«La sua arte, intese il compito di affrontare i problemi della vita additandone le miserie; egli cercò il dolore per stimolare la pietà e la riparazione sociale; fu poesia, fu opera altamente sociale.»
(Federico De Roberto)
Nato a Catania il 28 ottobre del 1841, Antonino Gandolfo manifestata ben presto la sua inclinazione all'arte, apprese i primi elementi del disegno dallo zio Giuseppe Gandolfo.
Nella sua famiglia oltre allo zio Giuseppe, garbato ritrattista della prima metà del secolo, si distinsero un altro zio Francesco, valente medico e buon letterato e il musicista Antonino Gandolfo, cugino del nostro, autore, tra l'altro, della Marcia Funebre eseguita a Catania in occasione dell'arrivo delle spoglie mortali di Bellini.
Nel 1860, preso dal desiderio di vivere in un ambiente più seriamente improntato ai valori dell'arte, il Gandolfo si recò a Firenze dove frequentò lo studio di Stefano Ussi, autore del troppo celebre quadro La Cacciata del duca di Atene , da cui trasse soltanto la scrupolosa cura del particolare, evidente soprattutto nelle prime tele.
Giovanissimo presentò il suo primo lavoro Il Trionfo d'Italia che, ispirato alla compiuta indipendenza della patria e accolto come la rivelazione di un eletto temperamento d'artista, gli meritò una pensione governativa rifiutata e le lodi di Vittorio Emanuele II che posò per lui. Il quadro lodato dal Carducci dovette essere un inno, non pittura. [...]
Gli scriveva il Carducci in data 24 novembre 1861: "Ella... aggiungerà onore all'Italia e alla più bella e classica isola. Se Ella alla stagione nuova va in Firenze per ragion di studio e vi si trattiene, facilmente avrò il piacere di rivederla nella prossima estate: piacere che io affretto col pensiero ansiosamente. Intanto La si ricordi di me; e dove io possa servirla se ne giovi pure"(Lettere, vol II: 353. Edizione Nazionale delle Opere di G. Carducci, Bologna 1939).
A Firenze il Gandolfo dovette venire a conoscenza della nuova maniera pittorica dei macchiaioli e dovette affinare il suo gusto accostandosi alle tele dei grandi maestri, a quelle di Raffaello, del Correggio, e di Tiziano. Ma il nostro pittore, tentato prima da mille seduzioni che lo avevano spinto a lasciare la sua città, aveva finito con lo stancarsi e con il desiderare di ritornare alla sua terra. E qui tornò definitivamente con la ferma intenzione di continuare da solo la via intrapresa verso cui si sentiva decisamente portato.
Tornato a Catania nel 1861, il Gandolfo, erede di un cospicuo censo, continuò il suo iter pittorico più per diletto che per guadagno: molti suoi quadri furono infatti regalati.
Perduta la prima moglie e poi, per croup difterico, il figlio avuto da lei, Luigi, sposò in seconde nozze Maria Grancagnolo, che spessissimo posò per lui e da cui ebbe quattro figli. Insegnò nella Scuola d'Arte e Mestieri e amò tanto vivere in disparte che, schivo di ogni plauso o lode, rifuggì dagli onori che non gli fossero meritatamente offerti.
Espose con successo alla Mostra di Belle Arti nella II Esposizione Agricola Siciliana del 1907, di cui fu vicepresidente. Ormai però la salute cominciava ad abbandonarlo.
Ammalatosi agli inizi del 1908, morì il 21 marzo del 1910. La Sicilia del giorno dopo annunciava la morte del Chiaro pittore Prof. Antonino Gandolfo, onore e vanto di Catania. Anche il Corriere della Sera (Milano, 1° aprile 1910) ed il Giornale d'Italia (Roma, 26 marzo 1910) riportarono la notizia della sua morte.
Nel 1939 gli fu dedicata una intera sala del Castello Ursino nella Mostra Retrospettiva della Pittura Catanese.