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Catania è stata distrutta 9 volte:
Prima distruzione
Avvenne in epoca siceliota quando nel 476 a. C. il tiranno siracusano Ierone non solo distrusse Catania ma le cambiò anche il nome chiamandola Etna e deportandone anche gli abitanti.
Ma 15 anni dopo i Catanesi rientrarono nella loro città, la riedificarono e le diedero il vecchio nome, che quasi sicuramente deriva da “grattugia “.
La città rifiorì subito, ma nel 403 a. C. fu saccheggiata un'altra volta dal siracusano Dionisio senza però distruggerla totalmente.
Seconda distruzione
La seconda distruzione fu dovuta all’eruzione dell'Etna nel 121 a. C., sotto il consolato di Marco Emilio e di Lucio Aurelio. Questa distruzione è legata alla leggenda più bella dei tempi classici, quella riguardante i pii fratelli Anfìnomo e Anàpia, che portarono in salvo i loro genitori caricandoseli sulle spalle, mentre la lava si apriva riverente al loro passaggio.
In seguito, i vari saccheggi operati da Verre, non distrussero totalmente Catania, ma la dissanguarono notevolmente. Però la città cominciò a rifiorire un'altra volta, facendosi più bella e rifiorente di prima.
Terza distruzione
Nel XII secolo avvenne la terza catastrofica distruzione della città.
Il 4 Febbraio 1169 un cataclisma tellurico si abbatté su tutta la Sicilia distruggendo anche la città di Catania, che ebbe circa 15 mila morti, tra cui lo stesso vescovo Giovanni Ajello, morto tra le rovine della cattedrale, in cui stava celebrando la festa della Patrona.
Un'altra volta la città fu ricostruita.
Quarta distruzione
Nel 1194 Catania fu un'altra volta distrutta, questa volta dall'imperatore Enrico VI, figlio del Barbarossa, divenuto re di Sicilia, sposando Costanza d’Altavilla, erede del regno normanno. Enrico VI volle vendicarsi dell’appoggio generoso che Catania aveva dato, per lealismo monarchico, agli ultimi rappresentanti della dinastia normanna.
Quinta distruzione
Nel 1232 Federico II di Svevia per punire Catania nel tentativo di adesione alla lega della città guelfe, ordinò la distruzione della città etnea, con l'abbattimento delle mura e l'imposizione di non costruire edifici che fossero più alti di 2 piani.
Però a ricordo di questa distruzione fece costruire, a partire dal 1239, il Castello Ursino e in un'edicola del Castello fece porre un'aquila di marmo che strozza un agnello. La figurazione simbolica ebbe un terribile significato per i Catanesi, che non osarono più ribellarsi all'inesorabile signore.
Successivamente Catania venne saccheggiata dagli Angioini, poi fu colpita dalla peste nel 1423 e nel 1576.
Di quest'ultima calamità è rimasto un ricordo nel "Bastione degli Infetti", residuo di un lazzaretto, in parte ancora oggi visibile tra via Lago di Nicito e via Plebiscito.
Ma le distruzioni più gravi furono quelle avvenute nel secolo XVII, provocate dalla spaventosa eruzione nel 1669 e dal terribile terremoto del 1693.
Sesta distruzione
L'11 Marzo 1669 l'Etna si aprì nei pressi di Nicolosi dove oggi sorge il cratere chiamato i Monti Rossi.
Una fortissima colata lavica per tutto il mese di Marzo seppellì parecchi borghi e villaggi etnei tra cui Misterbianco e Malpasso (oggi Belpasso).
Raggiunta la città di Catania riempì il lago di Nicito e tutta la valle che lo circondava. Il 16 Aprile superò il Bastione degli Infetti, coprì la Naumachia, il Circo e il Ginnasio, resti della gloriosa Catania Romana.
Circondato il Castello Ursino, coprì i Bastioni di S. Giorgio e di Santa Croce, il 23 Aprile arrivò fino al mare, colmando parzialmente il porto su un fronte di circa due chilometri. Il 30 aprile si ebbe una ripresa al Bastione del Tindaro, all’attuale confluenza di via Plebiscito con via S. Maria della Catena, e si formò una corrente lavica che penetrò nel giardino dei Benedettini, circondando il convento dal lato nord-ovest, senza però danneggiarlo.
Settima distruzione
La distruzione più grave di tutti fu la settima, dovuta al terribile terremoto dell'11 Gennaio 1693, che cambiò totalmente il volto di Catania.
Già qualche giorno prima vi erano state diverse scosse, tanto che molta gente si era rifugiata in campagna, ma tranquillizzatasi tornò in città.
L'11Gennaio, si svolgeva al Duomo una cerimonia di ringraziamento con la partecipazione di circa 12 mila fedeli.
All'improvviso verso le ore 14.00 ci fu l'orribile scossa di terremoto e Catania fu distrutta totalmente.
Di circa 27 mila abitanti soltanto un terzo sopravvisse.
Di tutte le costruzioni si salvarono soltanto le Absidi della Cattedrale, il Castello Ursino e poche altre abitazioni.
I Catanesi superstiti avrebbero voluto abbandonare la città, ma rincuorati dal commissario regio Pietro Cappero e dal can. Giuseppe Cilestri e da suo nipote Martino, furono incitati alla sua ricostruzione.
Catania risorse ancora più bella, con un nuovo piano regolatore dovuto al Duca di Camastra e grazie all’intelligenza costruttiva di ottimi architetti, come il Vaccarini, il Battaglia e il Palazzotto che costruirono splendidi palazzi e magnifici monumenti.
Ottava distruzione
Avvenne per un altro terremoto. Il 20 febbraio 1818 il terremoto fu preceduto da lampi improvvisi e rombi sotterranei. L’epicentro fu localizzato in Acicatena, per cui Catania soffrì moltissimo.
Il Castello Ursino fu gravemente lesionato e reso inabitabile. Gravissimi danni riportarono la chiesa dei Minoriti , con l’annesso chiostro (oggi Prefettura), i conventi dei Francescani, dei Crociferi, di S. Agostino, di S. Agata la Vetere, dei Benedettini; gli edifici dell’Università, del Seminario dei Chierici, del Collegio Cutelli, degli ospedali di S. Marta e di S. Marco. I danni alle abitazioni private furono ingentissimi, ma per fortuna nessun morto; le vittime ci furono in provincia.
Nona distruzione
La nona distruzione si ebbe con la 2° guerra mondiale. I terribili bombardamenti aerei e particolarmente quello del 15 luglio 1943, danneggiarono gravemente la città settecentesca, colpendo parecchie chiese e quasi tutti i palazzi più importanti e provocando 752 morti e oltre tremila feriti.
Ma anche stavolta Catania fu ricostruita e, grazie alla ripresa edilizia e al fervore costruttivo dei catanesi, cambiò completamente volto, assumendo decisamente l’aspetto di una città moderna.
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