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Il cinematografo dei fratelli Lumière era nato nel 1895. A Catania nei primi anni del '900 sorsero varie case di produzione cinematografica: Morgana Film, Etna Film, Katana Film, Sicula Film, Jonio Film. Salvatore Lo Presti, in un articolo apparso su La Sicilia del 1° marzo 1978, scrive che nel 1914 Catania era una capitale del cinema europeo. Infatti, com'è scritto sulla Enciclopedia di Catania edita da Tringale, non c'è storia del cinema italiano e mondiale (vedi la monumentale Storia generale del cinema di Georges Sadoul) che non citi tra i primi capolovari il film Sperduti nel buio, considerato il primo film realista della storia, un precursore del realismo russo (Eisenstein, Pudovkin), francese (Renoir, Carnè, Duvivier) ed italiano (quello che diede fama e lustro al nostro cinema dopo la seconda guerra mondiale). Sperduti nel buio, ricavato dall'omonimo dramma di Roberto Bracco (1901), fu prodotto nel 1914 dalla Morgana Film di Catania e diretto da Nino Martoglio. Protagonisti principali erano Giovanni Grasso senior e Virginia Balistrieri. Ma della pellicola, purtroppo, non è rimasta alcuna copia.
Della Morgana Film, oltre al citato Sperduti nel buio, si ricordano: Capitan Blanco, diretto da Nino
Martoglio e con protagonisti Giovanni Grasso e Virginia Balistreri; Teresa Raquin (da Zola), anche questo
citato nella storia del cinema, diretto da Martoglio ed interpretato dalla grande attrice teatrale Teresa Pizzana.
L'Etna Film produsse oltre 100 films; di essi si ricordano Il benefattore e Il
Marchese di Roccaverdina entrambi di Capuana, Capo rais diretto da Nino Martoglio ed
interpretato da Giovanni Grasso, L'acrobata diretto da Giuseppe De Liguoro e dal commediografo catanese Pippo Marchese.
Particolare menzione meritano Christus e Il cavaliere senza paura: il primo un
colosso, perchè girato con centinaia di comparse, il secondo perchè proiettato al Teatro Massimo Bellini in una serata a beneficio dei
superstiti di Linera.
Della Katana Film si ricordano, tra gli altri films, Il latitante e La guerra e la moda
(entrambi con la Balistrieri), della Sicula Film La fidanzata dell'Etna, Pane nemico
e Present'arm (con Elvira Radaelli), della Jonio Film Valeria.
In relazione alla storia del cinema di quegli anni va ricordato che un meccanico dell'Etna Film, Francesco Margiunti, inventò due regoli calcolatori per la
perforazione della pellicola negativa e positiva, ora conservati al Museo del cinema di Torino.
L'inserimento di Catania nella produzione cinematografica italiana, tuttavia, durò solo pochi anni, fatta eccezione per gli isolati tentativi di Ugo Saitta nel 1935
con Clima puro e nel 1971 con Lo voglio maschio, interpretato da Tuccio
Musumeci.
Catania in ogni caso è stata ripetutamente scelta per girarvi films, ricavati particolarmente da romanzi ed autori catanesi come Verga (il capolavoro
La terra trema di Visconti), Brancati (Anni difficili di Zampa con Umberto
Spadaro, Il bell'Antonio di Bolognini, Don Giovanni in Sicilia di Lattuada,
Paolo il caldo di Vicario, La governante di Grimaldi con Turi Ferro), Patti (Un bellissimo
novembre di Bolognini, La cugina di Lado e La seduzione di
DiLeo).
Notevole è stato l'apporto dato in tutti i tempi al cinema italiano da attori catanesi di nascita o d'elezione: oltre ai Musco, Grasso,
Balistrieri ed Anselmi, vanno ricordati Umberto Spadaro, Turi Ferro, Tuccio
Musumeci, Gilberto Idonea, Turi Pandolfini, Michele Abbruzzo
e Saro Urzì, che per l'interpretazione di Sedotta e abbandonata di Pietro Germi ottenne il massimo riconoscimento al
Festival di Cannes.
Giovanni Verga ebbe un rapporto intenso con il cinema, scrivendo soggetti, elaborando didascalie, fornendo idee. Lo scrittore, però, considerava il cinema arte di secondo piano, espressione di lega bassa, e vedeva nel grande schermo solamente una fonte di rapido e facile guadagno. Celebri sono le lettere indirizzate al produttore e regista napoletano Nino Martoglio, in cui Verga, sempre a corto di denaro, chiede di scrivere una storia qualsiasi a patto che il suo nome non compaia mai. E' per questo che non è facile rintracciare il suo diretto coinvolgimento in un'opera.
Il cinema italiano ha spesso preso ispirazione dall'opera di Verga, a partire da Luchino Visconti che gira La terra trema (1948), uno dei capolavori del neorealismo ispirato a I Malavoglia, ambientato tra i pescatori siciliani, opera di potentissimo impatto che sconfina continuamente nel documentario etnografico. Viene girato con attori non professionisti, che si esprimono in uno strettissimo dialetto tanto da costringere la produzione a far uscire copie del film doppiate e, quindi, più accessibile al grande pubblico.
Nel 1953 Alberto Lattuada gira La Lupa trasportando l'azione dalla Sicilia del secolo scorso, a Matera negli anni cinquanta. Il film, interpretato dall'attrice algerina Kerima, è forse l'adattamento più fedele allo spirito verghiano. Se Visconti era troppo impegnato a perseguire l'estetica neorealista, Lattuada si concentra sui sentimenti, sui rapporti violenti e un pò malati di una figlia e di una madre, la Lupa appunto, innamorata del genero, che finiranno in tragedia con il suicidio della protagonista.
Franco Zeffirelli si ispira a Storia di una capinera per l'omonimo film del 1994, ma il regista fraintende completamente il romanzo privandolo di ogni implicazione storica e sociale, battendo solo la strada dell'amore sfortunato e tragico a uso esclusivo del popolo delle telenovelas.
L'ultimo adattamento verghiano è del 1996, una nuova versione de La Lupa diretta da Gabriele Lavia che può permettersi, grazie ai tempi, una libertà totale nel ritratto della protagonista, l'attrice Monica Guerritore, sempre sull'orlo dell'eccesso, ma che ha proprio nella scelta esclusivamente sensuale il suo limite.
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