Nella nostra lingua siciliana manca il tempo futuro dei verbi e lo stesso è sostituito dal presente. Si parla sempre al presente ma mai al futuro. Perchè?
Questa è una delle tante singolarità della nostra lingua siciliana.
ALCUNE SINGOLARITA' DELLA LINGUA SICILIANA
IL FUTURO. Nel dialetto siciliano manca il tempo futuro dei verbi e ogni proposizione riguardante un’azione futura viene costruita al presente e il verbo si fa precedere da un avverbio di tempo (ad esempio, dumani vegnu ).
Asserisce in proposito Paolo Messina: <Come si può interpretare (quasi filosoficamente) questa anomalia? Ecco lo spunto per un nesso fra lingua e cultura, modi di essere e di pensare. E’ la consapevolezza storica dell’esserci heideggeriano a produrre la riduzione continua del futuro a presente, all’hic et nunc, e ciò nel pieno possesso del passato ormai definitivamente acquisito.
I siciliani sono padroni del tempo o, per dirla con Tomasi di Lampedusa, sono Dei.
Ma essere (o ritenere di essere) padroni del tempo può voler dire dominare mentalmente la vita e la morte, avere la certezza della propria intangibilità solo nel presente, un presente che si appropria del tempo futuro per scongiurare la morte, ombra ineliminabile dell’esserci. Quello che conta è il presente. Essere e divenire, insomma, nell’ansia metafisica si fondono o si confondono.>
Il raddoppiamento o la ripetizione di un avverbio (ora ora, rantu rantu ) o di un aggettivo (nudu nudu, sulu sulu) comporta di fatto due tipi di superlativo: ora ora è più forte di ora e significa (nel momento, nell’istante in cui si parla), nudu nudu è (tutto nudo, assolutamente nudo).
I casi di ripetizione di sostantivo (casi casi, strati strati ) e di verbo (cui veni veni, unni vaju vaju) sono speciali del Siciliano. Strati strati indica un’idea generale d’estensione nello spazio, un’idea di movimento in un luogo indeterminato, non precisato, tanto che non può questa espressione essere seguita da una specificazione, come strati strati di Palermo. L’idea di “ estensione” viene espressa dalla ripetizione del sostantivo, così originando un caso particolare di complemento di luogo mediante il raddoppiamento di una parola. La ripetizione del verbo si ha con la pura e semplice forma del pronome relativo seguita dal verbo raddoppiato. Cui veni veni intende chiunque venga, tutti quelli che vengono: il raddoppiamento del verbo, quindi, rafforza un’idea nel senso che la estende dal meno al più, la ingrandisce al massimo grado, anzi indefinitamente.
L’AUSILIARE. Come del resto è avvenuto in altre lingue, il verbo ESSIRI ha perduto, in favore del verbo AVIRI, le funzioni di verbo ausiliare. Per cui diciamo (aju statu, aviti statu), eccetera.
IL SUPERLATIVO. Diversamente a quanto accade nell’Italiano, la forma più frequente in Siciliano per rendere il superlativo è quella di far precedere l’aggettivo dall’avverbio “ veru ”. Sono altresì usati gli avverbi “ assai ” e “troppu”: veru beddu, troppu granni, eccetera.
LA PERIFRASTICA PASSIVA. Una ulteriore peculiarità della lingua siciliana, legata al Latino, è costituita dalla perifrastica passiva (da perifrasi: giro di parole, circonlocuzione ), che in Siciliano non è affatto perifrastica, che viene resa come in Latino, mutando però il verbo Essere in Avere. Infatti il Latino mihi est faciendum in Italiano si rende con la perifrasi io debbo fare, o altre consimili, mentre il Siciliano lo rende con aju a fari.
Da sottolineare inoltre il ripiegamento del (tempo) PASSATO PROSSIMO dei verbi in favore del passato remoto (ad esempio, chi dicisti? mi manciai na persica), e del (modo) CONDIZIONALE a vantaggio del congiuntivo (ad esempio, si lu putissi fari lu facissi, ci vulissi jiri).