da touringclub.it
Potenza di un aggettivo, come dire, vulcanico. “Etneo” viene detto tutto ciò che sta sopra e sotto le pendici dell'enorme vulcano siciliano, ma quando si parla di “città etnea” e di “via etnea” il pensiero va in una sola direzione: quella del capoluogo e della sua splendida strada
principale, ovvero di Catania e di quella meraviglia urbanistica e artistica che è la sua, appunto, Via Etnea.
Una strada senza uguali in Italia: tre chilometri rettilinei e in leggera salita, lungo cui
scorrono le varie anime di una città fiera e operosa, mordace e fantasiosa, collegando idealmente il mare alla Muntagna. E pazienza se questa arteria longitudinale in principio si chiamava via
Duca di Uzeda, e in seguito pure via Stesicorea.
LA STORIA DI VIA ETNEA
Una bisettrice che pare tracciata con il righello su una mappa bianca può nascere solo se è stata fatta tabula rasa di quanto c'era prima. Che è proprio
quanto accadde nel gennaio 1693, quando il più forte terremoto mai registrato sul territorio italiano(7,4 gradi Richter) rase al suolo Catania,
demolendo 2500 anni di storia e uccidendo 16mila dei 30mila abitanti. Le macerie erano talmente estese che la città venne completamente ripensata, fatta risorgere dal nulla. E il volitivo
palermitano Giuseppe Lanza duca di Camastra, inviato del vicerè spagnolo Juan Francisco Pacheco duca di Uzeda, ebbe questa intuizione avveniristica: strade spaziose e tracciate secondo direttrici ortogonali, un asse principale che partendo dal Duomo avrebbe
puntato diritto da sud a nord, verso l'Etna (quasi a dare la possibilità di tenere costantemente sott'occhio la montagna tanto amata e tanto odiata), e poi tante piazze monumentalidove la popolazione avrebbe potuto raccogliersi nel caso di un nuovo sisma.
Un altro palermitano, il giovane architetto Giovanni Battista Vaccarini,
avrebbe poi dato un'esuberante forma barocca a tante facciate di chiese e palazzi oggi tutelate nel Patrimonio Unesco (ma quanto dev'essere difficile difficile da digerire, per un
catanese, che la fisionomia della città sia stata impostata da due palermitani?).
Via
Etnea a Catania durante la festa di Sant'Agata - foto R. Copello
VIA ETNEA, UNA VETRINA DI CATANIA
Oggi così percorrere la Via Etnea, opportunamente ripavimentata in pietra lavica, significa
sia immergersi nello splendore barocco di una città concepita in modo omogeneo, sia
prendere atto della sua evoluzione storica. La Via Etnea, così, è anche una vetrina che rispecchia le
varie anime di Catania, via via barocca, ottocentesca, liberty e contemporanea. Una via simbolo di una Catania attiva, giovane, pronta a socializzare e ad aprirsi alla modernità, ma anche della Catania che
conta, dei palazzi ancora di proprietà di nobili catanesi. Una strada dove le pasticcerie storiche si alternano alle boutique firmate, o sono sostituite da queste (i cambi di destinazione d'uso
sulla Via Etnea richiederebbero un libro).
L'isola pedonale, totale da piazza del Duomo ai Quattro Canti e parziale poi fino a Villa Bellini,
facilita il passeggio e lo shopping. E anche per questo, dagli anziani catanesi alle famigliole con bambini, dagli studenti universitari agli immigrati africani, dai turisti quotidiani ai devoti
di sant'Agata che la invadono durante le processioni di febbraio, c'è sempre una buona ragione per
ritrovarsi sulla Via Etnea, baricentro della geografia cittadina.
Via
Etnea a Catania, delimitata dai due punti rossi - da Google Maps
L'INIZIO DI VIA ETNEA: PIAZZA DEL DUOMO
Chi vuole esplorarla tutta con raziocinio, però, rischia di non avviarsi mai: la Via Etnea infatti
inizia in una delle più armoniose piazze italiane, quella del Duomo, dove le attrazioni sono tali e tante che invitano a trattenersi tutto il giorno. A partire dalla statua di lava del
Liotru, l'enigmatico elefante simbolo cittadino, sulla cui groppa Vaccarini installò un
obelisco egizio. A est, sempre Vaccarini firmò le facciate della Badia di Sant'Agata, con il suo acrobatico gioco di forme concave e convesse, e del Duomo di Sant'Agata, dove alternò pietra lavica e marmo bianco.
Proprio il Duomo dà accesso ai luoghi più cari ai catanesi, la cappella con le reliquie di
sant'Agata e il favoloso tesoro della patrona (ma in chiesa c'è anche il sepolcro del musicista Vincenzo Bellini). Facendo girare lo sguardo in senso orario, ecco
il Museo Diocesano, fondamentale per capire l'anima religiosa e artistica di Catania (le
raccolte comprendono il fercolo di sant'Agata, ovvero la “macchina” usata per portarne le reliquie in processione) e per avere dal tetto panoramico una veduta d'infilata del canyon urbano della
Via Etnea.
A sud, la Porta Uzeda (intitolata proprio a quel vicerè spagnolo) fa da raccordo con l'Antico Seminario dei
Chierici, consentendo l'uscita verso il mare attraverso i resti delle mura di Carlo V. Quindi, il lenzuolo d'acqua della popolarissima Fontana dell'Amenano, il misterioso fiume sotterraneo di Catania, introduce a quella specie di souk arabo che è
la Pescheria, il famoso mercato per il quale, fra pesci spatola e gelatina di maiale, è
concesso rispolverare un aggettivo in genere abusato: pittoresco. Verso ovest, la piazza è chiusa dai Palazzi Sammartino Pardo e Zappalà. E verso nord è ancora del Vaccarini la facciata meridionale del Palazzo degli Elefanti, sede municipale, le cui sale interne varrebbero da sole un
articolo. Ma è tempo di inoltrarsi lungo la Via Etnea, che s'avvia proprio dall'angolo del Municipio.
Piazza
Duomo a Catania - foto Thinkstock
I PRIMI METRI: IL CAFFE' E L'UNIVERSITA'
Neppure il tempo di fare venti passi, e già le vetrine sulla destra invitano a una sosta: sono quelle del café Prestipino, dal 1976 una istituzione (anche se il locale storico è quello in corso delle Province), dove
entrare per un arancino e una crispella di riso, oppure, nei giorni della santa patrona, per le olivette e le minnuzze di sant'Agata. Pochi amano ricordare che qui un tempo c'era una succursale
della Pasticceria Svizzera Caviezel (la ritroveremo oltre), dove in altri tempi il boss mafioso Nitto Santapaola senza farsi problemi faceva colazione con una granita con panna.
Altri cinque passi, e già si allarga un'altra piazza: fosse mai, dovette pensare il Duca di
Camastra, che quella del Duomo non bastasse in caso di terremoto. E' la Piazza Università, su
cui s'affaccia infatti il Palazzo dell'Università, che dal '700 ospita il Rettorato e una favolosa biblioteca. Si tratta, del resto, del più antico ateneo siciliano, fondato da Alfonso V d'Aragona nel 1434. Sarà per questo che Vaccarini qui
non badò alla forma (la facciata) ma alla sostanza (gli interni). Sul lato opposto della piazza, un altro bel palazzo ospita dal 2005 gli studi di Radio Zammù, laboratorio radiofonico per gli studenti universitari: Zammù come la bibita all’anice venduta nei
chioschi catanesi, ma anche un acronimo siculo-inglese che sta per iZAuaMaddMaddUnivessiti – It's our mad mad university.
Piazza
dell'Università a Catania, lungo via Etnea - foto Thinkstock
LE CHIESE DI VIA ETNEA E I RICORDI LETTERARI
Poco oltre Piazza Università, la sequela delle chiese della Via Etnea ha inizio con la più rilevante, la basilica Collegiata, cui seguiranno le chiese dei Minoriti, San Biagio, Ss. Sacramento al Borgo, infine Sant'Agata al
Borgo. Proprio nella Collegiata, punto di sosta fondamentale nell'estenuante processione che chiude il triduo di sant'Agata, Vitaliano Brancati, in quel capolavoro di malinconico erotismo siciliano che è Il
Bell'Antonio, ambienta il matrimonio del protagonista Antonio Magnano, il fascinoso catanese
che sullo schermo avrà il volto di Marcello Mastroianni. La chiesa ostenta una vertiginosa facciata a
campanile con la quale nel 1768 il polacco Stefano Ittar mostrò che si poteva stupire ancor più del Vaccarini: purtroppo oggi sembra riscuotere più attenzione la profumeria dirimpetto, che sta più o meno dove le bombe della seconda guerra mondiale devastarono la
vistosa Gioielleria Agatino Russo e figli, capolavoro dell'eclettismo liberty catanese firmato da Carlo Sada. Lungo la Via Etnea, insomma, ogni angolo ha la sua storia.
Adiacente alla Collegiata, il Palazzotto Biscari, altro gioiello del Vaccarini, fu anche il
cuore della Belle Epoque etnea: sul suo retro nel 1890 i fratelli svizzero-catanesi Giovanni e Giorgio Tscharner aprirono la leggendaria Birraria (con la a) Svizzera. Scriveva nel 1899 la Guida
del viaggiatore di Crescenzio Galatola: «Della vita catanese, assai più che i caffè, sono importantissimi
fattori i Circoli, ove sia di giorno che di sera si riuniscono i soci che ne fanno parte: la Birraria Svizzera... dà un'idea della vita di caffè delle città del continente. È molto
frequentata; essa per Catania è il Caffè Aragno di Roma e il Diana di Milano». E infatti nei suoi due
saloni Liberty si ritrovavano intellettuali come Verga e Capuana, De Roberto e Martoglio. Luoghi di ritrovo sempre affollati in una Catania ove, a dar retta a Brancati, “i discorsi sulle
donne davano maggior piacere delle donne stesse”.
La
Collegiata lungo via Etnea a Catania - foto Thinkstock
I QUATTRO CANTI E PIAZZA STESICORO
Poco dopo, eccoci ai Quattro Canti, scenografica intersezione fra la Via Etnea e la via di
Sangiuliano, al crocevia ottagonale di quattro palazzi barocchi dagli angoli smussati. Come il
bellissimo palazzo barocco di San Demetrio, ricostruito pietra su pietra dopo i bombardamenti del 1943. O come il Palazzo di San Giuliano, su cui una lapide ricorda che da un suo balcone nel 1862 Giuseppe Garibaldi
“ospite degli operai” si affacciò sulla folla pronunciando il celebre slogan “O Roma o morte!”. I tanti catanesi a tutt'oggi fieramente antigaribaldini saranno lieti di sapere che in realtà il
conquistatore del Regno delle Due Sicilie la frase l'aveva già scandita il mese prima a Marsala.
Oltrepassata la chiesa dei Minoriti (entrare almeno per vedere le due trionfali
acquasantiere), la scena è presa tutta da Piazza Stesicoro, con cui Catania celebra il poeta
dei miti greci che aveva accolto dandogli asilo politico. In origine, la Via Etnea era lunga solo 700 metri e finiva proprio qui, dove si trovava una delle porte cittadine, la Porta di Aci. Piazza Stesicoro si allarga a
destra, dove un altro eroe cittadino, Vincenzo Bellini, sorveglia il passaggio seduto in cima
a 15 metri di monumento e dando le spalle a corso Sicilia, quasi non volesse vedere quanto accadde nel dopoguerra quando fu sventrato il quartiere San Berillo.
Piazza Stesicoro si allarga pure a sinistra, oltre i ruderi dell'Anfiteatro Romano e fino alla chiesa di San Biagio, per tutti Sant'Agata alla Fornace, in quanto include il luogo dove la giovane
santa avrebbe subito il supplizio dei carboni ardenti. Verso nord c'è la fiancata dello sterminato
Palazzo Tezzano, che sorse come ospedale, fu trasformato in Tribunale e oggi, fra le sue infinite stanze, ospita una realtà sorprendente:l'Archivio Ceramografico dell'università, che vuol catalogare tutti i vasi attici figurati del mondo (ha un
database di 50mila foto). Sul lato della Via Etnea, Palazzo Tezzanoospitò dal 1915 al 1930
gli ambienti liberty della seconda sede della Birraria Svizzera, i cui fasti furono poi proseguiti sino al 1948 dal Gran Caffè Lorenti, che aveva tavolini per 500 clienti, fu il primo café
chantant di Catania e anche la prima gelateria a servire i coni. Sarebbe piaciuto,
insomma, al cantautore Franco Battiato, che almeno fino a qualche tempo fa abitava proprio qui dietro, in via Monte Sant'Agata.
Piazza
Stesicoro, l'anfiteatro romano e la chiesa di San Biagio a Catania - foto Thinkstock
PASTICCERIE DI VIA ETNEA, VECCHIE E NUOVE
Poco oltre c'è la Rinascente, sorta sui resti del Palazzo Spitaleri che fu devastato da una bomba nel luglio 1943, e nelle cui scuderie l'architetto Paolo Lanzarotti aveva ricavato un incredibile
cinema-music hall in stile eclettico, la Sala Roma. Di fronte alla Rinascente, al numero 200, un emigrato dai Grigioni aprì nel 1914 la Pasticceria Svizzera Caviezel, che per tutto il XX secolo ha dominato la scena dolciaria catanese,
con la mitica torta Foresta Nera e con i dolci siciliani rivisitati in stile viennese.
Da leggenda erano le sue pizzette: chi ha fatto in tempo ad assaggiarle le ritiene
imbattibili. Caviezel arrivò ad avere 205 dipendenti e precorse l'epoca del catering, con quelli che allora si chiamavano “ricevimenti”. Poi, fiaccato da tensioni sindacali e da attentati
mafiosi, dovette chiudere. Oggi gli eredi hanno rilanciato il marchio dalle parti del
porto. Lontano dalla Via Etnea, però...
All'incrocio con via Pacini c'è l'Hotel Gresi, nel palazzo al cui terzo piano Vitaliano Brancati collocava la casa dei Magnano, dov'era nato il bell'Antonio: “Il terrazzino sporgeva da un lato
sul corso, la via Etnea, lunga tre chilometri, fragorosa di vecchi tram, di frustate sul dorso di magri cavalli, di conversazioni, risate, strilli di giornalai, ribollente di scarpellate, manate,
gesticolamenti, urtoni, inchini”. Erano gli anni fra le due guerre in cui la Via Etnea era il teatro in cui i catanesi praticavano senza remore la talìa, l'arte dello sguardo portato con insistenza, sui marciapiedi e ai tavoli
delle pasticcerie, che allora vivevano la loro epoca più gloriosa.
Un'altra di queste sopravvive all'angolo successivo, quello tra la Via Etnea e la Via Umberto, di fronte all'imponente edificio liberty delle Poste (Francesco Fichera, 1929) e all’ingresso
principale della Villa Bellini, 'a villa: è la Pasticceria Savia, che è gestita dalla stessa
famiglia dal 1897, e che Federico De Roberto riteneva il salotto di Catania. Ma Savia è
anche un ennesimo luogo di culto della pasticceria catanese, non fosse che per la
coloratissima frutta martorana che dà spettacolo in vetrina. Come, sul lato opposto, lo è la pasticceria Spinella, aperta nel 1936 e le cui granitesono, specie nei caldi giorni estivi, il ristoro preferito di chi abbandona la Via Etnea per i
più tranquilli vialetti subtropicali di Villa Bellini, il parco pubblico più amato dai
catanesi. Oltre le scenografiche ringhiere liberty, infatti, si dipana un idillio di boschetti, fontane, chioschi, busti di catanesi illustri.
Un
cannolo da Savia - foto pasticceria Savia
GIARDINI E MUSEI TATTILI
Ripresa l'Etnea, si trovano subito il monumento a Garibaldi (a destra) e la casa natale di Ettore
Majorana (a sinistra): si racconta che nelle sere estive degli anni 20 il futuro fisico, ragazzo prodigio che già a tre anni sapeva fare le quattro operazioni, salisse sul balcone
posteriore per godersi gratis i film proiettati all'aperto nell'arena Argentina di Villa Bellini. Che non è poi l'unica oasi verde lungo l'Etnea: più a nord, al n. 397, si accede infatti
all'Orto Botanico, 16mila mq voluti nel 1858 da un monaco benedettino professore di botanica: un
paradiso non solo per i naturalisti (l'Erbario custodisce 350mila campioni visionabili online!), dove si passeggia fra un'incredibile collezione di cactacee, l'edificio monumentale neoclassico, le specie tropicali nel padiglione
del Tepidarium, l'Hortus siculus con piante locali a rischio come la Zelkova sicula. Un angolo quasi esoterico di Catania, che infatti ha indotto Franco Battiato nel 2013 a girarvi il videoclip di una sua canzone, Testamento.
Nell'ultimo tratto, superata Piazza Cavour (u Burgu, dove si raccolsero i superstiti del sisma del 1693), con la Fontana di Cerere ora in restauro e il più estremo caposaldo agatino, la chiesa di
Sant'Agata al Borgo, la Via Etnea al n. 602 riserva ancora una sorpresa: un palazzo del 1795 è la sede
del Polo Tattile Multimediale, che comprende il Museo Tattile, il Bar al
Buio, uno showroom tecnologico e il Giardino Sensoriale di 600mq, oltre alla vicina Stamperia regionale Braille.
Sotto il Parco Gioeni (con 75mila mq il più esteso giardino cittadino) infine la Via Etnea si conclude
alla rotatoria del Tondo Gioeni, croce degli automobilisti catanesi dopo la demolizione del vecchio cavalcavia, nel 2013. Sono serviti quattro anni perché, nel 2017, partissero i lavori
del nuovo prospetto progettato dall'architetto Ugo Mirone in asse con la Via Etnea, che avrà tanto verde verticale e una fontana monumentale in pietra bianca di Comiso per richiamare quella
dell'Amenano in Piazza del Duomo. Ma per Catania quattro anni è un ritardo da nulla: il Parco Gioeni fu progettato nel 1942 e inaugurato solo a fine XX secolo. Il Duca di Camastra, per ricostruire tutta Catania, impiegò assai di meno...
L'orto
botanico di Catania - foto R. Copello