Scienziato, nato a Catania 1905, scomparve misteriosamente, e la sua scomparsa, della quale ebbe a interessarsi persino Mussolini, fu un enigma nazionale tutt'oggi insoluto, forse
insolubile: morto suicida, rapito da qualche Paese che già in quell'epoca conduceva studi atomici, rifugiatosi in un convento? La madre mai prese il lutto, aspettò sempre il suo ritorno. La sua
era una famiglia illustre, quella dei Majorana-Calatabiano, ramo cadetto dei Majorana della Nicchiara; a quest'ultima
andarono il blasone gentilizio e le ricchezze terriere, alla prima il blasone dell'intelligenza. Era l'ultimo dei cinque figli di Fabio, (fisico, nato nel 1877), a sua volta ultimo dei cinque
fratelli (i primi quattro erano: Giuseppe, giurista e deputato, nato nel 1863; Angelo, statista, 1865; Quirino, fisico, 1871; e Dante, giurista e rettore universitario, 1874) .
Ettore era un genio della fisica, precocissimo, eccentrico, misantropo, ombroso, indolente, dagli occhi cupi grandi nerissimi. Era nato il 5 agosto del 1905 in via Etnea 251: trasferitosi con la
famiglia a Roma, vi studiò Ingegneria per quattro anni, poi cambiò facoltà e si laureò in Fisica nel 1930. Era amico di Enrico Fermi, di Orso Mario Corbino, di
Emilio Segré, di Edoardo Amaldi. Dal '31, conosciutosi il suo straordinario valore di scienziato (ragionatore, non sperimentatore), fu invitato
a trasferirsi in Russia, a Cambridge, a Yale, nella Carnegie Foundation; ma rifiutò. Né volle partecipare - nonostante la segnalazione fatta da Fermi a Mussolini - al
concorso nazionale per professore universitario di Fisica, bandito nel 1936, che certamente avrebbe vinto.
Accettò invece la nomina per meriti particolari a titolare della cattedra di Fisica teorica all'università. Si trasferì da Roma a Napoli e qui si installò
nell'albergo "Bologna", coltivando la sua misantropia. Si chiuse in casa e rifiutò persino la posta, scrivendo di suo pugno sulle buste: "Si respinge per morte del destinatario". Diceva che
all'istituto di Roma, dove peraltro non tornò più, nessuno capiva nulla delle sue teorie (eppure c'erano Fermi e Corbino!); riuscivano a comprenderlo soltanto quattro
uomini al mondo: i tre premi "Nobel" Paolo Dirac(inglese), Niels Bohr(danese) e Werner
Heisenberg(tedesco) nonché l'americano Carl David Anderson. Scrisse soltanto otto opere (non più di sei-settepagine ciascuna), fra cui
Teoria simmetrica dell'elettrone e del positrone, Atomi orientati in campo magnetico variabile, Sulla teoria dei
nuclei.
Allucinato dalla fatica diurna dell'insegnamento e notturna delle meditazioni scientifiche, si lasciò persuadere a intraprendere - marzo 1938 - un viaggio di riposo,
Napoli-Palermo, su una nave della "Tirrenia". A Palermo alloggiò all'albergo "Sole", ma vi trascorre solo mezza giornata; la sera fu di nuovo sul
piroscafo, fu visto sul ponte all'altezza di Capri (o così affermarono alcune testimonianze), ma a Napoli non arrivò mai.
Dove scomparve e come? La supposizione che si fosse lanciato in mare fu scartata: sul piroscafo viaggiava un battaglione di reduci dall'Africa e il ponte era stipato: non potevano non
accorgersi di un uomo che si getta in mare. Quando, spirato il termine del rientro, non lo rividero, lanciarono l'allarme. La sua camera al "Bologna" fu frugata, non mancava che il passaporto.
Era dunque andato all'estero? Spiegazione inaccettabile: in quell'epoca soltanto pochi scienziati si occupavano di studi atomici, nessun uomo di Stato ne sapeva nulla; chi poteva chiamarlo,
allora, con tanta segretezza? Inutili le ricerche in tutto il Paese, nei conventi in particolare, compiute dalla polizia agli ordini di Bocchini. Al prof. Antonio Carrelli, suo collega
napoletano, era arrivato poco prima un telegramma di Ettore che diceva: "Annullo notizia che ti do". Evidentemente si riferiva a una lettera, giunta dopo il telegramma, nella quale si
intravedeva, non chiaramente espresso, il proposito del suicidio; e infine diceva: "Non mi condannare perché non sai quanto soffro". Ma non soffriva di malattie gravi (salvo una nevrosi
gastrica), non aveva relazioni sentimentali, non nutriva interesse per il denaro, non aveva avuto litigi. Si sentiva, questo sì, solo al mondo: cioè non compreso.
Ricostruzioni televisive e giornalistiche sono state tentate in più riprese; ma tutte, nell'affrontare il momento cruciale, han dovuto fermarsi sulla soglia aleatoria e sfumata delle
ipotesi.
Sulla vicenda della sparizione nel 1975 Leonardo Sciascia ha scritto La scomparsa di Majorana(editore Einaudi).