Il Comune di Gangi si trova in Provincia di Palermo a 1011 metri sul livello del mare e conta circa 7.200 abitanti.
Il borgo è inserito in un paesaggio da sogno e appartiene al club dei borghi più belli d'Italia.
Una lunga tradizione storiografica identifica Gangi quale erede della mitica cittadina di Engyon.
da wikipedia
La zona dove sorge l'attuale paese è stata abitata fin dalla preistoria. Nelle rocce di quarzarenite lungo la vallata del fiume Gangi, sono state rinvenute tombe a grotticella risalenti al Neolitico. Sono visibili, anche, dei resti di un grosso insediamento indigeno di stampo ellenico e di altri centri minori della stessa epoca. Nessuno di questi indizi sembra accertare le ipotesi di presenza nel territorio delle antiche città di Engyon o Herbita.
Il centro urbano fu ricostruito nel 1300 sul Monte Marone a seguito della distruzione, avvenuta nel 1299durante la guerra del Vespro, del precedente centro abitato. Fin dal XIII secolo ha fatto parte della contea di Geraci di cui furono signori i Ventimiglia, successivamente il castello passò sotto il dominio dei Graffeo.
All’inizio del XVI secolo secondo i dati rilevati dal censimento di Carlo V, a Gangi c’era una popolazione di circa 3200 abitanti e più di 900 abitazioni.
Nel 1625 Gangi passa dalla signoria dei Ventimiglia a quella dei Graffeo che per volere di Filippo IV di Spagna, nel 1629 acquistarono il titolo di principi di Gangi e marchesi di Regiovanni. Nel 1677 il titolo passa ai Valguarnera.
Tra il Settecento e l'Ottocento a Gangi vengono edificati alcuni Palazzi nobiliari, fra i quali Palazzo Bongiorno, i palazzi Sgadari e Mocciaro.
A Gangi il 1º gennaio 1926, il prefetto Cesare Mori compì una durissima repressione verso la malavita e la mafia, molto presente nella zona, colpendo anche bande di briganti e signorotti locali. Usando metodi molto duri e violenti, tra i quali, anche l'uso di donne e bambini come ostaggi, che il valsero il soprannome di Prefetto di Ferro.
All'inizio del XX secolo ci fu una massiccia emigrazione verso il Sud America. Nel secondo dopoguerra, come nel resto del sud d'Italia, si è innescato un lento ma costante processo di migrazione verso le regioni settentrionali, ancora oggi in corso.
Il Castello di Gangi sorge nella prima metà del XIV sec. (1318-1340) per volere di Francesco I Ventimiglia, conte di Geraci. Il castello non è dimora abituale per i Ventimiglia, che preferiscono quello di Geraci e quello di Castelbuono. L’edificio, molto simile a quello di Castelbuono, appartiene alla famiglia Ventimiglia sino al 1625, anno in cui entra in possesso della famiglia Graffeo e qualche anno dopo alla famiglia Valguarnera. Nel corso del Seicento, l’antico maniero subisce numerose trasformazioni, tali da renderlo più un palazzo che un castello. Sede dei principi di Gangi, viene abitato dai Valguarnera in periodo estivo, sino a metà Settecento. Successivamente l’edificio rimane in stato di abbandono e viene utilizzato come carcere e poi come scuola, finché non viene acquistato dalla famiglia Milletarì, che tuttora lo utilizza come abitazione privata. L’edificio, sito nell’alto di una cresta che da più di 1000 m di quota sovrasta l’abitato e domina le due valli del torrente Rainò. Il castello, o meglio, l’ala che ne rimane presenta fondamentalmente invariato il suo impianto trecentesco, ma la stessa cosa non può dirsi della facciata, volta a sud-ovest sulla piazza Valguarnera, si eleva con due piani. L’ampio fronte contenuto fra due torri, apparentemente di epoche differenti, è scandito da due ordini di aperture, con robusto portale bugnato a piano terra, a sua volta sormontato dall’unico balcone del prospetto. Dalla parte opposta, coerentemente alle sue funzioni difensive, si affaccia sullo strapiombo settentrionale del monte Marone.
Tra i più antichi palazzi del paese, l'ottocentesco, palazzo Sgadari, già edificio privato appartenente all'omonima famiglia gangitana, oggi è di proprietà del comune. Dal 1995 il palazzo ospita il Museo Civico, nel quale sono conservati dei reperti archeologici di varie epoche antiche, ritrovati nel vicino monte Albuchia e a Gangi Vecchio.
Il Palazzo Bongiorno, poi Li Destri, è un edificio privato del secolo XVIII, sito nel centro dell'abitato, tra il Corso Umberto a nord e la Salita Matrice a sud, nei pressi della Piazza del Popolo. Il palazzo occupava l'intero isolato e venne edificato dalla famiglia Bongiorno nella metà del Settecento su altre strutture edilizie preesistenti. Oggi l'antico edificio si presenta piuttosto trasformato; benché conservi ancora la struttura originaria, non esiste più l'ampia terrazza che si affacciava sulla piazza né il corpo centrale che volgeva sul giardino pensile. A progettarlo è proprio uno dei proprietari: Gandolfo Felice Bongiorno. Egli, per decorare l’interno, chiama il pittore romano Gaspare Fumagalli, attivo a Palermo intorno alla metà del XVIII secolo. Una volta terminato diviene sede della “Accademia degli Industriosi”, importante centro di cultura. Nel 1828 si estingue il casato dei Bongiorno. Don Carmine, ultimo discendente, lascia tutti i propri beni all’Arcivescovato di Palermo. Nel 1856, i baroni Li Destri acquistano il palazzo ad un’asta. La facciata di prospetto volge a sud-est, e si presenta in eleganti linee architettoniche, ornata da un cornicione superiore e da due pilastri laterali in pietra intagliata, da una doppia fila di balconi con ringhiere in ferro battuto, ad anse ricurve, con rosoni, ed infine da ampio portale. All’interno, le stanze del primo piano non presentano decorazioni di rilievo artistico, mentre al piano superiore vi sono dipinti su tutte le volte: allegorie di soggetto sia sacro che profano (La Modestia, Il Trionfo del Cristianesimo, Il Tempo), racchiusi in un'elaborata cornice architettonica che si arricchisce di mascheroni, cartocci e medaglioni con vedute paesaggistiche. Nel 1967 il Comune di Gangi acquisisce l’immobile. Nei primi anni degli anni Ottanta si svolgono alcuni lavori di restauro e di consolidamento. Un ulteriore intervento si è da poco ultimato ed ha riguardato l’ala nord. Oggi, il palazzo è sede del Consiglio Comunale e di altri uffici.
Sorge nella piazza del paese ed è intitolata a S. Nicolò di Bari. Oggi è collegata con l'imponente torre detta dei Ventimiglia che, con le sue arcate, fa da vestibolo all'ingresso principale dell'edificio; un tempo però le due strutture erano separate e l'antica torre, oggi campanile della chiesa, svolgeva la funzione di torre civica. La chiesa Madre sorse nel XIV secolo con lo stesso titolo di S. Nicolò; a quell'epoca era formata da una sola navata e da un transetto sul quale si attestavano tre cappelle absidate. Nel corso del XVI e XVII secolo subì le prime trasformazioni che portarono all'allungamento del vano fino alla torre e all'ampliamento che consentì di creare tre navate. Ancora in questo periodo funzionava la "pinnata", portico coperto posto nel fianco meridionale della chiesa sotto al quale solevano svolgersi le riunioni cittadine. Un' ulteriore trasformazione nel corso del Settecento portò alla definizione della cappella sulla navata destra ed alla costituzione di alcuni altari. All'interno della chiesa è possibile ammirare il Giudizio Universale, capolavoro di Giuseppe Salerno (uno dei due Zoppo di Gangi) e varie statue dello scultore gangitano Filippo Quattrocchi. Interessante è l'Oratorio del SS. Sacramento, affrescato nel Settecento, e la cripta contenente le mummie di alcuni sacerdoti comunemente detta "a fossa di parrini".
La torre è una grande costruzione di forma quadrata, a tre livelli (21 m), sostenuta da 4 grossi pilastri, formanti un portico. Sul lato orientale è attaccata alla facciata di prospetto della chiesa Madre, costituendone il principale ornamento. I due livelli inferiori presentano finestre ogivali ad esili bifore. La torre è in stile gotico. Venne edificata nella prima metà del XIV secolo sulla base porticata preesistente che, probabilmente, funzionava da accesso alla città murata. In origine essa era isolata dalla chiesa (prima S. Sebastiano) e solo tra il XVII ed il XVIII secolo venne inglobata. La tradizione narra che durante la costruzione, essa ebbe dei cedimenti; per questo i maestri, temendo le ire del Conte Francesco I di Ventimiglia, scapparono, lasciando l’opera incompleta trasferendosi nella vicina Nicosia, ove portarono a compimento una torre simile. Varie furono le funzioni a cui la torre fu deputata nel corso dei secoli; alcuni studiosi la indicano come carcere del Santo Uffizio, per un periodo non precisato. Dal XVI secolo assolse funzione di torre campanaria. Nel XX secolo, la torre è interessata da tre campagne di lavori, tutte riconducibile alle indicazioni del Soprintendente della Regia Soprintendenza ai Monumenti di Palermo di allora, Francesco Valenti: 1925-’26: inserimento delle catene metalliche, realizzazione della copertura piana e risarcitura di molte fessure1955: i pilastri alla base vengono rivestiti con una nuova pietra; 1965-’69: distruzione degli antichi orizzontamenti a favore di solai in laterocemento. Nel 2005 è stato completato il restauro della torre.
Posto ai piedi dell'abitato in prossimità di un crocevia delle vecchie vie di comunicazione "trazzere". Centro di culto e di devozione allo Spirito Santo. L'interno del Santuario raccoglie diversi stili sebbene predominante sia il tardo barocco-quasi rococò. l'icona dello Spirito Santo è posta sopra l'altare maggiore e raffigura per l'esattezza la Trinità. un'incognita rimane su altri due strati di pittura presenti sotto l'attuale e più antichi.
Abbazia Benedettina costruita nel 1366, e successivamente divenuta masseria agricola, oggi abitazione privata. Nei pressi del fabbricato sono state rinvenute tracce di un insediamento di età tardo imperiale e medievale. Probabilmente il sito originario di Gangi.
La chiesa risulta fondata o ricostruita nel 1612. La parrocchia è ancora attiva e custodisce al suo interno alcune opere d'arte di autori locali. Tra le quali "Lo Spasimo di Sicilia" (1612), opera del pittore gangitano Giuseppe Salerno, noto con lo pseudonimo di Zoppo di Gangi. Il Crocifisso ligneo del frate francescano Frate Umile da Petralia. l'Angelo Custode (1812) e San Filippo Apostolo (1813) dello scultore gangitano Filippo Quattrocchi, San Francesco di Paola, l'Ecce Homo e il complesso scultoreo della Trasfigurazione di Cristo. La volta è stata affrescata da Salvatore Lo Caro nel 1810. Purtroppo gran parte degli affreschi sono stati persi a causa di un terremoto che ha costretto a ricostruire la navata, mentre rimane intatto l'affresco dell'abside, rappresentante il sacrificio di Isacco. La chiesa possiede anche un campanile con base ad intaglio, sormontato da una guglia conica rivestita da piastrelle colorate.