Fin da giovane studiò le antichità e la storia naturale, si occupò di agricoltura, viaggiò per l'Italia.
Fu soprattutto questo intenso e intelligente turismo a sviluppare in lui il costoso amore per la ricerca degli antichi monumenti; e le dovizie familiari gli consentirono di coltivarlo. A
sue spese scavò a Catania, Camarina, Siracusa, Lentini, Taormina. Nella sua città portò alla luce tesori immensi delle civiltà greca e romana, che i suoi concittadini
dei secoli successivi si son goduti, e rigodono, spesso senza sapere a chi esserne debitori: per esempio il teatro romano (detto teatro greco) e le terme superiori (presso la chiesetta dell'Idria
e presso il reclusorio delle Verginelle); iniziò, ma non completò, gli scavi per portare alla luce l'anfiteatro romano.
Rivelò mosaici, urne, iscrizioni, bronzi, vasi, statue,
un busto di Giove di misura colossale mancante della testa e di un braccio, lavoro greco di esperto artefice: così sintetizzando, il Dizionario dei siciliani
illustri. Poiché la legge, nel '700, non limitava - come fa oggi il Codice civile - lo sfruttamento del sottosuolo, il principe incamerava con pieno diritto quanto vi rinveniva; ed
erano inestimabili tesori.
Altri ne acquistò dagli antiquari napoletani, fiorentini e romani. E li accumulò nella sua casa e chiamò da Firenze, a ordinarli, l'abate Domenico Sestini, che di quella ricca
collezione diede due ragionate descrizioni e affermò che nessun museo, in Europa, era superiore al museo del principe; i soli vasi figurati e dipinti, per maggiore
parte greco-siculi, superavano il migliaio; più tardi questa collezione passò al museo di Castello Ursino.
Realizzò il primo teatro coperto della città, il Comunale (alla Marina, nell'attuale via Dusmet) ricavandolo da due suoi vecchi magazzini contigui; fu un teatro
comodo e bello, dove conveniva la nobiltà e la cultura ad ascoltarvi mirabili concerti, più raramente prosa; lo progettò l'architetto Francesco Battaglia; vi si accede oggi da
palazzo Biscari (via Museo Biscari).
Il palazzo stesso, opera dello stesso Battaglia e appena anteriore al teatro, era un tesoro, coi suoi sei saloni e tre gallerie; il principesco alloggio fu inaugurato, con solenne partecipazione
del Gotha di mezza Europa, il 12 aprile 1758; fu anche coniata una medaglia-ricordo, il principe recitò una sua poesia, gl'invitati rimasero affascinati.
Il principe realizzò altresì - allora alla periferia della città, oggi al centro - il labirinto, primo nucleo del giardino Bellini, a metà della cui superficie
corrispondeva; soltanto più tardi, nel 1854, il Comune di Catania lo acquistò dagli eredi.
Scrisse tredici opere, di diverso peso: Memoria in occasione del Molo da costruirsi alla Marina (1771), alcune lettere (a Domenico Schiavo, al
canonico Schiavo) su temi culturali, Ragionamento sopra gli antichi ornamenti e trastulli dei bambini(1781), Viaggio per tutte le antichità della Sicilia e
Calabria(1781), Descrizione del terribile terremoto del 5 febbraio 1783(1784), Lezioni sul baco da seta, eccetera. Agricoltore di
grandi vedute, com’è possibile essere quando si posseggano intelligenza e molti quattrini, rese fertile e ornò con strade e viottoli, coltivandovi la ginestra e l'ulivo, uno squallido suo terreno
lavico, a sud della città, denominato Villa Scabrosa: abbandonato dopo il terremoto del 1693, quel terreno fu così ripopolato. Diresse, nel suo feudo d'Aragona, la costruzione d'un ponte
ingegnosissimo, sì che Francesco Milizia, nel suo Vite de' più celebri architetti d'ogni nazione e d'ogni tempo (1768), lo annoverò fra questi. Fu
membro di sette accademie non catanesi (la Reale di Londra, la Reale di Bordeaux, quella della Crusca, quella dei Georgofili, eccetera) e una ne fondò, ne protesse e ne finanziò nella sua città,
l'Accademia degli Etnei.
Scrisse tredici opere, di diverso peso: Memoria in occasione del Molo da costruirsi alla Marina (1771), alcune lettere (a Domenico Schiavo, al canonico Schiavo) su temi culturali, Ragionamento sopra gli antichi ornamenti e trastulli dei bambini(1781), Viaggio per tutte le antichità della Sicilia e Calabria(1781), Descrizione del terribile terremoto del 5 febbraio 1783(1784), Lezioni sul baco da seta, eccetera. Agricoltore di grandi vedute, com’è possibile essere quando si posseggano intelligenza e molti quattrini, rese fertile e ornò con strade e viottoli, coltivandovi la ginestra e l'ulivo, uno squallido suo terreno lavico, a sud della città, denominato Villa Scabrosa: abbandonato dopo il terremoto del 1693, quel terreno fu così ripopolato.
Giovedì 3 maggio 1787, sette mesi dopo la morte del principe, Goethe, turista a Catania, visitò palazzo Biscari, e di quella visita lasciò traccia nel suo Viaggio in Italia. Una frase, fra tante: Le statue, i busti di marmo e di bronzo, i vasi e le altre antichità raccolte in questo museo hanno di molto allargato il cerchio delle mie cognizioni artistiche. Nel poemetto Lu veru piaciriDomenico Tempio gli dedicò un'ottava, i cui due ultimi versi suonano così: chìst'é lu grandi lgnaziu, omu pregiatu, / chi la fama per tuttu ha decantatu. Al figlio di Ignazio, Vincenzo, colto mecenate anche lui, lo stesso Tempio dedicò il poema La caristia. Tommaso Moncada (1759,1844), letterato, tracciò di Ignazio Biscari un ritratto (in un sonetto dialettale) nel quale lo definiva unu di chiddi eroi, chi avvezzi / sunnu prudizzi a fari e dotti sfrazzi. Una lapide, nella stanza delle armi del Castello Ursino, dov'è ospitata la sua ricca rinomata raccolta di tesori archeologici, lo dice studioso delle patrie antichità.