Vitti ‘na crozza è un famoso canto popolare siciliano, forse quello che più simboleggia la Sicilia e le sue tradizioni musicali.
Venne interpretato per la prima volta dal tenore Michelangelo Verso e inciso su dischi Cetra.
Sul nome dell’autore ci sono molte incertezze, ma la maggior parte attribuisce a Franco li Causi di Agrigento la paternità della canzone.
Il brano fu interpretato da grandi cantanti tra cui l’indimenticabile Domenico Modugno, Carlo Muratori, Rosa Balistreri e la
cantante pop-rockGianna Nannini. La melodia siciliana è stata anche parte della colonna sonora del film Il cammino della
speranza di Pietro Germi.
“Vitti ‘na crozza” significa letteralmente “Ho visto un teschio sopra un cannone”.
La canzone, probabilmente cantata in tempo di guerra, racconta la storia del teschio di un uomo appena giustiziato, esibito al “pubblico” su una torre di guardia (cannuni). Il testo è ispirato alle usanze locali in materia di giustizia nell’800.
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Vitti 'na crozza: Storia di una canzone
Nel 1950 Pietro Germi si reca in Sicilia per iniziare le riprese del film “Il cammino della speranza” (Terroni, nell’ipotesi iniziale). Ad Agrigento incontra il Maestro Franco Li Causi al quale chiede di comporre “ un motivo allegro-tragico-sentimentale “ da inserire nel film. Nessuna delle proposte del Maestro soddisfa il regista, sin quando a Favara (mentre si svolgevano le riprese) un minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recita a Germi una poesia popolare, che comincia così: “Vitti ‘na crozzasupra nu cannoni / fui curiusu e ci vosi spiari / idda m’arrispunniu cu gran duluri / muriri senza toccu di campani.”
Germi, affascinato dai versi, chiede a Li Causi di musicarli. “La canzone entra di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. Verrà conosciuta la canzone, non l’autore della musica, non citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda: autore delle musiche, di tutte le musiche, risulta Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore”. Grazie al film e a un disco fatto incidere da Li Causi al tenore Michelangelo Verso questo “pezzetto sonoro” di Sicilia otterrà una diffusione internazionale.
Paradossalmente, il successo crescente del brano (molti altri incideranno la canzone, che sarà cantata anche da Domenico Modugno) non si accompagna al riconoscimento per l’autore della musica. Al contrario, la canzone, anche in pubblicazioni importanti, passa,erroneamente, per tradizionale, viene, addirittura, segnalata come “ un vecchio canto di guerra siciliano: lo cantarono gli insorti di Garibaldi nella spedizione dei Mille, lo cantarono i fanti siciliani, sul Carso, sul Pasubio, sul Piave”.
Francesco Giuffrida ci fornisce queste informazioni nell’articolo pubblicato sulla Rivista del Galilei del maggio 2009 (n.15). “Ma, scrive ancora Giuffrida, altre questioni ha fatto sorgere la nostra canzone: cosa vuol dire esattamente? Di cosa parla”?
“Vitti ‘na crozza potrebbe essere una ballata formata da tre o più canzoni di cui si sono perse varie componenti. Ma forse si deve proprio a questa possibilità di interpretazioni varie, a questo mistero, a questa serie di allusioni proprie di ‘Vitti ‘na crozza’ se il canto ha subito affascinato. Riporto qui qualche possibilità di interpretazione, che chi naviga in internet già conosce: il cannuni non è un cannone, ma una torre a cui venivano appese le gabbie coi condannati, fino alla loro riduzione in ossa consunte dalle intemperie e dal sole, perchè servissero da monito ed esempio. Ma in nessun dialetto della nostra Isola cannuni ha il significato di torre, torrione o simili; certo, possiamo trovare – per esempio a Mazzarino – l’uso di chiamare la torre del castello ‘u cannuni (il cannone); ma è quella torre a essere ‘u cannuni’ , non tutte le torri e, in ogni caso, la ‘crozza’ sarebbe ‘mpisa e non supra.
Il cannuni non è cannuni, bensì cantuni, che, nelle pirrere del trapanese – cioè nelle miniere, nelle cave – è un concio di tufo, di arenaria, ed anche il luogo di lavoro dei minatori; ricordiamo qui che il Cibardo Bisaccia era proprio minatore, ma dell’agrigentino. È possibile che, imparata la poesia nella provincia di Trapani o da qualcuno proveniente dal trapanese, abbia poi sostituito, in maniera del tutto automatica, il termine per lui senza significato con un termine più familiare.
Ipotesi affascinante – sposta l’attenzione dalla guerra a un disastro in miniera, frequente fino a qualche decennio fa in Sicilia – ma, proprio per l’assenza di raccolte di componimenti poetici, ormai difficilmente verificabile.
In ogni caso, sia che la poesia alluda a fatti di guerra o a disastri minerari o a condannati a morte, stona parecchio quell’assurdo ritornello, il famigerato tirollalleru che nei primi anni ’60 qualcuno infilò tra una strofa e l’altra, consegnando il canto alfilone più ‘turistico’ del folklore siciliano. Ritornello che male si accorda con l’impianto generale del canto, e che induce ad un accompagnamento che si discosta nettamente dalle prime esecuzioni, quelle per intenderci presenti nel film o registrate dal tenore Michelangelo Verso, più vicine agli intendimenti del Maestro Li Causi”.
Per concludere, ricordiamo che solo nel 1979 la SIAE riconobbe al Maestro Li Causi la paternità della musica.