti muti e roridi

d’amore palesato all’infinito.

Lontano il tempo proiettando scema

gli ardori del passato e li rimpiange

ma non cancella il ricordar suadente

l’immagine vissuta con passione.

 

 

 

Soffi scomposti

Soffi scomposti di perduti sogni

volteggiano nell’aria senza luce

e piovono le stelle ormai distanti

alle spalle d’un tempo ripudiato

tra bisbigli e fantasmi di pensieri

che brillano nel favo reso vuoto

del limpido liquore colorato

che più non stilla sulle foglie sparse

l’incanto di dolcezze ormai negate

dal tempo che trascorre e non perdona.

Non basteranno né parole nuove

né cantiche struggenti di rimpianto,

né versi convincenti e dolci frasi

né vivide sembianze di promesse

o vani sogni da riconquistare

all’ombra degli affusolati pioppi

che bucano la notte appariscente

e tracciano del vicolo la fine

che sa di morte e morte solamente.

Anche la luna sognatrice altera

lacrime piange sconsolata e sembra

piombar nel mare della mota amorfa

che grida al mondo il delirante scempio

di quell’attesa certa del disastro

e del baciar amorfo in alto sale

l’immagine scomposta del passato

che più non torna a rischiarar la vita.

Rivanga il tempo i risaputi amplessi

e la stillante ambascia li distoglie

dal vivido ricordo che sparisce.

 

 

 

Rimembranze

Non amai il tuo silenzio

e d’ignorarlo finsi,

ma l’assenza che saliva

la mente mi sconvolse,

che martellando immemore

il cuore mi confuse.

Non piansi perché forte

la forza sosteneva

l’orgoglio reso fiero

dallo sperare vano

e tacque fermo il tempo

nel riveder sorriso

che felpa lo nascose

con piume in nero tinte

e gli occhi appena schiusi

sotto l’ombrosa tesa

di provvido cappello

e di colore asperse

le gote appariscenti

nella scomposta chioma

che t’adornava il viso

e nulla mi rimase

del tuo sembiante muto

di nero circonfuso.

Il tempo non cancella

la storia che finì

e che nel tempo annega

pensieri non più vivi

che spigolando vanno

sul volto appena reso

nel quadro colorato

dei miei perduti sogni.

 

 

 

Il melo di Klimt

I frutti rosseggianti

che vedi sulla tela

a ciuffi tondeggianti

son vivida sequela

di splendidi pensieri

che sembrano le vele

d’intrepidi velieri...

Ma sono solo mele.

Lo stipite centrale

di rami onusto e foglie

in alto incede tale

da fa venir le voglie

di morderle gentili

nel pendere scomposte

al pari di monili

al cielo appena esposte

La luce che sommerge

al centro esuberante

ai lati si confonde

col verde prorompente.

Un quadro ne vien fuori

che mostra fantasia

intenerisce i cuori

e spande poesia.

 

 

 

Maternità di Klimt

Prorompe privo di pudico velo,

Il seno della madre genuflessa

e muti gli occhi rispecchianti il cielo

sul pargoletto mostrano la ressa

d’un sentimento che nel cuore anela,

quello d’affetto della madre stessa

che l’anima t’avvinge , l’odio gela

e mai d’amare intensamente cessa.

Sublime il quadro adorna la ricchezza

di scintillanti doni e di ceselli

che del pittore mostrano grandezza

e sono un misto d’oro e di pastelli

ma vincere non sanno la dolcezza

di madre e figlio resi ancor più belli.

 

 

 

Dipinto alla Klimt

Groviglio di colori affardellati

sul piano d’una tela

che sprigiona disegni cesellati

d’un corpo dalla torbida passione

con fili d’oro stesi a ragnatela,

appare nel contesto e sembra velo

di scena ardita, ma di rosa tinta.

Estroso emblema di vicende umane

nel vortice spavaldo alterno reso

ribolle della vita

e nella mente splende non sopito.

il semplice sfiorarlo con lo sguardo.

Cotanti segni avvinti dal colore

che luce li tratteggia,

riflettono lusinghe d’altri tempi

e scalpitante il cuore per amore

s’immerge nell’ascesa del sentire

rubando al tempo l’ansia d’un amore

e d’un sorriso sventolati appena

nel gorgheggiar di mitici disegni.

Superbo vola sulla tela vista

Il pensier mio sagace

e di restar godente più non tace.

 

 

 

La signora con ventaglio di Klimt

D’esile forma, nella tela esposta,

donna m’appare di sublime aspetto

in luce intensa di dorato mare,

di ninnoli cosparso e disegnini,

che l’occhio li rileva e li concilia

ai sensi accesi dell’ignudo seno,

ch’esotica bellezza lo nasconde

il mitico ventaglio galeotto.

Il collo estolle ed un kimono pende

sul corpo eluso che pudico rende

il viso oblungo dall’aspetto teso

e, di chi guarda, l’anima sommerge

d’estrosi desideri ed ampi segni

di vivido splendore e di calore.

 

 

 

La ballerina di Klimt

L’effimero danzare sulla scena

del solito superbo e vero artista

rivive nel contorno di colori,

che simbolici riflettono l’aspetto

di chi Narciso agogna di sembrare

e muta il corpo in quadro d’ammirare.

da chi fantasticando guarda e tace.

La danza resta solo nel pensiero

e resta impresso nello sguardo vivo

l’immagine che brilla e n’è motivo.

 

 

 

Dopo il bacio alla Klimt

Se mai d’amar vi capitasse fervido

di baci veri e dolci almanaccando,

vi resteran le briciole nell’anima,

quel grande sentimento ricordando.

Sopite le speranze e pur le voglie

non resta che baciarle, rubacchiando

il vivido ricordo d’un passato

che fu nell’oro fuso incastonato.

 

 

 

I Tarocchi dorati di Klimt

Enorme dalla tela il corpo emerge

di femmina distesa

nell’atto di mostrare le sue forme

che, sommerse restando nel colore,

risplendono vivaci

nel torbido pensiero di chi guarda.

che rudemente annega

nell’erotica essenza del piacere.

Di ninnoli cosparsi tutti in intorno,

che capolino fanno quasi dietro

al corpo ciambellato,

si notano i tarocchi che l’adornano

e turbano la mente di chi guarda.

Allor mi sembra di vedere muto

lo sguardo sorridente

del pittore che pennellando ammicca

e goda nel mostrare l’opra sua.

 

 

 

 

 

  Modesti dialoghi di sempre

 

La scala

D’un sogno all’alba timidando pende

l’impervia scala al cielo già poggiata

e tintinnante attende

che mi venisse incontro quella luce

del sole che compare all’orizzonte,

laddove il mare azzurro lo ricuce

all’etere felice,

ed ero ansante nell’andare in alto.

Sembrava d’oro la spavalda proda

di quella scala dalla lunga coda.

Girellano d’intorno

ruzzanti torme di fantasmi alati,

piombanti a caso dalla meta aliena

sul mare onusto e tornano sfamati

di pesci saltellanti sulla rete

d’un pescator colluso nella scena.

Talvolta il vento, turbinando l’onde,

l’urlare suo confonde

col torbido gracchiare degli uccelli.

Allor traballa il risicato appiglio

non più tenuto da sicuro ciglio.

Ahi quante volte ridiscesi i pioli

che risalir solevo lentamente

nel tempo di bonaccia

e deludente il cuor mi disse vano

il mio scalare improvvide montagne

e quante volte fusi pianto e riso

sul volto mio deriso

nel gorgo di pensieri e vaghe lagne,

che fecero di me pura cartaccia,

di quella che non serve proprio a niente,

ed il corpo distrugge e pur la mente.

Infine giunsi in cima della scala

quando la luce già scomparve in cielo

perché cadeva il sole dietro il colle,

lasciando inciso nella notte il gelo

ed io supino e molle

sul letto adorno di pensieri antichi

mi chiesi titubante cosa fare,

senza speranza alcuna

di ripigliar l’ascesa per la luna.

Non mi restò d’attendere silente

che l’ora della morte prorompente.

Stupenda mole di superbe lotte

avvolge l’uomo che nascendo vive

e poi sommerso tomba nella notte,

dove sbracate son le membra prive

di stimoli vivaci.

A nulla vale il suo campare eletto

e sollevarsi dopo ogni caduta,

poiché l’attende un monumento eretto

sulla matrigna terra fredda e muta.

Conviene allegra vivere la vita

e non passarla come un eremita.

 

 

 

Il mare e l’onda

Schiuma sono dell’onda,

che tra gli scogli ansanti

in rivoli si perde

e mille spruzzi in cielo

indomiti turbina,

del tuo profondo mare

ricco di perle ascose

ed alghe sempre verdi

nell’azzurrato specchio

della volta arcana,

che pullula d’uccelli

dal candido piumaggio.

Se l’uragano turba

l’acque pur dianzi chete

e fulmini e procelle

il cielo sversa torbido

e rullano le barche

In preda al vento alieno,

allora in alto salto

e scavallando prono

mi sciolgo e mi distendo

e valli ripercorro

o monti semoventi

e nulla mi trattiene

d’averti con furore.

Se tu silente e muta

d’accarezzar ti molce

il cuore e sciacquettare

il lido dolcemente,

rubando al tempo l’ore

del moto e del delirio,

allor anch’io mi calmo

e dolcemente annaspo

nell’acqua tra gli scogli

e muto resto in quiete

a contemplar supino

l’oro o l’argento vivi

che mostra alterni il cielo.

Le tue carezze stimoli

di sogni inconfessati

sublimano i miei sensi

e l’annegar m’è dolce

al ruvido contatto

delle scoscese rocce

o docile toccare

il morbido terreno

che sublimando baci

perché tua vita a me

s’addice e vita dona.

 

 

 

Lu falcu e la Muntagna

Sugnu patruni e dominu

di sta Muntagna ca lu celu annorva

e si cummogghia a voti di janchizza

e l’aria tingi sempri

di focu russu e nivura catrami.

Superbu supra l’arvuli mi posu

o supra li spuntuna di la roccia,

ca di ginestri gialli si rivesti,

unni la figghiulanza alata addevu.

Mi tummu comu fussi ‘n-angileddu

nto menzu di li vigni

a caccia di cunigghi e surciteddi

c’arrobbanu racina a non finiri,

ma mi la fazzu arrassu

di l’omu ca li puta e li cultiva,

pirchì mi spara cu’ la so scupetta

baddi di chiummu ca mi fannu mali.

Non sapi lu viddanu

lu dannu ca si fa cu’ li so manu,

ca si mi pigghia in chinu e m’arrumazza,

non pozzu fari chiù lu so camperi.

 

 

Il Falco e la Montagna

Sono padrone e re

di questo monte che nel cielo estolle

e si ricopre a volte di biancore.

E l’aria tinge sempre

di rosso fuoco e di rugoso fumo.

Superbo sopra gli alberi mi poso.

O sopra gli spuntoni della roccia

che di ginestre gialle si riveste,

dove allevo una caterva di figli.

Piombo come un angelo

tra i solchi dei vigneti

a caccia di conigli e topicini

che rubano dell’uva a piene mani,

ma me ne sto distante

dall’uomo che li cura

perché mi spara col suo schioppo palle

che mal mi fanno stare.

Non sa il villano il danno

che fa con le sue mani,

ché se mi colpisce e mi fa cadere

non posso più fargli da campiere.

 

 

 

Come sei...

Tal adesso m’appari

Regina dei miei sogni,

sublime nell’aspetto e nello sguardo,

perennemente corrucciato e triste,

muta pensando della vita il ciclo

che rulla nella mente ottenebrata

e sulle labbra immote si trasmette,

immemore di sogni accarezzati,

con opaco dolore senza fine.

Quel dolce sguardo che tremar mi fece,

superba teca d’amorosi sensi,

ancor trabocca d’attrazione viva

e fonte resta di piacere immenso,

che l’anima sconvolge e rende santa.

Il collo, il seno e l’amoroso tocco

delle tue mani vellutate agogno

nell’intimo desio

di carezze, profondi abbracci e baci

che danzano scomposti nella mente.

Fantastiche visioni

ed infinite brame

nel mio pensiero aleggiano scomposte,

quali colombe in cerca della pace

che planano veloci sopra il ramo

ch’è già sostegno d’accogliente nido

e non m’accorgo se di rughe il viso

che dici di notare nello specchio

t’adornano copiose

e se di grigio i tuoi capelli neri

cosparsi sono adesso ancor di più.

Lascia che scorra il tempo ed altri affanni

senza rimpianto alcuno

e non crucciarti di ciò che sarà,

perché ti voglio sempre come sei

finché la vita ci sarà concessa

ed anche dopo nell’estremo sito

che già scegliemmo per restare insieme.

 

 

 

Nostalgici desideri

Tu non ricordi forse quel che fu

il tempo che trascorse e sembra ieri,

quando bandiva il ciel i nembi neri

e radioso appariva l’avvenire.

Nell’impeto felice della storia,

d’amor ti cinsi un dì le gambe opime.

E della pelle ancor l’odor m’opprime

e brucia di ricordi il mio pensiero,

che la pace non trova nell’oblio.

Di godere non provo il Paradiso

al semplice sognare il tuo sorriso

che sempre più lontano e muto appare

e nel sentire la tua mano docile

accarezzarmi titubante il seno.

L’omaggio temo dell’addio terreno

condito di dolore e di rimpianto.

Soverchiano le stelle le mie lacrime

che rigano le guance di speranza

se solo penso al tempo che m’avanza

nel vivere infelice senza te.

 

 

 

Dopo lo scontro

Sobbalza l’eco di vittoria e morte

nelle convalli solitarie e vuote

financo delle zolle arate e smorte

dal calpestar di cingolate ruote.

Silenzio incombe per la triste sorte

delle persone che restaro immote.

colpite dal cannone crepitante

che fu feroce, barbaro e costante.

Il vincitor si gloria del successo

per la conquista d’una gente invitta,

che dell’orrore vide solo il nesso

di chi la volle schiava e derelitta.

Il vinto giace sotto il suolo stesso

che l’ebbe prima in posizione dritta.

Gustò la morte pure il vincitore,

ma dice che non prova alcun dolore.

Mi chiedo se non fosse stato meglio

a tavolo sedersi in santa pace

discutere, sentire e dar di piglio

ad un accordo senza tanta brace,

offrendo rose e qualche bianco giglio

che rende l’uomo duro più verace?

Infine è sempre uguale il risultato

di zucchero melato oppur salato.

 

 

 

L’effetto contrario

Echeggia con clamore non sperato

l’effetto d’un conflitto cadenzato.

Con esso si volea tener lontano

l’inciucio con la NATO in vero strano

ma tanto fu l’effetto del clamore

che subentrò d’acchito il gran terrore

di doversi soffrire solamente

il capriccioso agire d’un potente.

Allora gridan tutti con furore:

andiamo dalla NATO con amore.

Ottiene in questo modo il prepotente

di rendersi nemico della gente.

 

 

 

L’anomala pioggia

Allor che l’alba aderge

e strizza i cirri vagabondi a flotte

della fuggente notte,

e dal suo nido l’uccelletto vola

In cerca d’altre mete

nell’etere velato,

di fitta pioggia che rigando cade,

Il rintoccar frenetico si sente

sui vetri opachi, intrisi di sospiri.

Al di sopra dei tetti resi lindi

in lontananza appare

il mare cupo misto all’infinito,

che fonte fu d’ameno trastullare

tra l’onde chete del meriggio estivo.

Un altro giorno nasce neghittoso

su questo mondo sbrindellato e vano

al suono inverecondo

d’un cadenzato ticchettare ad arte,

che ripete l’umore d’incertezza

all'orizzonte apparso.

Le note fitte di danzanti suoni

fibrillano nell’aria e rondinelle

vaghe son del caduco spartito

della natura in pena.

Da qui seduto, alla finestra volto,

osservo il pianto di cadute stelle

e vola il mio pensiero

sull’ali dei ricordi

nell’etere svaniti

lasciando vuote le speranze antiche,

nella mota perite neghittosa.

Quali pensieri m’ispirò quel mare

d’azzurro tinto e dalle rocce cinto

e la Montagna accanto

dal pennacchioso fumo in alto volto,

che quasi lo sfiorai

quando l’ascesi giovinetto ancora.

Io non pensavo allora

Di stare immoto con la pioggia innanzi

e lamentarmi di perduta stasi,

ché l’aria greve mi pesasse pure

del chiuso albergo che l’età m’impone.

La rondine non vedo

che prima girellava sotto il tetto

dell’edificio che mi sta davanti,

né dei colombi il libero librarsi

nell’aria triste e cupa.

Solo d’un gatto scorgo

Il goffo ripararsi sotto un tiglio

e con l’ombrello aperto la Carmela,

che nella pioggia arranca...

Adesso suona e sento il cicaleccio

del campanello stridulo strillare.

La porta s’apre, salutando appena,

s’asciuga il viso e parla...

Del figlio mi racconta e della casa,

che locare dovette suo malgrado,

mentre mia moglie dorme

e fuori il vento suona litanie.

Prati sfioriti ed alberi ramosi

han dato luogo alle stoppaglie verdi

d’incolte zolle dalla pioggia arate

senza speranza di goderne i frutti,

perché del tempo ne mancò l’avvio

e nulla al mondo si vedrà solare.

Supremo resta il cantico di morte,

che cadenzato scende e tutto avvolge

nell’orrido cantare della pioggia,

apparsa quando meno si pensasse.

L’addio non resta di mostrare al mondo

e lacrime affiancare allo sversarsi

d’insulse gocce spigolose asperse

dal tempo inverecondo,

di fulmini foriero e d’altri tuoni.

 

 

 

L’ultimo addio

Or che nel seno dell’estremo ostello

la pace inonda di profonda luce

il colorato emblema del cesello,

all’oggi il tempo immemore ricuce

quanto sembrava un tempo bello

al limitar di vita sempre truce,

che lungi resta in quest’arcano sito,

dimentico del già passato mito.

Non più sorrisi e favolosi accenti

festose grida e ludiche emozioni,

si vedon nel sacello prorompenti,

ma semplici contesti di visioni

che mute stanno e dormono silenti

coperte dalle lapidi a festoni

del tempo, non più statico,volato

tra le fole struggenti del passato.

Felici nell’eterno abbraccio cinti,

come quando lo foste in questo mondo,

non saranno mai i vostri visi stinti

dal turbinare squallido e profondo

d’umani istinti dal delirio spinti

d’interessate beghe nello sfondo.

Esempio resti di futuro impegno

il viver vostro che ne fu disegno.

 

 

 

L’appello

Regalami d’affetto un solo istante,

uno soltanto vivo e palpitante

di quanti il tempo ne rinserra e face

nel seno ardente di combusta brace.

Allor rinascere vedrai l’amore

di fiamme scintillanti nel tuo cuore,

le favolose storie parallele

che stillano di zucchero e di miele

e scoprire nel cielo, reso azzurro,

i nembi neri tramutati in burro.

Null’altro chiedo a te che sei l’eletta

dal cuore che ti vuole e ti rispetta.

 

 

 

Mai più

Nella tua mente labile

di me non resti sparsa

nemmen di sogno briciola

dispersa nell’oblio

che più non colga immemore

un tempo già passato.

Se nella mente frivola

un giorno mai verrà

che comparir l’immagine

nel gorgo dei ricordi

vedrai di me che lacrime

sul mesto viso spanda

non ti crucciar di tergerle

con le pietose mani

o di baciarle tremule

perché mutato aspetto

ha quell’istante magico

quando tremante il cuore

nel petto reso torbido

bruciò per te d’amore.