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Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale a Catania

Il Centro storico diventa magico

 da: LaRepubblica.it

 

Tra i palazzi della Catania barocca si consuma il dramma di un uomo. Antonio Magnano, giovane di famiglia alto borghese, affascinante e corteggiato, non riesce a consumare il matrimonio con la bella moglie Barbara Puglisi della quale è profondamente innamorato.

L' impotenza di un Magnano, sulla cui mascolinità nessuno aveva mai osato dubitare, distrugge le certezze del padre Alfio (Pierre Brasseur), federale ai tempi del fascismo, frequentatore di bordelli e sedicente «sciupafemmine».

 

Una fine drammatica come drammatico è il film, "Il bell' Antonio" (sceneggiato da Pier Paolo Pasolini e Gino Visentini) attraversato da una venatura di sottile ironia che mette in ridicolo il mito dell' uomo forte e le incrostazioni culturali di certa borghesia siciliana.

 

 

Il regista Mauro Bolognini affida la parte dei protagonisti ai «bellissimi» del cinema italiano, Marcello Mastroianni, allora trentacinquenne, e Claudia Cardinale, all' inizio della carriera. Rispetto al romanzo di Vitaliano Brancati (scritto nel 1949 e ambientato nella Catania fascista), Bolognini sposta la storia (rimaneggiata in più parti) nel periodo a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, tempi in cui il mito del maschio resiste ancora, soprattutto nella capitale del «gallismo» siciliano.

Per l' ambientazione sceglie gli angoli più suggestivi del centro storico. Basta affacciarsi dalla terrazza del palazzo settecentesco di via Vittorio Emanuele, che nel film appartiene ai Magnano, per capire come la scelta di Catania si riveli felice. Un «giardino di pietra» costruito dopo il terremoto del 1693, ammantato dalle atmosfere magiche della pellicola in bianco e nero: la sagoma dell' Etna, le cupole delle chiese, i tetti delle case, il duomo che si affaccia sulla piazza dove spiccano i palazzi progettati dall' architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini, l' obelisco con l' elefante e la via Etnea, quattro chilometri di raffinato barocco.

La storia inizia alla stazione di Catania. Antonio Magnano proveniente da Roma, dove ha vissuto per qualche anno, torna nella sua città. Antonio si incammina verso la casa di famiglia costeggiando la marina, il palazzo dei principi Biscari, fino a porta Uzeda, dal nome dei viceré spagnoli che governarono la città. Poco dopo arriva a piazza Palestro dove si erge porta Garibaldi, un arco di pietra nera inframezzato da blocchi di pietra bianca eretto nel 1768. Siamo nel popolare quartiere Fortino. Cammina ancora. Adesso la macchina da presa inquadra la chiesa della Madonna del Carmelo in piazza Carlo Alberto, nel film completamente vuota, nella realtà sede del pittoresco mercato della «Fera 'o luni». Tra sporadiche Seicento e qualche tram in lontananza, giunge nella casa di famiglia. La dimora dei Magnano è al secondo di un palazzetto di tre piani. A pianterreno si intravedono la pasticceria Reale, un negozio di mobili e di ciclomotori (ormai scomparsi). Sullo sfondo una scritta, "Vespa". Dal balcone accanto si affaccia la moglie dell' avvocato Ardizzone: «Signor Alfio, ho saputo che suo figlio è tornato dalla capitale». Poco dopo ecco anche la figlia (l' attrice Fulvia Mammi), da sempre desiderosa di sposare Antonio. E poi dal piano di sotto il senatore. Tre balconi che nel film hanno un ruolo importante.

All' epoca proprietari dell' abitazione erano i Gemma, benestanti catanesi concessionari della Piaggio. Alberto Gemma aveva 18 anni: «Un giorno si presentarono a casa il regista Mauro Bolognini e il produttore Alfredo Bini, patron della casa Cino Del Duca, che chiesero il permesso di utilizzare l'appartamento per gli esterni. Evidentemente il nostro edificio, all'angolo fra la chiesa di San Placido e i palazzi di via Vittorio Emanuele, faceva al caso loro. "Inutile dire", spiegò Bini, "che la produzione pagherà il disturbo". "Non vogliamo soldi", disse mia madre. "Chiediamo soltanto la presenza di Mastroianni e della Cardinale nel negozio: vorremmo fotografarli a bordo delle Vespe". Il produttore rimase di stucco, l'affitto di una casa per girare un film veniva pagato profumatamente. Dopo mezz' ora mandò cinquanta rose gialle. Nella sede centrale della Piaggio quando videro le foto non credettero ai loro occhi. Le pubblicarono sulla loro rivista, anche in copertina. Il cast stette una settimana e mia madre non faceva mancare i cannoli.

La Cardinale era molto riservata, ma anche molto simpatica. L' amicizia durò anche dopo: per tanti anni, in occasione delle feste, ci fu un intenso scambio di biglietti di auguri. A Mastroianni andò la mia stanza per i riposini pomeridiani. A Pierre Brasseur, simpaticissimo e bravissimo attore, faceva trovare una bottiglia di vino che lui tracannava in pochissimo tempo. Ogni tanto veniva anche Tomas Milian, che interpretava il cugino di Antonio».

Ma torniamo al film. Dopo il fidanzamento fra Antonio e Barbara, muore il nonno della ragazza. Tre i luoghi scelti per il funerale: piazza Duomo, via Etnea, piazza Università. In una atmosfera crepuscolare si scorge il bar Duomo, l'antica gioielleria Avolio e la sede dell'Ateneo catanese. Il corteo procede lentamente, le donne affacciate ai balconi osservano Antonio: «Quant' è bello». Barbara nasconde il volto con il velo nero. Improvvisamente la bara scivola per terra e Bolognini è costretto a ripetere la scena. A ricordare questo particolare sono due comparse, Roberto e Aldo Pistorio, allora di 16 e 8 anni: «Nostro padre ci portava sempre a fare le comparse. Faceva il cuoco ma partecipava a tutti i film che venivano girati a Catania». Dopo il funerale Antonio e Barbara si sposano. La scena viene realizzata fra le colonne incompiute della solenne chiesa di San Nicola, in piazza Dante. Quando Goethe la visitò restò incantato dall' organo di Donato Del Piano: «Non vi è cosa più solenne, più profonda, più maestosa di questa». Oggi l'organo non esiste più. Saccheggiato negli anni. Un'immensa luce bianca penetra dagli ampi finestroni e si espande fra le tre navate della chiesa.

Il dramma fra Antonio e Barbara si consuma in una bellissima villa dove la coppia va a vivere, è nella parte alta della città, era dell' ex sindaco di Catania, Papale: allora era circondata da aranceti, oggi è soffocata dal cemento. Fra Antonio e Barbara un anno di carezze, di baci, di parole d'amore. Nient'altro. La notizia arriva all'orecchio del notaio Puglisi, padre della ragazza, che mediante lo zio monsignore riesce a fare annullare il matrimonio e a combinare le nuove nozze con il duca di Bronte.

La madre di Antonio, in un disperato tentativo di riconciliazione, parla con Barbara. Il colloquio avviene nella sagrestia della chiesa di San Giuliano, in via Crociferi. Il fallimento della discussione sancisce la rottura definitiva fra le due famiglie.

Ad attendere Rina Morelli sul sagrato c'è il marito infuriato: «So io come parlare ai Puglisi». Attende il monsignore ed entra con lui nel convento dei gesuiti che si trova di fronte. L' ex federale accusa la Chiesa di ipocrisia. Il battibecco si svolge nel suggestivo chiostro, con il pavimento di ciottoli bianchi e neri.

La via Crociferi è l'angolo più incantevole del centro storico. Piena di chiese, di monasteri, di palazzi nobiliari, ha ispirato grandi scrittori come Verga, De Roberto e Brancati. Tutto è immerso in un'atmosfera irreale fatta di putti, di mascheroni, di cariatidi, di ricami pietrificati. Stefano Valastro ha 72 anni e fa il ciabattino. Si siede sui gradini della bottega e comincia a parlare: «Quando fu girato il film il responsabile della chiesa di San Giuliano era padre Consoli, un frate che faceva anche l'esorcista. Qui per gli esorcismi venivano anche dalla Calabria. Un paio di persone nerborute accompagnavano i posseduti dal diavolo, venivano chiuse le porte e dopo un po' si sentivano grida disumane. Succedeva quando Satana veniva cacciato dal corpo». Poi Barbara si sposa con il duca di Bronte. Dopo la cerimonia gli sposi salgono in macchina. Tutto si svolge con il magnifico sfondo del palazzo aristocratico degli Asmundo. La macchina costeggia i manufatti della via Crociferi. Improvvisamente appare Marcello Mastroianni, statuario, bellissimo, triste. Che attende il passaggio di Barbara in una via Alessi lastricata con le strisce di basalto lavico (poi trasformate in scalinata). Lo sguardo di lui incrocia quello di lei. è la scena più struggente del film. Lui innamorato e disarmato, lei ineffabile e corrucciata. Antonio accompagna con lo sguardo la macchina, poi percorre la via con la morte nel cuore, mentre centinaia di curiosi osservano la scena.

Antonio Di Grado, oggi docente di Lettere all' Università di Catania, nel '59 ha dieci anni ed è affacciato al balcone con lo zio. Sta lì dalla mattina alla sera: «Il film consolidò la cultura interclassista del centro storico: nei piani bassi gli artigiani, in quelli medi la borghesia, in quelli alti i nobili. Tutti assistevano alle riprese.

Affacciato al balcone c'era anche un barbiere. Aveva una storia incredibile: essendosi ammalato da giovane, aveva promesso a Sant' Agata che se fosse guarito avrebbe sposato una prostituta. E così fece». Ormai sono le ultime scene del film. Il vecchio federale smaltisce la vergogna in un bordello. Va al vecchio San Berillo, il quartiere delle prostitute, da sempre ritrovo di militari, ragazzini, anziani e gente sposata. La scena viene girata dal vivo. Pierre Brasseur attraversa le stradine sconnesse, via delle Finanze, via Maddem, via Di Prima, sale le scale, va da Mariuccia, una vecchia conoscenza. Muore dopo «l'adempimento del proprio dovere» fra le braccia della donna, mentre pronuncia l'ultima frase della sua vita terrena: «Tutti dovranno sapere che a sessant'anni suonati Alfio Magnano andava ancora a donne».